Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 674 del 03/08/2016
(Bozze non corrette redatte in corso di seduta)


SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XVII LEGISLATURA ------

674aSEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 3 AGOSTO 2016

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Presidenza della vice presidente LANZILLOTTA,

indi del vice presidente GASPARRI,

del presidente GRASSO,

della vice presidente FEDELI

e del vice presidente CALDEROLI

RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza della vice presidente LANZILLOTTA

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 9,33).

Si dia lettura del processo verbale.

SCOMA, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del giorno precedente.

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE. Avverto che nel corso della seduta odierna potranno essere effettuate votazioni qualificate mediante il procedimento elettronico.

Pertanto decorre da questo momento il termine di venti minuti dal preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento (ore 9,39).

Seguito della discussione e approvazione del disegno di legge:

(2500) Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico (Approvato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale)(ore 9,39)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 2500, già approvato dalla Camera dei deputati.

Ricordo che nella seduta di ieri il relatore ha svolto la relazione orale, è stata respinta una questione pregiudiziale e ha avuto inizio la discussione generale.

È iscritta a parlare la senatrice Bernini. Ne ha facoltà. (Brusio).

Prego i colleghi che non intendono seguire la discussione di abbassare il tono della voce o di allontanarsi, perché altrimenti gli oratori non sono in grado di svolgere i propri interventi.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, ci siamo lasciati proprio ieri su questo provvedimento e abbiamo votato - ahimè respingendola - una questione pregiudiziale. Lo abbiamo detto: il tema non è banale. Stiamo esaminando un provvedimento a dir poco surreale... (Brusio).

PRESIDENTE. Scusi, senatrice Bernini, ma non è possibile intervenire con questo rumore di fondo. Colleghi, chi vuole chiacchierare con questo tono deve allontanarsi dall'Aula, altrimenti vi prego di rispettare l'oratrice.

BERNINI (FI-PdL XVII). Grazie, signora Presidente, lei è molto gentile.

Come dicevo ai colleghi, ci siamo lasciati votando - ahimè contro - la questione pregiudiziale di costituzionalità ad un provvedimento che manifesta in se stesso la sua incompatibilità con la Costituzione. In Commissione lo abbiamo definito - e lo ribadiamo in Assemblea, perché tutti dobbiamo essere consapevoli di quello che stiamo facendo - un provvedimento a dir poco surreale. Il collega Migliore - anzi, chiedo scusa, il sottosegretario Migliore - ha già sentito queste parole.

È un provvedimento dicotomico, che si compone di due parti separate. Una prima parte, la reputiamo quantomeno inutile, perché - come ha ricordato il collega Calderoli ieri - se avessimo voluto semplicemente prorogare un termine, non sarebbe stato necessario scomodare un decreto-legge per farlo. Abbiamo avuto tante "diligenze" in cui avremmo potuto inserire la proroga termini, senza fare un decreto-legge apposito con cui intrattenere il Parlamento. Evidentemente questo contenitore aveva intenzione di produrre ben altri contenuti e di questo parlerò, quando tratterò della seconda parte di questo provvedimento dicotomico, che attiene alle piante organiche del Ministero della giustizia: un tema non irrilevante, su cui il sottosegretario Migliore si è giustamente misurato in Commissione, ma su cui, mi perdoni, nonostante la sua perizia e la sua disponibilità, non ci ha proprio convinto.

Il problema, per quanto riguarda la prima parte, relativa al processo telematico, è nell'assurdità del modo con cui il Governo - come dicevamo ieri - ha dichiarato, con la consueta assertività - e, oserei dire, protervia - del Presidente per del Consiglio, che avrebbe fatto del processo telematico all'interno della giurisdizione amministrativa, con tanto di firma digitale, il nostro fiore all'occhiello. Questo lo si dichiarava due anni fa. Nel frattempo - abbiamo detto - questo fiore si è "sfranto" in quattro deleghe consecutive, fatte peraltro con quattro decreti-legge: proprio in questo, colleghi, sta l'incostituzionalità, che pure nella totale indifferenza dell'Assemblea ieri abbiamo avallato. Abbiamo usato quattro decreti-legge per prorogare il termine del processo amministrativo telematico, a tutto svantaggio degli utenti e dei cittadini che a questo avevano creduto.

Ci saremmo aspettati molto di più e molto di meglio dalla "generazione Telemaco". Quantomeno, il processo telematico andava rispettato nei suoi termini. Su questo punto vorrei intrattenermi tanto quanto ci siamo intrattenuti in Commissione, generando interessanti dibattiti.

La sperimentazione del processo amministrativo telematico ha due caratteristiche. La prima è di essere già stata fatta e di avere, per quanto riguarda la giurisdizione amministrativa, anche funzionato. La seconda è di rappresentare un chiaro impegno europeo al quale noi abbiamo aderito e che abbiamo espressamente avallato da cinque anni a questa parte, non soltanto con riferimento alla giurisdizione amministrativa, ma anche con riguardo alla ben più onerosa e impegnativa giustizia ordinaria, ovvero processi civili e processi penali.

Il nostro infaticabile e immarcescibile Presidente del Consiglio ha detto che il processo amministrativo telematico sarà l'apripista e lo spartiacque per inserire la firma digitale anche nel processo ordinario. Signora Presidente, colleghi, noi stiamo ancora aspettando che questo apripista, spartiacque, rompighiaccio, si faccia strada tra i ghiacci della giurisdizione.

Ripeto che tutto questo non rappresenta solamente un malessere costituzionale, una illegittimità costituzionale che noi stiamo avallando e, quindi, qualcosa di tecnico. Tutto questo ha una valenza fortemente politica, perché questo Governo ha una responsabilità che si deve assumere in regime di monopolio, perché noi non la vogliamo, che è quella di stare privando gli utenti del processo amministrativo, e non solo, della giusta risposta alla domanda di giustizia.

Noi tutti, infatti, sappiamo che una delle principali patologie del nostro sistema è la carente risposta del sistema giurisdizionale, sia esso civile che penale o amministrativo, cui si ricollegano conseguenze drammatiche. Nella giustizia civile, l'attesa di venti anni per avere una sentenza è una giustizia negata; e una giustizia negata è una non giustizia. Avere una sospensione dei propri diritti patrimoniali per venti anni significa interruzione della propria vita professionale e personale, della propria reputazione, delle proprie relazioni familiari, di vicinanza e di condominio. Per non parlare della sospensione dei propri diritti sotto il profilo penale.

Anche il seguente punto, sottosegretario Migliore, noi lo abbiamo sottolineato e lei ne conveniva. Nel processo amministrativo sono coinvolte tutte quelle opere così importanti per rilanciare la crescita, per fare correre e far girare l'economia nel nostro Paese. Tutte quelle piccole, medie e grandi opere che possono fare grande il nostro Paese e che possono portare capitali esteri nel nostro Paese.

Quante volte abbiamo dovuto vedere, negli ultimi tre anni, imprese straniere che andavano via a seguito di ricorsi e ricorsi e mai sentenze, perché non riuscivano ad avere ragione delle proprie istanze! Neanche dei propri diritti, ma delle proprie istanze! È successo - ahimè - in molte Regioni del Sud, che avrebbero tanto bisogno di innesto di capitali stranieri, di innesto di specifiche merceologiche in grado di produrre benessere, ricchezze e posti di lavoro. E tutto questo si ricollega alla giustizia amministrativa (e non solo).

Quindi, signora Presidente, il Governo ha fatto tante promesse e due anni fa ha annunciato una procedura come già fatta. E noi sappiamo che il mondo dei proclami renziani è un mondo bellissimo. È un mondo di sogno dove tutto è già fatto prima ancora di essere fatto. È però un mondo bellissimo che si infrange contro il muro durissimo di una realtà che non soddisfa le esigenze dei cittadini.

E questo, colleghi, è un dato che noi, doverosamente, dobbiamo non solamente acquisire, ma segnalare e cercare di emendare. Noi abbiamo cercato di collaborare su questo provvedimento - l'ho detto e lo ripeto - perché noi crediamo nel processo amministrativo telematico, crediamo negli impegni europei e questo è il motivo per cui ci siamo astenuti in Commissione. Noi crediamo che la giustizia sia uno dei perni o dei fusibili del sistema se non funziona, quindi ci siamo dichiarati disponibili e cosa abbiamo visto?

Arriviamo così alla seconda parte del provvedimento in esame. In Commissione alla Camera abbiamo visto l'inserimento proditorio della parte forse più significativa di questo contenitore, che altrimenti non avrebbe senso nei suoi contenuti. Mi chiedo, infatti, come mai si sia deciso di fare un decreto-legge per una proroga che si poteva inserire dappertutto. Abbiamo capito che lo hanno fatto per regolamentare l'innesto di piante organiche presso il Ministero della giustizia da dedicare a nuove assunzioni, cosa altrettanto meritoria. Sottosegretario Migliore, come abbiamo detto, noi non possiamo non condividere l'idea di aggiungere 1.000 posti; signora Presidente, ho quasi concluso ma mi riservo di precisare meglio questa parte in sede di dichiarazione di voto. Noi non possiamo non essere d'accordo nel radicare piante organiche; tuttavia, signora Presidente, sottosegretario Migliore, colleghi, non in maniera casuale, non fatto come dite voi e basta, senza confrontarsi con nessuno, senza avere un minimo di interlocuzione con il Parlamento, senza capire chi sarà messo dove, quando, secondo quali criteri oggettivi e secondo quali criteri di professionalità o di riqualificazione. Ci sono almeno quattro categorie di soggetti che teoricamente potrebbero accedere a ruoli che, secondo le dichiarazioni del Governo, dovrebbero essere banditi attraverso concorso, ma forse non lo saranno.

Signora Presidente, non voglio abusare della sua gentilezza. Lascio l'Assemblea (che immagino non resisterà) nella suspense di vedere quale sarà la fine di questa assegnazione di ruoli, riservandomi di precisarlo meglio in sede di dichiarazione voto (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII. Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Malan. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Signora Presidente, il provvedimento in esame indica che molti dei luoghi comuni che vengono detti a proposito del lavoro delle istituzioni sono del tutto falsi. Il luogo comune è che la piaga del Paese e la ragione per cui non è prospero come altri è che non si fanno abbastanza leggi e non le si fanno abbastanza in fretta; e la ragione per cui le leggi non vengono fatte in fretta sarebbe la famosa, mitica o mitologica, interminabile navetta di tre o quattro anni tra Camera e Senato.

Qual è la ragione per cui c'è questo provvedimento in discussione, oggi 3 agosto? I giornali parlano ampiamente delle lunghissime ferie del Parlamento italiano che sono di trenta giorni; nel frattempo noi salutiamo i nostri colleghi tedeschi che fin dall'8 luglio hanno preso la strada delle spiagge e delle loro altre mete preferite, perché fin dall'8 luglio il Bundestag è in pausa e riprenderà i lavori esattamente quando li riprenderemo noi. Peraltro forse la Germania è più prospera dell'Italia, sotto più di un aspetto, quindi intanto il problema non sono le ferie.

La ragione per cui noi stiamo esaminando questo provvedimento anziché altri è che il Governo per la quarta volta chiede la proroga di un termine che esso stesso si è posto attraverso un decreto-legge. Il problema della lentezza di come le cose vengono implementate, di come una cosa utile come il processo telematico venga implementata, è, nella maggiore parte dei casi, del Governo. Il provvedimento in esame è una sorta di estratto del milleproroghe, che è un'istituzione solida nei nostri lavori parlamentari, ma c'è l'abitudine a farlo solo una volta l'anno. In questo caso invece bisogna farne un estratto nel corso dell'anno. Come è già stato detto, non si capisce come mai ciò non venga fatto come emendamento ad altri provvedimenti. Comunque in questo caso abbiamo una inefficienza da parte del Governo, che in situazioni più evolute viene ordinariamente definito come potere esecutivo e che, per l'appunto, non esegue. Troppo impegnato a fare leggi appropriandosi delle prerogative che la Costituzione, in modo cristallino, assegna al Parlamento, troppo impegnato a fare ciò che non dovrebbe, non fa ciò che dovrebbe. Contemporaneamente chiede la cancellazione, in realtà, dei poteri di controllo e di legiferazione del Parlamento attraverso una sciagurata riforma costituzionale ma, impegnato su questo, non può adempiere a ciò che esso stesso si è posto attraverso diversi decreti-legge che gli imponevano di mettere in atto le misure affinché il processo telematico potesse avvenire.

A questo la Camera aggiunge una quantità enorme di testo supplementare, che è all'incirca sei o sette volte più lungo del decreto-legge originario: altro bel modo di legiferare. Naturalmente tutto questo è sempre una iniziativa del Governo, il quale poi si lamenta della lentezza dei lavori.

Insomma, oggi, ancora una volta, abbiamo la prova sull'origine del problema della lentezza attraverso la quale vengono attuati i provvedimenti utili, come questo, che in altri Paesi sono già in vigore da anni. Tale provvedimento nasce dal primo provvedimento preso nel 2010, in un'epoca in cui saremmo stati alla pari con i più evoluti Paesi europei sul processo telematico; nel frattempo, però, il Governo ha lasciato passare una scadenza dopo l'altra e adesso è urgente fare un decreto‑legge; è straordinariamente necessario e urgente (non è ironia, ma è ciò che prevede la Costituzione come condizione inderogabile per poter fare un decreto‑legge ed eccolo qui) darsi ancora del tempo, perché nel frattempo il Governo ha dormito.

Qui abbiamo la misura dell'efficienza del Governo e di ciò che sarebbe il Governo dopo la riforma costituzionale: un Governo inefficiente, che si fa le leggi da solo, se le approva da solo, se le modifica da solo, senza l'interlocuzione parlamentare, e poi però non le mette in atto. No, grazie. E no, grazie, anche a questo provvedimento: il Governo si dia una mossa e faccia veramente ciò che deve, anziché fare ciò che non deve. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pagliari. Ne ha facoltà.

*PAGLIARI (PD). Signora Presidente, onorevoli colleghi, questo inizio di dibattito ci ha regalato qualche battuta abbastanza incredibile. Da un lato, sentiamo parlare della preoccupazione della lentezza dei processi da parte di chi, in ordine ai processi, avendo la responsabilità di governo, più che fare le leggi ad personam non ha fatto e, sul tema della lentezza del processo, mai ha prodotto un principio di innovazione. D'altra parte, pensare che la lentezza del processo si risolva nella questione telematica è molto ardito, per non dire - e questo non è sicuramente il caso della senatrice Bernini - che è affermazione di chi non conosce la macchina della giustizia, di chi non sa che la tecnica telematica può aiutare, ma che il tema è molto più radicale.

Si è assistito a una invettiva contro la riforma costituzionale del tutto slegata dal contesto e del tutto gratuita, perché quello che ha affermato il senatore Malan, con tutto il rispetto, non ha alcuna relazione con il tema: si è prodotto in una gratuita invettiva contro la riforma costituzionale, dicendo anche cose che, rispetto alla realtà dei fatti, sono assolutamente contraddittorie.

La questione che pone il decreto-legge in esame è quella del processo telematico, rispetto al quale voglio chiedere se, emergendo l'esigenza di una proroga, questa si debba fare il 30 dicembre rispetto al 31 dicembre o se non si debba fare sei mesi prima. È chiaro, infatti, che queste proroghe non possono essere annunciate all'ultimo minuto: non è lo slittamento della dichiarazione dei redditi, ma è una proroga rispetto a un sistema complessivo che si deve mettere in moto. Pertanto, se la proroga è da annunciare, è chiaro che deve essere annunciata prima, perché il processo di riorganizzazione possa assumere tempi più rallentati ma, nello stesso tempo, più efficaci.

D'altra parte, perché il termine del processo telematico va prorogato? Va prorogato perché è una questione molto delicata, che coinvolge tutto il sistema della giustizia: dagli avvocati alla magistratura alla macchina giudiziaria nel suo complesso. Non è semplice, ci sono problemi di efficienza, di garanzia della risposta della giustizia, di tutela dei diritti. Se non si è pronti, è responsabile un termine che garantisca di poter meglio provvedere alla definizione e all'avvio del processo telematico. Questo decreto-legge, nel prevedere il doppio binario, cioè da un lato la possibilità di continuare con il sistema cartaceo e dall'altro di avviare già il sistema telematico, appare davvero come l'ultimo passaggio prima dell'inserimento del processo telematico in modo integrale ed esclusivo.

Il secondo tema che viene tanto criticato è quello riguardante le misure per assumere personale amministrativo da parte del Ministero della giustizia. Si tratta di personale che abbia determinate qualificazioni, perché nel decreto-legge è prevista anche l'individuazione di nuove professionalità che sono necessarie al sistema giustizia. Bene, da questo punto di vista vorrei capire qual è il problema. Vorrei capire se si nega, di fronte alla carenza oggettiva degli organici del Ministero della giustizia, che ci sia un bisogno di assumere queste persone. Vorrei capire se si nega che ci sia un bisogno di ridefinire le qualifiche professionali delle persone e di efficientare, anche dal punto di vista delle competenze, il sistema della giustizia. Vorrei vedere infine qual è la controindicazione ad un tema di aumento dell'occupazione. Davvero, quando si vuole dire di no a tutti i costi e quando si vuole negare anche l'evidenza, si riesce a raggiungere la contraddizione di sostenere che misure che incrementano l'occupazione sono misure che non vanno bene, sono colpi di mano o sono scelte che non vanno ad onore del Governo ma appaiono come misure che ne dimostrano l'inefficienza.

Io credo che, molto più realisticamente, siamo di fronte ad una misura necessaria per chi conosce le cancellerie dei tribunali; siamo di fronte ad una misura che doveva essere presa in tempi rapidi, per guadagnare il tempo possibile rispetto ad una situazione che da troppo tempo non viene risolta e che da troppo tempo è lasciata dove è oggi. Una situazione che è chiarissimo che anche l'assorbimento del personale delle Province non potrà risolvere, come non potrà risolvere nemmeno questa misura. Ma, se non si comincia, non si arriverà mai a risolvere il problema. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Blundo. Ne ha facoltà.

BLUNDO (M5S). Signora Presidente, il decreto-legge che oggi l'Aula convertirà in legge rinvia per la quinta volta l'obbligo imposto a tutti i soggetti coinvolti nel processo amministrativo, compreso il giudice, di sottoscrivere gli atti processuali con modalità digitali. L'obbligo, riconosciuto in capo al giudice, agli ausiliari, al personale degli uffici giudiziari amministrativi e alle parti, di sottoscrivere tutti gli atti e i provvedimenti con firma digitale è stato introdotto dall'articolo 38... (Brusio). Chiedo scusa, Presidente, ma con questo brusio non riesco a parlare.

L'entrata in vigore dell'articolo 38, comma 1-bis del decreto-legge n. 90 del 2014 era inizialmente prevista il 1° gennaio 2015, poi posticipato al 1° luglio 2015, ulteriormente spostato al 1° gennaio 2016 e infine al 1° luglio di quest'anno. Ora, il decreto-legge al nostro esame procrastina ulteriormente l'entrata in vigore della norma addirittura al 1° gennaio 2017, nonostante sia stato emanato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri un provvedimento che finalmente detta le regole tecnico operative per l'introduzione del processo telematico, cosa che rendeva difficile la stessa applicazione negli uffici.

Il decreto-legge autorizza inoltre il Ministero della giustizia a procedere, però, all'assunzione straordinaria di 1.000 impiegati amministrativi non dirigenziali, inquadrandoli nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria. I canali di reclutamento, però, non sono chiari; potranno essere le graduatorie ancora valide, i nuovi bandi di concorso, oppure, per le ulteriori assunzioni, si potrà attingere tra il personale degli enti di area vasta o delle città metropolitane non ancora collocate. Tutte risorse umane che dovranno, nel complesso, supportare e realizzare gradualmente il programma di digitalizzazione degli uffici.

Ora, mi sembra che qui si stia verificando un fenomeno analogo a quello delle assunzioni nel settore della scuola: abbiamo una serie di graduatorie e non vorrei che ve ne sia qualcuna privilegiata non si sa perché. Tra l'altro, è necessario non creare disparità nei confronti di alcuni lavoratori che si sono visti privati della possibilità di scegliere una collocazione nettamente migliore rispetto a quella che hanno accettato. Bisognerebbe garantire informazioni relative ai requisiti e alle procedure di valutazione delle candidature che, allo stato attuale, risultano essere molto carenti e questo potrebbe generare nell'opinione pubblica inutili aspettative, si diceva ieri, forse perché già si è deciso chi deve essere assunto in merito a questo bando di concorso, così come è stato fatto in passato per le procedure concorsuali lanciate in altri settori.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Il relatore e il rappresentante del Governo non intendono intervenire in sede di replica.

Comunico che sono pervenuti alla Presidenza - e sono in distribuzione - i pareri espressi dalla 5a Commissione permanente sul disegno di legge in esame e sugli emendamenti, che verranno pubblicati in allegato al Resoconto della seduta odierna.

Passiamo all'esame dell'articolo 1 del disegno di legge.

Avverto che gli emendamenti si intendono riferiti agli articoli del decreto-legge da convertire, nel testo comprendente le modificazioni apportate dalla Camera dei deputati.

Procediamo all'esame degli emendamenti e degli ordini del giorno riferiti all'articolo 1 del decreto-legge, che invito i presentatori ad illustrare.

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Signora Presidente, non dovrei intervenire ma faccio presente che l'ordine del giorno G1.100, dopo una lunga discussione in Commissione, è stato approvato con una riformulazione e pertanto è stato ritirato.

PRESIDENTE.Infatti mi risulta ritirato.

MALAN (FI-PdL XVII). Signora Presidente, ci sono alcuni emendamenti che chiedono di anticipare la data di entrata in vigore della norma al nostro esame. Visto che siamo già alla quarta proroga, credo che il Governo potrebbe permettersi qualche anticipo. Se non si distrae facendo cose che non dovrebbe fare, potrebbe benissimo trovare il tempo per fare le cose che doveva fare, non che dovrebbe fare oggi, ma che avrebbe dovuto fare. Pertanto, si può anticipare la data a decorrere dalla quale si dovrebbe poter avere finalmente anche in Italia il processo telematico.

Con l'emendamento 1.11, invece, si chiede che ciò che viene prospettato si faccia sul serio e, cioè, pensare ai precari. Il problema delle grandi graduatorie è diverso e si dovrebbe pensare a risolvere quello degli uffici giudiziari e dei precari che da anni in essi lavorano. Con l'emendamento 1.11 chiediamo che si individuino le persone da assumere fra il personale già impiegato presso gli uffici giudiziari, cosa che evita che il concorso di cui si parla diventi nullo.

Il Governo, che non sa fare il proprio mestiere e si mette a fare quello degli altri, dovrebbe almeno sapere cosa succede nelle cose che amministra direttamente. E, invece, non è neppure in grado di dirci quanti sono gli scritti in quelle graduatorie. Visto che non lo sa, ma è sicuro che sono molto più di mille, i nostri emendamenti vogliono che si faccia sul serio e si risolva il problema almeno di una parte dei precari dell'amministrazione giudiziaria, anziché prendere persone che sono sicuramente qualificate, ma che non hanno nulla a che fare con gli uffici giudiziari.

CRIMI (M5S). Signora Presidente, illustro l'emendamento 1.9, che prevede l'aumento delle unità da assumere al Ministero della giustizia da 1.000 a 2.000.

L'emendamento serve non solo per assumere più persone nel Ministero della giustizia - cosa che sarebbe auspicabile - ma anche per evitare cose spiacevoli come quelle dette sia ieri in sede di esame delle questioni pregiudiziali che in Commissione e, cioè, che le mille assunzioni vengano facilmente raggiunte con lo scorrimento di graduatorie esistenti presso altre pubbliche amministrazioni, nonché venga ridotto il numero delle persone che arrivano in mobilità dalle ex Province e tutto il personale tirocinante o che lavora precariamente presso il Ministero della giustizia rimanga totalmente escluso.

Sebbene il Sottosegretario ci abbia rassicurato sul fatto che il personale attualmente impiegato precariamente presso il Ministero della giustizia avrà qualche titolo preferenziale, anche se purtroppo poco rilevante, nell'ambito delle procedure concorsuali, come previsto da altre norme precedenti, se si dovesse assottigliare sempre più il numero di mille per via dello scorrimento delle graduatorie, alla fine il totale dei precari attualmente presenti nella giustizia si troverebbe di fatto con un pugno di mosche. Aumentare il numero di assunzioni possibili per il Ministero della giustizia - si parla di assunzioni possibili e, quindi, proiettate anche nel tempo - garantirebbe una maggior platea di precari della giustizia, i quali potrebbero vedere soddisfatte le aspettative disattese, purtroppo, da scelte politiche fatte da questo Parlamento, dai Governi precedenti, da quello attuale e, in alcuni casi, anche dai Governi regionali. È inutile nascondere che 670 precari nella giustizia sono solo nella Regione Calabria, che li sostiene e li vuole. Oggi la Regione Calabria addirittura ne annuncia l'aumento, fino ad arrivare a 1.000, dimostrando che la soluzione di una crisi viene affrontata solo con una modalità assistenziale che non prevede degli sbocchi futuri certi, ma crea aspettative che non potranno trovare la giusta applicazione perché nell'ambito di un'amministrazione pubblica si entra esclusivamente per concorso pubblico. E noi sappiamo che molto spesso le selezioni per i precari della giustizia sono state fatte in passato in maniera molto grossolana. Le ultime assunzioni invece sono avvenute mediante selezioni pubbliche, e quindi gli assunti avrebbero anche un diritto che possiamo definire acquisito, perché hanno comunque partecipato - lo ripeto - a delle selezioni pubbliche per poter svolgere il loro lavoro.

Abbiamo visto che ci sono precari che hanno un livello elevatissimo di preparazione (laureati, avvocati) ma che oggi, con la situazione in cui ci troviamo, trovano come unico sbocco dare sostegno ai tribunali che non hanno altra alternativa se non appoggiarsi a personale non di ruolo anche nel Ministero della giustizia. E non abbiamo solo i cosiddetti tirocinanti, ma anche persone in mobilità che provengono persino da imprese private.

Insomma, la situazione è veramente tragica all'interno del Ministero della giustizia. Bisognerebbe mettere un punto fermo, chiudere una volta per tutte con il precariato in tutta la pubblica amministrazione, a maggior ragione in un'amministrazione delicata come quella del Ministero della giustizia, e non consentirlo più. Occorre trovare un organico che sia il più possibile confacente allo svolgimento delle funzioni che sono proprie di un Ministero come quello della giustizia, che dovrebbe essere fondamentale per un Paese democratico. (Applausi dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. I restanti emendamenti e ordini del giorno si intendono illustrati.

Invito il relatore e il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti e sugli ordini del giorno in esame.

RUSSO, relatore. Signora Presidente, invito al ritiro di tutti gli emendamenti all'articolo 1, altrimenti il parere è contrario.

MIGLIORE, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signora Presidente, esprimo parere conforme a quello del relatore.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della prima parte dell'emendamento 1.1.

SANTANGELO (M5S). Chiediamo che le votazioni vengano effettuate a scrutinio simultaneo mediante procedimento elettronico.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

CRIMI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signora Presidente, vorrei fare un'osservazione.

Io capisco che il "canguro" - e questo di fatto lo è - venga applicato a provvedimenti con mille o duemila emendamenti, e posso comprendere le esigenze in simili casi. Ma trattandosi forse di venti emendamenti in tutto, votarli non credo sia un problema. Procedere con il voto per parti separate del primo emendamento strumentalmente per non consentire il voto di quelli successivi potrebbe anche evitarsi. Non dico che ciò non rientri nelle prerogative della Presidenza - è assolutamente una sua legittima prerogativa, anche se non la condivido - ma forse in questo caso votare gli emendamenti darebbe soddisfazione a chi li ha presentati.

PRESIDENTE. Senatore Crimi, si tratta di emendamenti a scalare e c'è una successione logica. Ai miei tempi non si parlava di "canguro", ma semplicemente di preclusione. Se si preclude il concetto di modificare in ogni caso la data, ovviamente cadono le proposte che prevedono altre date. C'è anche una logica di economia dei lavori e di non far perdere tempo ai senatori.

MALAN (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Signora Presidente, premesso che condivido quanto detto dal senatore Crimi, ed essendo la decisione della Presidenza evidentemente inappellabile, dichiaro allora il voto.

Poiché si vota sulla prima parte dell'emendamento, dichiaro il voto a favore del Gruppo Forza Italia. Sottolineo che siamo molto più che allo scalare, perché alcuni emendamenti vanno in direzioni opposte: ci sono degli emendamenti, come l'1.1, l'1.5 e l'1.6, che vogliono ulteriormente prorogare rispetto alla proroga già contenuta nel testo del Governo, e altri, come l'1.2, l'1.3 e l'1.4, che noi fortemente vorremmo votare in modo favorevole, che anticipano la data. Visto che, se viene bocciato l'emendamento 1.1, ci viene preclusa la possibilità di fare qualunque cosa dopo, allora voteremo a favore.

Perché proponiamo un accorciamento dei tempi? Come già detto, siamo alla quarta proroga di un termine esclusivamente per una sola ragione: il Governo non riesce, non sa, non vuole o comunque non mette in atto ciò che esso stesso si è posto come traguardo con successivi decreti-legge. E siccome il processo telematico è un'esigenza oggettiva per la nostra giustizia (giustizia di tutti i tipi), la quale pare abbia un certo arretrato, sarebbe bene accorciare la scadenza.

Peraltro, comprendo anche gli emendamenti che vanno in direzione opposta, probabilmente i più realistici, perché si prevede anche questa volta che il Governo, siccome fa ciò che non dovrebbe fare, non farà ciò che deve fare, ossia mettere in atto le proprie leggi. E dico le proprie perché dovrebbe trattarsi di leggi dello Stato, ma che in realtà sono fatte dal Governo da solo. Dal momento che, anche questa volta, ci troveremo nella stessa situazione, i colleghi che hanno presentato questi emendamenti vogliono risparmiare al Governo la fatica di adottare un altro decreto, tra qualche mese, per prorogare la scadenza.

Noi preferiamo orientarci in un altro senso e, di conseguenza, votiamo a favore di questo moncone di emendamento che lei, signora Presidente, ha deciso di mettere in votazione, per non impedire al Senato di esprimersi in una direzione o nell'altra.

CALDEROLI (LN-Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDEROLI (LN-Aut). Signora Presidente, premetto che, nel merito, avrei dato immediatamente avvio alla discussione sul provvedimento in materia di processo telematico, visto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è datato febbraio.

Rispetto agli emendamenti a scalare, concordo assolutamente con lei e auspico che anche al Senato venga introdotto il voto per principio, perché è evidente che, se qualcuno non vuole modificare la data, poi la dimensione della stessa è assolutamente ininfluente. Bisogna, però, anche considerare "come" si scrivono gli emendamenti, perché chi li scrive in siffatto modo sa già che, con un voto, verranno poi tutti preclusi. Quindi, a fine legislatura cederò il mio algoritmo, in modo che l'opposizione scriva un po' meglio gli emendamenti. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Calderoli, ma penso che la sua eredità in Parlamento sarà migliore dell'algoritmo.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.1, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori, fino alle parole «le seguenti».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e gli emendamenti da 1.2 a 1.5.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.6, presentato dal senatore Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.7, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.8.

CRIMI (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signora Presidente, intervengo per una brevissima dichiarazione di voto sull'emendamento 1.8.

Ovviamente esprimerò voto contrario su questo emendamento, perché è volto a introdurre un principio che riguarda le assunzioni per decreto-legge. Ricordo che i decreti-legge hanno un carattere di provvisorietà e, quindi, la logica vuole che non si possa provvedere a delle assunzioni per decreto-legge, perché si corre il rischio di avviare delle procedure che decadono dopo sessanta giorni nel caso in cui il contenuto del decreto-legge viene modificato o semplicemente convertito.

Si tratta di un film già visto in passato, quando con un decreto-legge sono state avviate le procedure di stabilizzazione per gli ex LSU e, poi, improvvisamente, il decreto-legge non è stato convertito per problemi del Governo, con la conseguenza che gli interessati si sono ritrovati, di punto in bianco, di fronte alla decadenza di tutti i contratti di stabilizzazione che, addirittura, erano stati già firmati.

Pertanto - si tratta di una cosa che ho già detto in altre occasioni - quando si fanno previsioni di assunzione, concorsi o altro, deve essere sempre previsto che la procedura non possa essere avviata se non trascorsi almeno sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto-legge. Per questo motivo, riteniamo che la formulazione del comma in esame, come scritto alla Camera dei deputati, debba rimanere inalterata.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.8, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.9, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

CRIMI (M5S). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.9, presentato dal senatore Buccarella e da altri senatori, fino alle parole «le seguenti».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e l'emendamento 1.10.

Passiamo all'emendamento 1.11, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

MALAN (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Sull'emendamento 1.11 c'è parere contrario della Commissione bilancio?

PRESIDENTE. Sì, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

MALAN (FI-PdL XVII). È davvero curioso.

PRESIDENTE. Insiste per la votazione, senatore Malan?

MALAN (FI-PdL XVII). Insisto sicuramente.

PRESIDENTE. Passiamo dunque alla votazione dell'emendamento 1.11.

MALAN (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Signora Presidente, ne chiediamo la votazione, perché siamo assolutamente certi che esso non comporta un aumento di spesa, visto che il fondo c'è e francamente non si rileva la differenza nell'assumere le stesse persone in un modo oppure in un altro. Al di là del fatto che non è oneroso, proponiamo questa soluzione perché il testo dice una cosa davvero bizzarra, ovvero che le mille unità si assumono mediante lo scorrimento di graduatorie in corso di validità alla data di entrata in vigore del presente decreto «o» mediante procedure concorsuali pubbliche. Cosa vuole dire «o»?

Abbiamo una discrezionalità in apparenza totale del Governo, a meno che - come sembrerebbe dall'interpretazione prevalente - questo «o» sia da intendersi come «prima» la categoria di coloro che sono nelle graduatorie e «dopo» mediante procedure concorsuali. In entrambi i casi non andiamo nella direzione giusta, perché per supplire alla carenza di personale dell'amministrazione giudiziaria si prendono da una graduatoria delle persone che spesso nulla hanno a che fare con l'amministrazione giudiziaria. Ecco perché l'emendamento 1.11 chiede che queste assunzioni vengano individuate «fra il personale già impegnato presso gli uffici giudiziari italiani per garantire il corretto funzionamento dell'istituito ufficio del processo».

Intanto c'è il famoso problema della professionalità e del precariato nell'ambito del personale che attualmente lavora presso gli uffici giudiziari, i cosiddetti tirocinanti. Con questa formulazione ci sono davvero una vaghezza, una discrezionalità e una incertezza, con tutte le connesse possibilità di ricorso.

Vogliamo dire la verità? Se la norma viene applicata nel senso della graduatoria, assumendo cioè prima gli iscritti nelle graduatorie, il concorso pubblico resta esclusivamente scritto sulla carta e tanto varrebbe sopprimere quelle parole, perché restano inutili. Dunque, il concorso non ci sarà, per cui sono totalmente esclusi tutti coloro che non sono già entrati nelle graduatorie per qualche ragione, anche se magari più meritevoli di qualcuno presente nelle graduatorie. Si deve infatti sperare che anche tra i giovani ci sia qualcuno qualificato. E invece si usano le graduatorie esistenti e il concorso rimane meramente scritto sulla carta. Il nostro emendamento sarebbe quantomeno utile a fare chiarezza su questo aspetto. (Applausi della senatrice Bernini).

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Signora Presidente, voteremo a favore di questo emendamento che riporta all'attenzione dell'Assemblea la questione che abbiamo lungamente affrontato anche ieri, in 1a Commissione affari costituzionali, a proposito dei tirocinanti della giustizia.

Con il decreto-legge in esame ci troviamo di fronte al fatto che all'articolo 1, comma 2-bis, viene posta in essere - e questo per noi va bene - l'assunzione di mille persone. La questione non è stata assolutamente chiarita - e lo voglio ribadire - visto che nel testo del decreto-legge si parla o di scorrimento o di concorso e non si fissa - come invece sarebbe stato opportuno - una quota del 50 per cento per lo scorrimento della graduatoria e del 50 per cento per concorso. Onestamente non comprendiamo se, alla fine, potremmo mai avere la speranza che ci possa essere il concorso, per il quale i tirocinanti della giustizia dovrebbero vedersi riconosciuto il titolo preferenziale. Quindi, noi voteremo questo emendamento perché richiama il tema affrontato nell'ordine del giorno che ho ritirato, essendo stato approvato in Commissione stessa.

La questione affrontata è che lo Stato, come nel caso anche dei tirocinanti - bisogna dire le cose come stanno - effettua attraverso formule strane, come appunto quella dei tirocinanti, delle forme di vero e proprio sfruttamento: non dico lavoro nero, ma certamente sfruttamento.

Sta di fatto che in questi anni il personale è stato formato, ha partecipato a corsi di formazione e ha versato i propri contributi. Oggi, invece, ci troviamo di fronte a un problema serio: prendere mille persone attraverso lo scorrimento potrebbe, sì, immettere personale all'interno della amministrazione della giustizia - cosa che va sempre bene - ma non è detto che esso sia formato, come invece lo è quello che ormai da anni manda avanti, in moltissimi casi, i nostri uffici giudiziari e tribunali.

CALDEROLI (LN-Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDEROLI (LN-Aut). Signora Presidente, noi voteremo a favore di questo emendamento che andrebbe a inquadrare coloro che - come ho già ricordato ieri - da decenni lavorano per 400 euro al mese nel settore della giustizia.

Vorrei però far rilevare - come appunto ho fatto ieri - entrando oggi nel merito, che i mille posti che il decreto-legge, in parte, vorrebbe destinare a vantaggio dei concorsi precedentemente già tenutisi, e in seguito a un concorso con procedure concorsuali per discipline dal Ministero di grazia e giustizia, sono una finzione pura.

Se il concorso previsto è per mille persone e abbiamo decine di migliaia di persone che ne hanno già vinto uno, è evidente che i mille posti verranno saturati immediatamente attraverso le graduatorie a scorrimento. Quindi, noi diciamo che si tiene un concorso per tutti gli altri, ma sappiamo che ciò non è possibile né previsto dal testo.

Questo mi ha portato ieri a dire che, in tal modo, si vanno ad assumere persone già inserite in una graduatoria e che sarebbe perlomeno un consistente aiuto rispetto alle carenze di organico. Se si va però a leggere il comma 2-bis, rispetto a queste assunzioni, si scopre che il decreto del Ministro della giustizia, di cui al comma 2-bis, individua le predette graduatorie e definisce i criteri e le priorità delle procedure assunzionali da avviare.

Si evince, quindi, che non solo si prendono le vecchie graduatorie del concorso del ruolo unico, ma si possono poi stabilire, a livello del Ministero, delle procedure per individuare un nome e un cognome. Fate piuttosto una tabella allegata con nome e cognome di chi volete assumere, ma non fate un decreto-legge, prendendo in giro il Parlamento. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

FALANGA (AL-A). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FALANGA (AL-A). Signora Presidente, noi voteremo contro questo emendamento perché non esiste un rapporto sinallagmatico tra le critiche segnalate dal senatore Malan e la soluzione.

Si dice che il provvedimento al nostro esame prevede la possibilità di scorrimento delle graduatorie di chi già ha partecipato a un concorso e, come soluzione, l'assunzione di tutti coloro che sono impegnati negli uffici giudiziari: mi pare, appunto, che non esista alcun rapporto.

I soggetti impegnati come tirocinanti o come stagisti negli uffici giudiziari con quale sistema di collocazione sono stati lì impegnati e con quali procedure concorsuali pubbliche? Nessuna.

Bastava una segnalazione del dirigente di un ufficio giudiziario perché il soggetto venisse lì impegnato come stagista o tirocinante, con una retribuzione e una finalità specifica di acquisire competenze; competenze che gli potranno essere utili nel momento in cui parteciperà a un regolare concorso.

Pretendere - come hanno già sollecitato il Movimento 5 Stelle e adesso il senatore Malan e i componenti del Gruppo SEL - significa violare un principio elementare di diritto amministrativo, secondo il quale gli impiegati pubblici devono superare un regolare concorso pubblico. Questo non lo condivido. Io sono per la meritocrazia e per chi, partecipando a un concorso, dimostri di essere più preparato di altri ed è soltanto all'esito della prova di merito che può essere assunto nella pubblica amministrazione.

Certamente, però, affidare alle iniziative del Governo la possibilità di scorrere dall'una o dall'altra graduatoria mi è sembrata una soluzione poco felice. In definitiva, pur condividendo la critica della scelta del Governo e della maggioranza, purtroppo la soluzione non è quella che noi immaginiamo e per queste ragioni il Gruppo AL-A voterà contro questo emendamento.

BENCINI (Misto-Idv). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENCINI (Misto-Idv). Signora Presidente, vorrei innanzitutto sottoscrivere l'emendamento 1.11, ma non vedo il senatore D'Alì e non so se l'assenso del senatore Malan possa essere sufficiente.

In relazione alle assunzioni delle 1.000 persone attinte da vecchie graduatorie, il punto sarebbe capire quando quei concorsi sono stati fatti. Se sono stati svolti più di trentasei mesi fa, le persone in graduatoria avranno tutto il merito di essere state dichiarate idonee, ovviamente non vincitrici, ma sono in un certo senso obsolete. Sarebbe, quindi, importante aprire a un nuovo concorso perché ci saranno sicuramente persone più aggiornate e probabilmente con una formazione più idonea, le quali potrebbero risultare vincitrici. A mio avviso, sarebbe quindi opportuno aprire ad altro.

Sono quindi d'accordo con quanto detto dalla senatrice De Petris in relazione alla spiegazione dell'emendamento in esame.

LO GIUDICE (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LO GIUDICE (PD). Signora Presidente, vorrei solo ricordare il caso di cui stiamo parlando: 3.000 tirocinanti formativi e più sono stati utilizzati nei nostri uffici giudiziari ormai da più di quattro anni per svolgere funzioni fondamentali, senza i quali altrimenti i nostri processi sarebbero stati molto più rallentati, e rappresentano oggi un corpo di lavoratori che ha acquisito una professionalità, una capacità e una dimestichezza con quel lavoro, tale per cui è del tutto improprio pensare che si tratti di persone assunte per rapporti preferenziali.

Ricordo che all'origine dell'immissione nei nostri uffici giudiziari di quelle che allora erano più di 3.000 persone c'erano invece degli interventi su lavoratori socialmente utili che avevano svolto meritoriamente un percorso e a cui si voleva offrire nel tempo la possibilità non solo di acquisire una competenza, ma anche di poter attivare un percorso lavorativo. Ora molte di quelle persone sono rimaste indietro, soprattutto quelle di età più avanzata, che non hanno avuto la possibilità di proseguire fino a fine 2016 la loro attività di perfezionamento della formazione, mentre altre termineranno l'ultima parte entro il 2016.

Ebbene, è del tutto opportuno che lo Stato ad esse garantisca la prosecuzione di una possibilità di lavoro, laddove hanno maturato oramai una competenza pluriennale. E, quindi, sono molto soddisfatto che la Commissione affari costituzionali abbia approvato un ordine del giorno che sottolinea per lo meno un punto: i titoli maturati in questo periodo formativo devono venire effettivamente valorizzati nelle prossime tornate concorsuali, previste dal comma 2-bis dell'articolo 1 di questo provvedimento, in modo da garantire alla macchina amministrativa - e penso in particolare agli uffici giudiziari - la possibilità di continuare ad avvalersi di competenze e risorse. E ciò consente anche alle migliaia di lavoratori, che hanno servito con grande competenza e maturato una professionalità nella macchina amministrativa, di poter proseguire un rapporto lavorativo in cui hanno dimostrato non solo capacità e competenza, ma anche di avere acquisito una professionalità specifica. (Applausi della senatrice Mattesini).

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.11, presentato dal senatore D'Alì e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

SANTANGELO (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANTANGELO (M5S). Signora Presidente, vorrei far notare che il voto su questo emendamento di tutto il Gruppo Movimento 5 Stelle è favorevole e non contrario, come risultato invece della velocità con cui si è chiusa la votazione. Se vuole, ci alziamo uno per uno per modificarlo.

PRESIDENTE. Ne prendiamo atto. Segnalo però...

AIROLA (M5S). Ieri ha annullato una votazione!

PRESIDENTE. Stia tranquillo, senatore Airola. Prendiamo atto che non c'è dissenso rispetto alla dichiarazione del senatore Santangelo da parte di alcun componente del Gruppo Movimento 5 Stelle. E, quindi, il voto sarà corretto di conseguenza.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.12, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori, fino alle parole «del comma».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e gli emendamenti 1.13 e 1.14.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.15, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.16, presentato dal senatore Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.17, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.18, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori, fino alle parole «2-quater».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e l'emendamento 1.19.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.20.

MALAN (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Signora Presidente, ritirando l'emendamento 1.20 risparmio la fatica di fare il cangurino, ma mantengo invece l'emendamento 1.21, perché abbiamo una serie di tempi che francamente non si capisce. Già siamo in regime di proroga, in una situazione di arretrati paurosi in tutti i settori della giustizia. Ebbene, in questo caso abbiamo notato una cosa molto curiosa. Al comma 2-bis sono previste le modalità di attuazione delle assunzioni, che sono straordinariamente necessarie e urgenti, tant'è vero che si inseriscono in un decreto-legge.

Non so sotto altri Governi, con diversa legittimazione popolare, cosa si sarebbe detto - e soprattutto cosa avrebbe detto qualche altissima carica della Repubblica - su un decreto-legge in cui la parte aggiunta con un emendamento nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione è sei o sette volte più lunga del testo originario, peraltro con collegamenti abbastanza scarsi dal punto di vista del contenuto.

Comunque qui si dice che, visto che è così urgente, e via dicendo, bisogna aspettare sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge. Ma allora non si poteva fare un disegno di legge? Sarebbe passato rapidamente, specialmente se ci si limitava a questo. Invece bisogna farlo subito, ma si scrive che bisogna aspettare sessanta giorni. E non si capisce perché.

Poi - e qui abbiamo il punto dove interviene il nostro emendamento 1.21 - prima si aspettano sessanta giorni, poi bisogna aspettarne altri trenta da quando il Dipartimento della funzione pubblica comunica la conclusione delle procedure di mobilità, e via dicendo. Allora, accorciamo un po' questi tempi. Forse cinque è poco. Se da parte del Governo c'è disponibilità per tempi più lunghi, siamo d'accordo; altrimenti manteniamo questo termine.

PRESIDENTE. L'emendamento 1.20 è stato pertanto ritirato.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.21, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.22, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.23, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori, identico all'emendamento 1.24, presentato dal senatore Buccarella e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.25, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.26, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

MAURO Mario (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURO Mario (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Signora Presidente, nonostante siano stati respinti, vorrei aggiungere la mia firma agli ultimi due emendamenti votati.

PRESIDENTE. La Presidenza ne prende atto.

Passiamo all'emendamento 1.27, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.27, presentato dal senatore Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.28, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.28, presentato dal senatore Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.29, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.29, presentato dal senatore Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.30, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.30, presentato dal senatore Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Invito il relatore e il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli ordini del giorno in esame.

RUSSO, relatore. Formulo un invito al ritiro sugli ordini del giorno G.101 e G.102, essendo stati accolti come raccomandazione in Commissione.

MIGLIORE, sottosegretario di Stato per la giustizia. Esprimo parere conforme a quello del relatore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno G1.100 è stato ritirato.

Senatore Cappelletti, insiste per la votazione degli ordini del giorno G1.101 e G1.102?

CAPPELLETTI (M5S). Sì, signora Presidente, insisto.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'ordine del giorno G1.101, presentato dal senatore Cappelletti e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'ordine del giorno G1.102, presentato dal senatore Buccarella e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Invito il relatore e il rappresentante del Governo a pronunziarsi sull'emendamento aggiuntivo 1.0.1.

RUSSO, relatore. Invito il presentatore a ritirare l'emendamento, altrimenti il parere è contrario.

MIGLIORE, sottosegretario di Stato per la giustizia. Esprimo parere conforme a quello del relatore.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.0.1, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 2 del decreto-legge, che si intendono illustrati, su cui invito il relatore e il rappresentante del Governo a pronunziarsi.

RUSSO, relatore. Invito i presentatori a ritirare tutti gli emendamenti e gli ordini del giorno presentati all'articolo 2, altrimenti il parere è contrario.

Per quanto riguarda l'emendamento 2.0.1 propongo ai presentatori di trasformarlo in un ordine del giorno che impegni il Governo a modificare l'articolo 21-quater, riportando i punti a) e b) e ovviamente espungendo l'impegno di spesa previsto nel comma 2.

MIGLIORE, sottosegretario di Stato per la giustizia. Esprimo parere conforme a quello del relatore.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.1.

SANTANGELO (M5S). Chiediamo che le votazioni vengano effettuate a scrutinio simultaneo mediante procedimento elettronico.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 2.1, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori, fino alle parole «le seguenti».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e l'emendamento 2.5.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 2.2, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 2.3, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

CIAMPOLILLO (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIAMPOLILLO (M5S). Signora Presidente, io vedo inserita la scheda del senatore Giovanardi ma non vedo il senatore Giovanardi. (Proteste dai Gruppi PD e FI-PdL XVII).

CROSIO (LN-Aut). Miracolo! Miracolo!

PRESIDENTE. Prego il senatore Segretario di ritirare le schede inserite nei posti che non sono occupati.

QUAGLIARIELLO (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUAGLIARIELLO (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Signora Presidente, faremo in modo che il senatore Giovanardi torni subito tra noi.

PRESIDENTE. Secondo le prescrizioni della Presidenza, nel momento in cui il senatore è assente, la scheda va sottratta. I senatori Segretari, quindi, devono estrarre la scheda.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 2.4, presentato dal senatore Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.0.1.

Senatore Crimi, accetta la proposta di trasformazione in ordine del giorno avanzata dal relatore?

CRIMI (M5S). Signora Presidente, onorevole relatore, onorevole rappresentante del Governo, prima di accettare eventualmente la trasformazione in ordine del giorno, vorrei illustrare l'emendamento.

Questo emendamento serve a sanare una situazione che non solo a mio avviso, ma credo di tutta evidenza, è piuttosto iniqua, nel senso che con il decreto-legge n. 83 del 27 giugno 2015, di rilancio del Ministero della giustizia, è stata prevista la riqualificazione del personale.

Tale iniziativa si aspettava da venti anni e, dopo mille discussioni, con una legge il Ministero della giustizia viene autorizzato finalmente a dare seguito alla riqualificazione, ovvero al passaggio di personale dalla qualifica di cancelliere o di ufficiale giudiziario fino a quella superiore, ovvero a funzionario dell'ufficio unico notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP) o giudiziario. Il problema è che ci si è dimenticati della figura del funzionario informatico, contabile ed esperto linguista. Nell'ambito del Ministero della giustizia esistono anche queste figure professionali che sono state, di fatto, dimenticate. È inutile che ce lo nascondiamo. A seguito della riorganizzazione delle figure professionali nell'ambito del Ministero della giustizia, sono stati individuati questi canali. Ogni persona che entra con una qualifica specifica (che sia contabile, esperto informatico, linguistico o altro) viene ingabbiato in quella qualifica e non può spostarsi. È corretto nel momento in cui i concorsi vengono fatti per quella specifica qualifica. Dopo, però, all'interno di quella qualifica, viene prevista una possibile progressione in carriera a seguito di selezione e non automatica come avviene nell'esercito o in altre Forze armate. Parliamo di una progressione per selezione. Vengono individuati i posti vacanti di una qualifica e vengono messi a concorso, con un corso-concorso e attività particolari, per quelli della qualifica inferiore: questo viene previsto per i cancellieri, i funzionari giudiziari e i funzionari UNEP, ma non per le qualifiche elencate prima.

Posso anche accettare la trasformazione in ordine del giorno, ma mi auguro che il Governo provveda al più presto a sanare anche quelle posizioni. Credo che il Governo non abbia neanche bisogno di una legge per farlo. Una simile riqualificazione della figura professionale può essere avviata mediante contrattazione e al di là della previsione specifica. Pertanto, non vedo ostacoli. Mi auguro che anche per queste qualifiche sia previsto quanto stabilito per tutte le altre.

Accetto quindi la trasformazione in ordine del giorno, sapendo che l'emendamento non verrebbe approvato essendo il decreto-legge blindato ed essendo questa Camera ormai praticamente considerata abolita dal Governo, che la usa solamente per ratificare i propri provvedimenti perché è un obbligo della Costituzione. Prendiamo atto di questo: è meglio un ordine del giorno che niente.

Presidente, spero che queste figure professionali presenti nel Ministero della giustizia trovino adeguata soddisfazione al pari dei propri colleghi.

QUAGLIARIELLO (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUAGLIARIELLO (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Signora Presidente, intervengo anche a nome del collega Giovanardi. Vedo la tessera, ma non il senatore Ciampolillo.

PRESIDENTE. Prego i senatori Segretari di estrarre la tessera del senatore Ciampolillo. (Commenti e applausi ironici dai Gruppi PD e FI-PdL XVII).

Colleghi, con calma.

CIAMPOLILLO (M5S). Vergogna! Vergogna! (Proteste dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. Senatore Ciampolillo, si calmi.

SANTANGELO (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANTANGELO (M5S). Signora Presidente, ricordo a tutti i colleghi... (Commenti dai Gruppi PD e FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. Colleghi, fate parlare il senatore Santangelo.

SANTANGELO (M5S). Ricordo a tutti i colleghi che siamo nell'Aula del Senato, per cui... (Vivaci commenti dai Gruppi PD e FI-PdL XVII).

PRESIDENTE.Senatore Santangelo, procediamo con i lavori. Ciò che dice è qualcosa che dovremmo ricordare sempre.

SANTANGELO (M5S). Mi faccia intervenire perché è una cosa importante. La tessera... (Brusio).

PRESIDENTE.Senatore Crosio, faccia parlare il senatore Santangelo.

SANTANGELO (M5S). La presenza viene valutata e verificata esclusivamente in fase di voto. Eravamo in una fase di discussione... (Vivaci commenti dal Gruppo PD). Non è proprio corretto. Da questo momento in poi le assicuro che su ogni votazione sarò qui ad indicare tutti quei senatori che non sono presenti, uno per uno. Glielo assicuro.

PRESIDENTE.Senatore Santangelo...

SANTANGELO (M5S). Lei faccia il Presidente e richiami nei giusti modi e nella giusta modalità.

PRESIDENTE. Come lei sa, sono state emanate delle direttive, a seguito di una discussione svolta in Consiglio di Presidenza, che prescrivono che quando ci si allontana bisogna estrarre la propria tessera, anche se non si è in fase di votazione. (Applausi dai Gruppi PD e FI-PdL XVII e del senatore Casini). Premesso che il senatore Ciampolillo ha rapidamente ripreso il suo posto... (Proteste del senatore Ciampolillo).

Senatore Ciampolillo, basta! Per fatto personale si interviene al termine della seduta.

Senatore Malan, lei aveva chiesto di intervenire sull'emendamento 2.0.1?

MALAN (FI-PdL XVII). No, signora Presidente.

PRESIDENTE. Allora ho capito male. (Proteste del senatore Ciampolillo).

Senatore Ciampolillo, sulla sua questione è intervenuto il senatore Santangelo. Per fatto personale si interviene al termine della seduta. (Commenti dal Gruppo M5S).

L'emendamento 2.0.1 è stato trasformato nell'ordine del giorno G2.0.1. Senatore Crimi, insiste per la votazione? (Il senatore Buccarella fa cenno di voler intervenire). Senatore Buccarella, intende intervenire sull'ordine del giorno?

BUCCARELLA (M5S). No, signora Presidente...

PRESIDENTE. Sulla questione del senatore Ciampolillo è già intervenuto il senatore Santangelo. (Commenti dal Gruppo M5S).

BUCCARELLA (M5S). Signora Presidente, tranquillizziamoci un attimo.

PRESIDENTE. Bravo, contribuisca anche lei, perché vedo un po' di agitazione intorno a lei.

BUCCARELLA (M5S). Innanzitutto vorrei aggiungere la firma all'emendamento 2.0.1, trasformato in ordine del giorno.

Inoltre, la invito cortesemente, e invito anche i colleghi, anche se capisco che questa è una fase goliardica... (Commenti dal Gruppo PD).

PRESIDENTE.Colleghi, basta.

BUCCARELLA (M5S). Presidente, se lei desse la parola al senatore Ciampolillo, questi potrà spiegare... (Commenti dai Gruppi PD e FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia. Decide la Presidenza a chi dare la parola, quindi vi prego di fare silenzio.

Senatore Buccarella, per fatto personale si interviene al termine della seduta.

Procediamo con i lavori.

Senatore Crimi, eravamo all'ordine del giorno G2.0.1. (Il senatore Ciampolillo scende verso il centro dell'emiciclo chiedendo ripetutamente la parola). Senatore Ciampolillo, non si permetta di intimidire! Ritorni al suo posto, avrà la parola al termine della seduta per fatto personale.

Senatore Crimi, insiste per la votazione? Le ho dato la parola, intervenga o gliela tolgo. (Brusio).

CRIMI (M5S). Signora Presidente, se mi consente di attendere un attimo che si calmi l'Assemblea...

PRESIDENTE.Senatore Crimi, insiste per la votazione dell'ordine del giorno G2.0.1?

CRIMI (M5S). Accolgo la trasformazione in ordine del giorno, ma le chiedo di poter intervenire sull'ordine dei lavori. Me lo consenta, come da Regolamento.

PRESIDENTE. Va bene, senatore Crimi, intervenga pacatamente. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signora Presidente, trovo assolutamente vergognoso - lo devo dire e mi dispiace - che una cosa così seria sulla quale... (Ripetuti commenti dai Gruppi PD e FI-PdL XVII). Ecco, signora Presidente, questo trovo vergognoso.

PRESIDENTE. Colleghi, vi prego.

CRIMI (M5S). Trovo vergognoso che su una questione così seria, con il Governo che ha fatto le sue battaglie sui furbetti del cartellino (Applausi dei senatori Buccarella e Lezzi), ripeto su una cosa così seria... Perché i senatori che votano per altri sono una prassi in questi partiti, permetta... (Commenti dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Non le consento di dire questo, senatore Crimi. Non le consento di dire che è la prassi che si voti per altri.

SANTANGELO (M5S). Lo faccia parlare!

CRIMI (M5S). Era la prassi finché qualcuno non ha cominciato a denunciare la situazione, a partire dal collega Ciampolillo e da tutto il Gruppo Movimento 5 Stelle. Adesso è una cosa veramente vergognosa che si venga a fare questa ola da stadio su un fatto che dovrebbe essere serio e in relazione al quale tutti dovrebbero assumere l'impegno a verificare che nessuno... (Commenti dal Gruppo PD).

FERRARA Mario (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Non è un intervento sull'ordine dei lavori! (Commenti del senatore Stefano Esposito).

PRESIDENTE. Senatore Esposito, stia zitto. La richiamo. (Commenti del senatore Stefano Esposito). La richiamo per la seconda volta.

AIROLA (M5S). Lei non è in grado di gestire! (Vivaci proteste dal Gruppo M5S).

CRIMI (M5S). Si tratta di una truffa perpetrata ormai da anni. (Commenti dal Gruppo PD).

CALDEROLI (LN-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDEROLI (LN-Aut). Signora Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori, anzi sul disordine dei lavori.

Chi di scheda ferisce, di scheda perisce. (Applausi dal Gruppo PD. Commenti dal Gruppo M5S). Fermo restando ciò, credo che lei abbia commesso un errore non dando la parola al senatore Ciampolillo, perché si sarebbe trattato non di un intervento a titolo personale, ma di legittima difesa, perché il senatore Ciampolillo si era allontanato togliendo la tessera. (Applausi dal Gruppo M5S). La tessera è stata purtroppo confusa con quella del senatore Girotto. Ciò nonostante, il senatore Ciampolillo non deve rompere... (Commenti dal Gruppo PD. Applausi dai Gruppi LN-Aut e M5S).

PRESIDENTE. Senatore Calderoli, apprezziamo la sua difesa. Ne prendiamo atto, ma c'era comunque una scheda in più.

BOTTICI (M5S). Ma cosa sta dicendo!

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Signora Presidente, mi dispiace essere stato causa di tutto questo trambusto, ma questa mattina, quando si è aperta la seduta, ero qui. Poi ho accompagnato dal prefetto di Roma... (Commenti dal Gruppo PD. Proteste dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. Senatore Giovanardi, per fatto personale parla anche lei al termine della seduta.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Le spiego che ero dal prefetto di Roma con una delegazione di cittadini dell'Eur... (Commenti dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. Mi spiace, le ragioni della sua assenza le potrà dire al termine della seduta. Come non l'ho data al senatore Ciampolillo, non posso dare neanche a lei la parola per fatto personale.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Lei è recidiva nel togliermi la parola!

PRESIDENTE. No, il problema è che lei prende la parola impropriamente, non che io gliela tolgo.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Non abusi della mia pazienza se non sa fare il suo mestiere!

FALANGA (AL-A). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FALANGA (AL-A). Signora Presidente, ho davvero una considerevole stima per il senatore Crimi e per il senatore Buccarella, tanto che avevo chiesto la parola per essere autorizzato da loro a sottoscrivere l'emendamento 2.0.1, che condivido.

A proposito di questi ultimi incidenti, devo però dire che la difesa sia del senatore Buccarella che del senatore Crimi mi pare davvero commovente, perché la regola è che chi si allontana dall'Aula deve portare con sé la scheda. (Proteste dal Gruppo M5S. Il senatore Ciampolillo fa cenno di voler intervenire).

Concludo. Che piaccia o no, cari senatori del Movimento 5 Stelle, la regola vale per tutti, quindi anche per voi. Rispettatela! (Applausi dai Gruppi AL-A e PD. Proteste dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE.Torniamo all'esame dell'ordine del giorno.

CRIMI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signora Presidente, stavo aspettando il pronunciamento del relatore e del rappresentante del Governo sull'ordine del giorno con riferimento alla proposta di riformulazione.

PRESIDENTE. Senatore Crimi, vuole illustrare a voce la formulazione o l'ha già comunicata per iscritto?

CRIMI (M5S). La formulazione è la seguente: "Si impegna il Governo a risolvere le problematiche indicate nell'emendamento 2.0.1". (Commenti del senatore Ciampolillo).

Vorrei anche aggiungere, con tutto il rispetto che ci può essere in questi casi, che non accetto l'aggiunta di firma del senatore Falanga, in considerazione dei commenti con cui ha accompagnato la sua richiesta.

PRESIDENTE. È suo diritto, senatore Crimi, e la Presidenza ne prende atto.

Invito il relatore e il rappresentante del Governo a pronunziarsi sull'ordine del giorno in esame.

RUSSO, relatore. Invito il Governo ad accoglierlo.

MIGLIORE, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signora Presidente, esprimo parere conforme a quello del relatore.

PRESIDENTE. Essendo stato accolto dal Governo, l'ordine del giorno G2.0.1 non verrà posto ai voti.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, l'emendamento 2.0.2 è improcedibile.

Passiamo alla votazione finale.

BONFRISCO (CoR). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. (Commenti del senatore Ciampolillo).

Senatore Ciampolillo, è stato già chiarito che per fatto personale si interviene a fine seduta, così come farà il senatore Giovanardi.

Prego, senatrice Bonfrisco. (Brusio).

BONFRISCO (CoR). Signora Presidente, attendo solo un attimo, affinché i senatori escano dall'Aula, visto il momento di particolare agitazione che abbiamo appena vissuto.

Vorrei iniziare il mio intervento in dichiarazione di voto ricordando alla Presidente e al rappresentante del Governo qui presente che, dall'inizio della legislatura al 15 giugno 2016, sono stati emanati ben 70 decreti-legge e quindi, con questo, se non abbiamo perso il conto, andiamo almeno a quota 71 decreti-legge. (Brusio. Richiami della Presidenza). Del decreto-legge in esame, dunque, c'era grande necessità? La sua emanazione viene giustificata dal fatto che a febbraio è stato finalmente emanato il regolamento di attuazione delle norme per il processo telematico, ma al contempo si dice che è indispensabile modificare altre norme del codice del processo amministrativo. In parole povere, era il 2010 quando fu adottato il codice del processo amministrativo e venne prevista la facoltà di smaterializzare tutta l'attività burocratica connessa alla procedura, ma nulla è stato fatto dal 2010 ad oggi, tanto che nel 2014 fu emanato un altro decreto, con cui questa volta si stabilì l'obbligo di informatizzazione del processo amministrativo, come se fosse molto diverso dalla smaterializzazione prevista dal decreto precedente. Lo stesso articolo 38 di quel decreto prevedeva, però, che questa innovazione entrasse in vigore sei mesi dopo, lievitati sino ad arrivare ad oggi, di proroga in proroga, quando ancora si insiste a prevedere un periodo facoltativo di sperimentazione fino al 2017, che nei fatti costituisce un'altra proroga. (Brusio).

Scusi, signora Presidente, ma non penso sia possibile continuare.

PRESIDENTE. Colleghi, senatore Crosio, senatrice Blundo! (Commenti del senatore Santangelo. La senatrice Paglini riprende con il cellulare il senatore Ciampolillo).

Dovrebbe essere cura di ciascun senatore...

BONFRISCO (CoR). Signora Presidente, l'intervista in Assemblea è una cosa che ancora non avevamo visto.

PRESIDENTE. Prosegua, senatrice Bonfrisco.

BONFRISCO (CoR). Mentre in Europa si discute e si disegna il mercato unico digitale, in cui il nostro Paese risulta in posizione decisamente arretrata - e non è questa la sede per ricordare per quanti e tanti motivi il nostro Paese subisce ancora un drammatico gap da questo punto di vista - siamo qui a votare un decreto-legge per prorogare ancora l'entrata in vigore del solo processo amministrativo telematico. Sul tema dello sviluppo digitale, l'Europa (anzi, il buon senso, vorrei dire), impone piani di azione pluriennale.

In Italia sono stati adottati, in questa prospettiva, la strategia per la crescita digitale 2014-2020 e la strategia per la banda ultra larga. Questo approccio, però, richiede una chiara individuazione delle priorità e soprattutto la fissazione delle scadenze per la realizzazione degli obiettivi.

Mentre noi con questo decreto-legge, da una parte, chiediamo allo Stato di impegnarsi con le risorse dei cittadini per l'infrastrutturazione della banda larga nel nostro Paese, per poter correre verso il futuro e per realizzare un efficientamento del sistema burocratico pubblico, dall'altro, sempre in questo stesso decreto, proroghiamo l'entrata in vigore delle modalità affinché l'infrastrutturazione della banda larga diventi una realtà vera nei servizi che dobbiamo poter rendere a imprese e cittadini.

È evidente che questa doppia velocità, quella italiana e quella europea, è dettata da una non incisiva azione politica di questo Esecutivo che rinuncia ad imporre una vera e propria accelerazione per avvicinare il nostro Paese al traguardo dell'e-government.

Cittadini ed imprese chiedono a gran voce di velocizzare la macchina burocratica, che è una zavorra insostenibile per lo sviluppo economico del Paese e per il libero esercizio d'impresa. E su questo, infatti, l'Europa si sta muovendo, per favorire anche la mobilità transfrontaliera.

La Commissione, tra le altre iniziative, intende presentare entro il 2017 una proposta per creare uno sportello digitale unico, che consenta agli utenti di completare interamente online le principali procedure amministrative negli Stati membri, e sta lavorando per realizzare, sempre entro il 2017, l'interconnessione obbligatoria di tutti i registri delle imprese dei Paesi UE.

Ma come vede, di proroga in proroga, di decreto-legge in decreto-legge, le imprese vanno in una direzione e la pubblica amministrazione, compresa la giustizia, va nella direzione opposta. Sono previste altre iniziative in ambito di giustizia, e sono specifiche. Riguardano i registri fallimentari, il trasporto marittimo, la registrazione e il pagamento dell'IVA, la mobilità professionale. Quello è il mondo reale del presente e del futuro e noi invece votiamo un decreto che ci condanna a stare nel mondo del passato.

Nel nostro Paese, invece, il Governo chiede al Parlamento altri sei mesi, non per completare l'intero processo dell'e-government, ma solo per introdurre la dematerializzazione degli atti per il processo amministrativo telematico.

Chi conosce la struttura del processo amministrativo, sa che questa incide fortemente sull'attività delle imprese, tanto che le nostre imprese hanno all'interno dei loro bilanci una voce contenzioso, per lo più di tipo amministrativo, che ne appesantisce notevolmente l'attività, anche per la lentezza delle procedure e soprattutto per i costi della materializzazione.

Noi, invece di alleggerire i costi che le imprese hanno nei loro bilanci, alla voce contenzioso, in particolare di tipo amministrativo, e che rappresenta un fardello notevole, continuiamo a prorogare, di altri sei mesi, l'introduzione non tanto del completamento dell'e-governement ma addirittura di una piccola parte di esso, che è solo quello legato alla dematerializzazione del processo amministrativo.

Ormai non c'è più da stupirsi. D'altra parte, questo Paese è governato da chi è riuscito a far pubblicare in Gazzetta Ufficiale il testo del nuovo codice degli appalti con 181 errori sui 220 articoli.

Signora Presidente, queste sono alcune delle motivazioni per le quali io, a nome dell'intero Gruppo dei Conservatori e riformisti (che ha guardato con orrore a questo testo per il ritardo che ancora accumuliamo), esprimo un convinto no alla conversione di questo decreto-legge. (Applausi dal Gruppo CoR).

Sui lavori del Senato

CRIMI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signora Presidente, mi perdoni, ma alle ore 9,30 di questa mattina si è dato mandato al relatore a riferire sul disegno di legge sull'editoria (lo ripeto: alle ore 9,30 di questa mattina), che non è un provvedimento qualunque. Ci sono stati stravolgimenti in Commissione, sono state fatte modifiche sostanziali, ci sono stati interventi per cui lo stesso relatore ha detto che dovremo vedere come affrontare quei temi. Non è quindi possibile fissare un termine per la presentazione degli emendamenti in Assemblea alle ore 11,45. Alle ore 9,30 viene dato al relatore il mandato a riferire su un provvedimento esaminato in fretta e furia, con il ritiro di tutti gli emendamenti da parte dei colleghi (altrimenti l'esame non si sarebbe concluso) e poi si fissa il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 11,45? Siamo veramente al ridicolo, signora Presidente.

Stiamo parlando di un provvedimento che è rimasto congelato per tanto tempo, perché nel PD non si trovava l'accordo con Gasparri (Applausi dal Gruppo M5S) e oggi in tutta fretta si fissa il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 11,45.

Prego la Presidenza di fissare un termine congruo, almeno alle ore 13,30. Non sto chiedendo di rimandarlo a domani, come sarebbe logico, ma almeno a un orario che consenta di scrivere gli emendamenti, dal momento che sono state fatte delle modifiche in Commissione. Credo sia una richiesta legittima, nel senso che non sto chiedendo di stravolgere tutto, ma di arrivare alle ore 13,30, se è possibile: anzi, non solo è possibile, perché è auspicabile.

PRESIDENTE. Senatore Crimi, credo che la sua richiesta sia fondata e legittima. La presenterò al Presidente, non avendo io autonomia in tal senso. Penso però che sia assolutamente giustificata, quindi sarà data notizia ai Gruppi dell'eventuale rinvio.

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 2500 (ore 11,20)

FALANGA (AL-A). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FALANGA (AL-A). Signora Presidente, un ragazzino chiese a suo padre di spiegargli la differenza tra pratica e teoria e il papà, per farlo, gli fece un esempio. Io in quest'Assemblea non posso dire quali furono quella spiegazione e quell'esempio, anche perché furono espressi in forma dialettale napoletana; magari al Sottosegretario, che è napoletano come me, dirò in forma privata quale fu l'esempio che il padre fece al figlio per spiegargli questa differenza tra pratica e teoria.

Come Gruppo abbiamo deciso di votare a favore del provvedimento in esame, ma per farvi comprendere la differenza tra pratica e teoria con un esempio più consono a quest'Assemblea, vi dico che nella giornata di martedì mattina io non ero presente in Aula perché ero impegnato in un processo esecutivo presso il tribunale di Napoli. Ebbene, nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare con un corposo patrimonio sottoposto a pignoramento, il debitore aveva prodotto telematicamente la rinuncia del creditore principale e una rateizzazione con Equitalia creditore interveniente. Questi due atti avrebbero dovuto immediatamente fare in modo che il giudice interrompesse la procedura in danno del debitore, ma sono stato informato da uno dei miei collaboratori che purtroppo quel deposito digitale non era stato ancora lavorato e quindi trasferito sul portale del giudice; pertanto, quella mattina il giudice non avrebbe potuto fare alcun provvedimento di interruzione e sarebbero state necessarie quindi ulteriori attività particolarmente onerose a carico del debitore. Per tale ragione sono andato io con le due denunce dattiloscritte. Le ho prodotte al giudice, il quale, dopo averle lette ed esaminate, si è riservato di decidere e, nel corso della giornata, ha adottato il provvedimento di estinzione.

Signor Sottosegretario, signori colleghi della maggioranza, la previsione di un processo telematico, la previsione della firma digitale, la previsione della trasmissione attraverso via telematica degli atti da parte degli avvocati, che giungono sul portale del giudice affinché egli possa leggerli, valutarli e decidere, è un orientamento che non può che essere condiviso, non soltanto da chi è in maggioranza in questo momento, ma anche da parte di chi è all'opposizione. Sono temi che non hanno appartenenza politica. La giustizia, insieme alla sanità e alla scuola, rappresenta uno dei tre pilastri portanti di una democrazia. Il senatore, a qualunque forza politica appartenga, che esprime un voto diverso da quello che è il suo convincimento per seguire le linee indicate dal leader, dal capo o da come si vuol chiamare colui che dà le indicazioni, è un parlamentare che non ha rispetto per il suo elettorato né per il mandato che gli è stato conferito dagli elettori.

Ho sempre votato secondo la mia coscienza e i miei convincimenti (per carità talvolta sbagliati, ma ho sempre fatto così). È per questa ragione che avevo anticipato la mia volontà di chiedere ai senatori Crimi e Buccarella di sottoscrivere l'emendamento 2.0.1, poi trasformato in ordine del giorno. Per la verità, è stato troppo tempestivo il senatore Crimi nel rifiutare la mia firma, perché ancora non glielo avevo chiesto: avevo anticipato l'intenzione di chiederla, ma ancora non l'avevo chiesta. Il senatore Crimi non ha acconsentito.

Quando ho dichiarato la mia stima per i senatori Crimi e Buccarella l'ho fatto con sentimento assolutamente sincero perché, valutando le loro proposte e i loro emendamenti, ho sempre potuto apprezzare - per lo meno nel campo di mia più specifica applicazione, cioè la giustizia - un buon equilibrio, una saggezza e, devo dire, anche una solida preparazione. Quindi quanto accaduto mi dispiace molto.

Ho detto che era commovente la difesa fatta dal senatore: era commovente, sì, ma questa è un'espressione che noi usiamo nelle aule di giustizia quando in qualche modo vogliamo svilire le tesi del nostro avversario; invece poi mi sono davvero, seriamente commosso quando mi è stata rifiutata la possibilità di aggiungere la firma a quell'emendamento, che era giusto e sul quale forse il Governo e la maggioranza avrebbero dovuto fare una riflessione più approfondita per accoglierlo.

Torno al punto iniziale, ossia alla difficoltà di applicazione della norma in un sistema che richiede, a tal fine, l'adeguamento delle strutture. Si tratta di un'attività che deve fare qualsiasi Governo: legiferare è facile, ma scrivere sulla carta ciò che è giusto fare in teoria, non può essere in contrasto con quello che, poi, effettivamente è possibile fare. Vi è una oggettiva difficoltà a dare attuazione a tecniche e ammodernamenti del servizio della giustizia, utili per accelerare i tempi e migliorarne l'economia, così da fare in modo che il nostro Paese sia competitivo a livello europeo e internazionale, come diceva la senatrice Bonfrisco. Ebbene, questo è indubbiamente un provvedimento che va in quella direzione.

Ma noi stamattina approviamo la quarta proroga, signor Sottosegretario, e lei pensa che possa essere l'ultima? Lei è convinto che, nell'arco di questo ulteriore periodo di tempo, si possano realizzare quei presupposti per far in modo che il processo amministrativo telematico possa essere varato definitivamente?

L'esperienza dell'esempio che poc'anzi vi ho indicato, cioè il deposito di un atto che non viene lavorato e che non va quindi all'esame del giudice, mi ha portato a fare quello che facevo da sempre: consegnare materialmente in cancelleria l'atto, ovviamente con un impegno di energie e di tempi, cosa che avrei potuto evitare con la trasmissione telematica. Ma la trasmissione telematica, che pure ormai è legge nel nostro Paese, non funziona.

Signor Sottosegretario, faremo adesso il processo amministrativo con firma digitale. Ma funzionerà? È questo ciò di cui ella, il suo Governo e la sua maggioranza si devono preoccupare. Noi in quest'Aula non possiamo che dire che va bene e che vi concediamo la quarta proroga. Ma io mi auguro, signor Sottosegretario, che non sarete qui, alla scadenza del termine ulteriormente fissato, a chiedere un'ulteriore proroga con un decreto-legge perché con questa metodologia voi incorrete in un vizio di costituzionalità. Infatti, se fate ricorso alla decretazione d'urgenza per risolvere un problema in tempi veloci, sicché l'iter legislativo ordinario non è praticabile, quando questa decretazione d'urgenza si ripete sino ad arrivare a due, tre o quattro anni dalla sua originaria e prima proposizione, quell'urgenza che accompagnò e consentì di superare il vaglio di costituzionalità diventa un macigno non più superabile.

Per il momento noi, condividendo sostanzialmente gli obiettivi della riforma, pur con le denunce che abbiamo fatto sul tema dello scivolamento delle graduatorie e quant'altro, voteremo a favore di questo provvedimento. Ma, signor Sottosegretario, signori della maggioranza, ove mai ci riproporrete nei prossimi tempi una proroga ulteriore, vi diciamo sin d'ora che non riusciremo a superare quel vizio di incostituzionalità che accompagnerebbe il provvedimento.

STEFANI (LN-Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STEFANI (LN-Aut). Signora Presidente, stiamo parlando di un decreto‑legge di ulteriore proroga di termini, che continua purtroppo una cattiva pratica del Parlamento italiano, che spesso utilizza questo sistema, quasi a voler dimostrare un assoluto fallimento di una modalità che si voleva operare.

Continuare a prevedere una proroga dei termini ha creato dei problemi non da poco, perché ovviamente per gli operatori del settore, trovarsi con un sistema che non è esattamente in uso crea ritardi, le solite lungaggini e comunque una situazione di incertezza.

Tra l'altro, stiamo parlando di un ambito, come quello del processo amministrativo, che è particolarmente delicato. La giustizia amministrativa è quel tipo di giustizia che mette a confronto il cittadino con l'apparato pubblico. È quindi una giustizia che deve essere particolarmente seguita e particolarmente efficiente, perché è l'altare sul quale viene consacrato il rispetto della legalità e del diritto da parte della pubblica amministrazione. Per cui, a maggior ragione, il sistema del processo amministrativo deve essere efficiente.

Si deve tenere conto, tra l'altro, del fatto che ultimamente gli aggravi di costo che sono stati imposti soprattutto in questa ultima legislatura per il processo amministrativo, grazie ad un aumento smisurato del contributo unificato, rendono veramente difficile il ricorso alla giustizia amministrativa anche dal punto di vista economico. Questo è solo un inciso, per dire che noi vogliamo credere che il processo amministrativo debba essere strutturato in maniera tale che al cittadino possa essere riconosciuto un diritto.

Per quanto riguarda il processo telematico, ci crediamo nonostante la sua prima applicazione. Personalmente, conosco il processo civile telematico, con tutte le perplessità che solleva un programma portato in uso a degli avvocati che, nella loro formazione, non hanno certamente avuto l'informatica e sono costretti ad avventurarsi in un programma talvolta difficile, che si blocca creando ritardi e anche difficoltà di interpretazione delle norme relative alla sua applicazione.

Il processo telematico è richiesto in particolare nel processo amministrativo, perché dovrebbe aumentare la velocità e agevolare l'attività di cancelleria, evitando appesantimenti. Se il sistema giustizia funzionasse in sé, probabilmente non avremmo bisogno di questi meccanismi. Credo ancora alla bellezza di leggere un testo di legge sul cartaceo, alla possibilità di studiare le proprie materie sulla carta, sottolineando, invece che di leggerle sullo schermo del computer, ma bisogna anche tenere conto di quanto il mondo sia cambiato. Basti pensare ai testi sui quali si studia il diritto. Visto che si parla del processo amministrativo, c'è un testo che era in uso nella facoltà dove ho studiato, il Sandulli, che è stato talmente rimaneggiato negli anni che, partendo da una veste di quasi 300 pagine, è arrivato ad averne più di 2000. Studiare diritto amministrativo, quindi, significa studiare uno, o due tomi, per un totale di quasi 2000 pagine, a dimostrare quanto sia complesso, oggi, il mondo del diritto e quanto sia complessa la normativa.

In tale complessità, il processo telematico doveva essere una soluzione ed invece, come vediamo, si continua a rinviare e probabilmente questi sistemi arriveranno a regime tra cinque anni, almeno lo speriamo.

Visto che nel titolo del decreto-legge si parla di proroghe e poi, alla fine, si parla di assunzione di personale amministrativo, cogliamo l'occasione per sancire quel che abbiamo denunciato nelle questioni pregiudiziali che abbiamo proposto su quasi tutti i decreti-legge e cioè la disomogeneità della materia, sempre che non si voglia considerare che il processo telematico risponde alle necessità di efficienza e avere personale di cancelleria dovrebbe rispondere alla medesima esigenza. È l'unica connessione che possiamo intuire.

Il problema della carenza di personale nei tribunali è gravissimo e rappresenta quello che è stato un vero e proprio fallimento della politica di mobilità interna. Basti pensare che attualmente, negli uffici giudiziari, tra segretari, cancellieri e commessi mancano più di 9.000 unità: nel foro in cui lavoro, c'è una carenza di personale amministrativo di cancelleria superiore al 25 per cento. Stiamo parlando di un sistema giustizia che, anche se rinforzato dall'arrivo di nuovi magistrati come ha promesso il ministro Orlando, se manca chi predispone gli atti, raccoglie i depositi, prepara le formule esecutive, stende i decreti ingiuntivi, cioè il personale di cancelleria, alla fine si paralizza. Arriviamo quindi a questa "iniezione" di 1.000 unità di personale, che è assolutamente irrisoria nel panorama italiano e noi continuiamo a dire che la giustizia non è un tema che interessa solo gli avvocati, i magistrati o una piccola nicchia dei nostri concittadini. Se non funziona il sistema giustizia, non funziona il sistema Paese. È un indice di grave inaffidabilità del Paese per l'impresa, ma anche per il singolo cittadino, che se non avverte la possibilità di ottenere giustizia, arriva a pensare che la giustizia se la può fare da sé. Questa è una preoccupazione che ci affligge, perché il cittadino deve credere nella giustizia e la giustizia funziona nel momento in cui abbiamo persone che funzionano: la giustizia non è una rappresentazione della signora bendata con le bilance, non è una filosofia; la giustizia è fatta dalle persone che sono dentro i tribunali, da magistrati e cancellieri seri.

Tra l'altro, questa iniezione di mille unità avviene con un metodo che appare, per certi versi, anche arcano. Si dice che si può ricorrere alle liste di mobilità e alle graduatorie già esistenti, ma ricordo che, al punto 2‑septies, si dice che tutto questo deve avvenire in deroga ai limiti assunzionali previsti dalle normative vigenti in materia di turnover. Se allora si possono fare deroghe in tal senso, utilizzatele anche per le forze di polizia e per tutte le assunzioni che dovrebbero essere fatte. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

Creiamo così un panorama di addetti attinti da liste e graduatorie nate per tutt'altra funzione, mentre chi fa il cancelliere deve saperlo fare, avere dei fondamenti di diritto e una formazione specifica, ciò che non viene assicurato immettendo persone che per capire come funziona il sistema informatico del processo civile telematico impiegheranno anche anni. C'è bisogno di una formazione che non è assicurata, quindi abbiamo un numero di personale assolutamente irrisorio e personale che non è formato, secondo il solito sistema italiano per cui si dice di aver fatto, ma alla fine non si è fatto un bel nulla. Ci troviamo sempre con lo stesso panorama italiano.

Bisogna affrontare le tematiche non con i decreti-legge e le proroghe, ma in maniera sistematica, considerando tutto l'insieme. In questo modo si fanno delle vere riforme e non meri slogan, come potrebbe essere questo.

Per le ragioni ora espresse, il Gruppo della Lega Nord esprimerà un voto di astensione su questo provvedimento. Ci asterremo perché riteniamo che il processo telematico debba essere attivato e che queste mille unità debbano arrivare. Per il resto, abbiamo rappresentato tutte le nostre perplessità. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Signora Presidente, noi di Sinistra Italiana abbiamo sempre ritenuto che l'entrata in vigore del processo amministrativo telematico fosse un'innovazione di fondamentale rilievo, oserei dire quasi epocale. Per la verità, così era stata annunciata. Guardandolo dal punto di vista del cittadino, è un'innovazione che comporterebbe certamente un miglioramento del sistema del processo e, soprattutto, un rafforzamento del diritto del cittadino ad avere giustizia. Non ci deve sfuggire che stiamo parlando del processo amministrativo, ma sappiamo quanto anche i procedimenti che si svolgono davanti al TAR e i vari ricorsi al Consiglio di Stato abbiano molto a che fare con i diritti dei cittadini. Abbiamo quindi accolto con grande perplessità questo decreto-legge, come già illustrato ieri durante l'esame delle questioni pregiudiziali, perché è la quarta proroga. Ora siamo abituati agli annunci, soprattutto sulla parte che riguarda l'innovazione e il digitale, su cui da due anni ascoltiamo annunci roboanti ed epocali, ma purtroppo il decreto-legge di cui trattiamo ci conferma che non erano state poste basi adeguate per l'entrata in funzione del processo telematico. Vorrei infatti ricordare a tutti noi che l'ultima proroga aveva previsto l'entrata a regime già dal 1° luglio 2016 e che oggi è nuovamente prorogata a gennaio 2017, con una sperimentazione - questa, tra l'altro, introdotta dalla Camera dei deputati - fino a marzo 2017.

Parlavo degli annunci, a cui però non segue mai una capacità di direzione del lavoro e quindi di buon andamento dell'amministrazione per fare in modo che poi i termini per l'entrata in vigore di innovazioni importanti e fondamentali come questa possano essere rispettati in modo efficace.

Ma perché si è arrivati ancora una volta alla proroga? Perché vi sono stati moltissimi problemi che hanno causato questo rinvio. Non voglio tediarvi a lungo su tutte le vicende che hanno riguardato, in particolare, anche gli avvocati e le procedure di sperimentazione. Certo, lo voglio dire al Sottosegretario, la sperimentazione che è stata posta in essere, tra l'altro presso strutture pilota che avrebbero dovuto assicurare la preparazione degli avvocati, è stata tenuta in termini oggettivi e temporali tali da non consentire una effettiva partecipazione e quindi, in realtà, non è stata davvero efficace.

Si sono verificati problemi tecnici di varia natura ed errori che indicano una scarsa capacità di dar vita all'applicazione e all'entrata in vigore di innovazioni che - torno a ripeterlo - per noi sono importanti, perché crediamo nel processo telematico e riteniamo che questo possa essere un'ulteriore garanzia per i cittadini.

Vi è poi un'altra questione, che non ci è ben chiara e che è il motivo per cui, purtroppo, riteniamo che anche questo decreto-legge, e quindi la quarta proroga, rischi di non essere risolutivo. Non abbiamo ben compreso se le questioni emerse, come il grave ritardo della sperimentazione e le criticità, sia sostanziali che tecniche, che lo hanno accompagnato, si avviino a soluzione o se si siano messe in atto procedure per rimuovere le criticità.

Non ci è ben chiaro inoltre se effettivamente sia stato preso in considerazione il problema che sta alla base dell'attuazione del processo telematico amministrativo, cui ha fatto cenno anche la collega Stefani parlando del processo telematico civile. Mi riferisco al problema legato alla tenuta della rete informatica, su cui si basa il funzionamento del sistema del nuovo processo. La rete informatica è stata adeguatamente rinforzata, in considerazione della necessità di operare in termini molto più ampi di quanto avveniva in precedenza? Questo rinforzo è adeguato a sostenere il peso delle nuove attività? Tutte queste questioni erano già emerse in fase di sperimentazione ed hanno portato nei fatti a questa quarta proroga e onestamente non abbiamo ben compreso - né al riguardo abbiamo ricevuto notizie chiare - se soprattutto la questione della rete sia stata adeguamente affrontata in termini di risorse - e al riguardo ho qualche dubbio - e in termini di capacità professionali sotto il profilo informatico. Manteniamo su questo punto moltissime perplessità, soprattutto perché riteniamo che questo decreto-legge alla fine rischi, ancora una volta, di non essere risolutivo proprio per i gravi ritardi che si sono accumulati.

Durante l'esame alla Camera - torno su questo punto - sono stati introdotti sedici commi che fanno sì che si possa arrivare, con una procedura accelerata e speciale, all'assunzione a tempo indeterminato di mille persone. La carenza cronica e gravissima di personale nell'amministrazione della giustizia nel nostro Paese è sotto gli occhi di tutti e l'abbiamo denunciata varie volte, quindi certamente può essere una buona notizia il fatto che qualcosa si muova e che forse mille persone saranno assunte.

Le questioni che abbiamo posto, relative alle assunzioni straordinarie, sono legate al fatto che non è ben chiaro, e onestamente ancora non abbiamo ben compreso, quale sarà il meccanismo riguardante la parte di personale che dovrebbe essere assunta attraverso lo scorrimento delle graduatorie di tutti i concorsi pubblici. Intanto non abbiamo notizia - lo chiederemo alla ministra Madia - di quanti effettivamente siano coloro che sono nelle graduatorie ancora valide. Ho il sospetto che siano decine di migliaia, quindi la domanda sorge spontanea: in base a quali criteri verranno selezionati e con quali criteri si attingerà ad una graduatoria o all'altra?

Il criterio fondamentale dovrebbe essere la possibilità di impiego, quindi di professionalità e di ruoli adeguati, per ricoprire gli incarichi all'interno dell'amministrazione della giustizia. Il vero sospetto che abbiamo è che, alla fine, non avremo nuovi concorsi, perché - torno a ripetere - stiamo parlando forse di decine di migliaia di persone che hanno vinto un concorso e sono nelle graduatorie ancora valide. Nel decreto si parla di concorso, ma non abbiamo alcuna garanzia che tale concorso sarà bandito.

Qui nasce un problema, che ho posto con un ordine del giorno che è stato approvato, e che è molto grave: denuncio qui la situazione dei tirocinanti, che continuo a chiamare precari, che lo Stato, con 400 euro, ha utilizzato, anche con procedure non proprio chiare (di fatto con un vero e proprio meccanismo di sfruttamento). Si tratta di persone che sono state formate con risorse pubbliche e che oggi rischiano di essere definitivamente estromesse, perché per quelle mille o anche duemila unità di cui si autorizza l'immissione in ruolo si rischia, ricorrendo al solo meccanismo delle assunzioni tramite lo scorrimento delle graduatorie, di non avere concorsi cui i tirocinanti possano partecipare con un titolo preferenziale.

Per tutti questi motivi e perplessità che noi abbiamo, annunciamo il nostro voto di astensione. (Applausi dal Gruppo Misto-SI-SEL).

MANCUSO (AP (NCD-UDC)). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANCUSO (AP (NCD-UDC)). Signora Presidente, il provvedimento in esame, che è stato discusso in Commissione, reca due temi importanti. Il primo è quello della proroga, motivo per cui è stato proposto, e il secondo è quello della carenza di dipendenti nelle strutture giudiziarie, carenza cui il Governo vuole in qualche modo rimediare. È dal 2001 che si pratica la sperimentazione sulle modalità tecnico-operative per il procedimento telematico nella giustizia e soltanto da due anni si è avuta un'accelerazione di questa sperimentazione ed è quindi quasi naturale che ci possano essere ritardi nella pratica sperimentale del processo telematico.

Per questo motivo, nonostante susciti un po' di perplessità, la proroga deve essere accettata, perché il percorso iniziato deve assolutamente continuare ed essere concluso. Infatti, con riferimento alla richiesta e alla necessità di efficientazione e velocizzazione del processo telematico amministrativo, occorre concludere la fase sperimentale e, quindi, dal 1° gennaio 2017 - con l'auspicio che si tratti dell'ultima proroga - ricorrere all'obbligatorietà della firma digitale. Il percorso è quindi assolutamente necessario e, nonostante le perplessità, giustifichiamo la richiesta di proroga da parte del Governo, perché riconosciamo la necessità di chiudere con la fase di sperimentazione tecnico-operativa. Voteremo quindi a favore del provvedimento in esame.

Il secondo tema è quello delle assunzioni, in relazione al quale le perplessità aumentano. Condividiamo in parte quello che è stato detto anche dai colleghi dell'opposizione, perché non è chiara la modalità complessiva con cui verranno assunti questi nuovi impiegati della giustizia, aventi un profilo non dirigenziale. Salutiamo però con favore il fatto che altre 1.000 unità possano andare a rimpinguare la platea dei lavoratori della giustizia, così consentendo di organizzare meglio il sistema giudiziario, di cui sono assolutamente palesi le debolezze e la necessità di una ristrutturazione e di un miglioramento, dovuta soprattutto alla carenza di organico.

Il Sottosegretario ha parlato di quasi circa 10.000 posti vacanti che devono essere coperti. Per la loro copertura ci sono già, all'interno del provvedimento, linee guida precise perché, oltre ai 1.000 che verranno assunti (mi auguro che il successivo decreto del Ministro possa dare equilibrio a queste assunzioni), c'è anche l'impegno del Governo a stabilizzare 3.000 precari della giustizia che in questo momento, in tutte le Regioni d'Italia, anche con convenzioni a macchia di leopardo sul territorio nazionale, riescono, con buona volontà, a far funzionare e mandare avanti il sistema della giustizia. È però chiaro che la buona volontà può esaurirsi; le motivazioni devono venire anche da un'adeguata retribuzione e, quindi, la stabilizzazione di questi tirocinanti deve essere un obiettivo che il Governo deve perseguire.

Purtroppo, il passaggio per mobilità di parte dei dipendenti della Provincia ai ruoli giudiziari non ha avuto grande successo, perché soltanto 366 unità hanno fatto questa richiesta.

Nei prossimi tre anni, se ci sarà la dotazione finanziaria - credo e mi auguro che questa copertura ci possa essere - si faranno dei concorsi, per cui raccomandiamo al Governo di dare, possibilmente, spazio a nuovi assunti.

In definitiva, nel complesso, si tratta di un provvedimento a cui dobbiamo necessariamente aderire, nonostante qualche problematica che, ripeto, ci lascia insoddisfatti. Mi viene in mente in proposito un aforisma di Flaiano: ci auguriamo che, questa volta, non tutto quello che è provvisorio diventi definitivo (Applausi dal Gruppo AP (NCD-UDC)).

CRIMI (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Ci troviamo di fronte all'ennesimo decreto-legge. Ormai il decreto-legge è la prassi, non solo per fatti urgenti e indifferibili, ma viene utilizzato per le proroghe. Il decreto-legge è diventato infatti lo strumento utilizzato all'ultimo momento, quando il Governo si rende conto che ciò che aveva pensato di realizzare non è realizzabile, benché qualcuno magari, al momento della stesura del primo disegno di legge, lo avesse fatto notare al Governo che aveva scritto tale norma e avesse indicato tempi diversi. Ci si trova quindi di fronte alla quarta proroga, rispetto a qualcosa che di fatto è già operativo: il processo telematico, nell'ambito del processo amministrativo, è infatti già operativo e in essere. Il problema che si pone oggi è il trasferimento definitivo, cessando di dare attuazione alle modalità cartacee, per dare piena attuazione alle modalità digitali.

Tutto il percorso verso il processo telematico, in tutti gli ambiti, anche in quello civile, di giurisdizione ordinaria, è stato sempre travagliato, perché ha dovuto fare i conti con l'arretratezza formativa del Ministero della giustizia e di tutti gli operatori. Quando parlo di arretratezza formativa, imputo la colpa direttamente ai Governi che si sono succeduti e non agli interessati, perché la formazione nell'ambito degli addetti del settore giustizia - in tutte le sue accezioni: contabile, amministrativa e ordinaria - è sempre stata a carico dell'iniziativa personale oppure della buona volontà di formatori a livello locale e distrettuale, che hanno compiuto lo sforzo di cercare di diffondere l'ABC, senza che mai ci sia stato un piano organico di formazione. Come molti sanno, provengo dal Ministero della giustizia e ricordo che l'ultimo piano di formazione complesso e collettivo, svolto a livello nazionale, risale al 2000-2001, in cui tutti i neoassunti, una grande quantità di personale, sono stati avviati a formazione, che è durata un anno. Peccato che, nel frattempo, essi dovessero già operare, fin dal primo giorno, benché fosse in corso l'attività di formazione. La formazione viene spesso, se non sempre, trascurata, in tutti gli ambiti. Credo che la prima cura del Governo e del Ministero della giustizia dovrebbe essere quella di fare in modo che il proprio personale sia al passo con i tempi: mi riferisco sia ai magistrati, sia ai cancellieri che lavorano con loro.

La decretazione d'urgenza viene utilizzata come proroga, ma non vediamo mai un'assunzione di responsabilità: anche nella relazione di accompagnamento del decreto-legge, non c'è mai un'assunzione di responsabilità in cui si dica che la proroga si rende necessaria perché non si è stati in grado di garantire ciò che era stato promesso. Ogni volta ci sono gli annunci roboanti, in cui si dice che verrà digitalizzato il processo, ma di fatto ci troviamo a procedere di proroga in proroga. Il decreto-legge in esame, di fatto, è una semplice trasformazione di date per dare attuazione al processo telematico. Alla Camera, però, è stato utilizzato come un cavallo di Troia per introdurre l'assunzione di mille unità.

L'assunzione di 1.000 unità presso il Ministero della giustizia non può che rendere felice me, ogni persona in quest'Aula e ogni cittadino italiano, perché finalmente è una boccata di ossigeno per una amministrazione che è tra le più carenti in termini di organico e tra le più alte in termini di età media. Si tratta quindi un'amministrazione che ha bisogno ed infatti il bisogno è stato soddisfatto in questi decenni (perché non parliamo di anni ma di decenni) grazie al precariato.

Il precariato nell'amministrazione della giustizia è diventato quasi pari al personale in organico. Se andate a vedere alcune corti di appello in particolare e alcuni tribunali, questi hanno tanto di quel personale in regime di precariato, nelle forme più svariate, che è quasi uguale al personale in organico. Oggi forse un po' meno, ma semplicemente perché c'è stata una grande stabilizzazione di ex lavoratori socialmente utili una decina di anni fa, altrimenti sarebbe di gran lunga superiore. In ogni caso, questa è sempre stata la caratteristica fondante del Ministero della giustizia. Personale che arriva da amministrazioni private, da fabbriche e industrie, o semplicemente in mobilità; accordi con le Province per consentire a queste persone di attivare la loro mobilità e mettere a disposizione le loro competenze, seppure in ambito diverso, e dare respiro alle cancellerie giudiziarie che spesso hanno bisogno proprio di "bassa manovalanza", anche se ormai questo è un termine che non si può più utilizzare nell'ambito della giustizia, dove anche il livello più basso in termini di qualifica professionale deve avere un livello di formazione ben più alto di quello che prima, addirittura, forse era richiesto ai cancellieri. Pensiamo all'utilizzo della strumentazione informatica e della digitalizzazione, che è all'ordine del giorno, per non parlare del rapporto con l'utente, che ormai si è trasformato. Non si vede più (o non si dovrebbe vedere più) il cittadino come un peso da parte dell'operatore della giustizia, qualcuno che viene a chiedere qualcosa, ma come colui che sta interagendo dall'altra parte dello sportello, con il quale bisogna instaurare un rapporto quasi paritario, di accompagnamento, per soddisfarne le richieste e le esigenze. Questo è il ruolo degli URP aperti presso gli uffici giudiziari, sempre grazie alla buona volontà di presidenti di tribunali e di corte di appello, di procuratori, di dirigenti e di qualche cancelliere e di qualche operatore della giustizia, che ha messo del suo.

Presidenza del vice presidente GASPARRI (ore 12,06)

(Segue CRIMI). Ma andiamo a esaminare nel dettaglio cosa abbiamo davanti. Abbiamo mille unità che vengono promesse come assunte dal Ministero della giustizia. Contemporaneamente - e non mi hanno soddisfatto le motivazioni che il Governo ha di volta in volta portato in Commissione - se andate a leggere il comma 2-bis dell'articolo, vi accorgerete che viene ridotto di mille unità il contingente del personale in mobilità che deve transitare dalle ex Province. A questo punto ci chiediamo: il problema del trasferimento del personale delle ex Province è stato risolto? Se il Ministero della giustizia dice che le duemila unità che dovevano arrivare sono ridotte a mille, evidentemente, o non servono più le altre mille, oppure queste unità non ci sono e quindi si autorizza l'assunzione di altre mille unità.

Ma anche con riferimento all'assunzione di queste mille unità bisogna andare nel dettaglio, perché è nel dettaglio che si nasconde la diabolicità di certi provvedimenti. Tale assunzione avviene «previo scorrimento delle graduatorie esistenti». Ma se da vent'anni non si fanno concorsi nel Ministero della giustizia, quali sono queste graduatorie esistenti ed in corso di validità? È qui che si apre un campo infinito, sul quale il Governo, il Ministero della giustizia e il Sottosegretario non hanno una chiara visione, dal momento che, ad oggi, non sono riusciti a fornirci, né in relazione, né in Commissione, un elenco delle graduatorie attualmente in vigore in corso di validità con idonei dalle quali si potrà attingere, perché dovrà essere fatta una verifica della compatibilità delle qualifiche e quant'altro.

Stiamo parlando di un percorso che potrebbe anche esaurire i mille posti - chi lo sa? - oppure non trovare nessuno. Pertanto, quello che viene denunciato è che probabilmente l'obiettivo dell'autorizzazione di queste mille assunzioni è esclusivamente quello di andare a sanare e a immettere in servizio gli idonei di concorsi in graduatorie ancora in corso di validità di altre pubbliche amministrazioni. Lo scopriremo dopo; quando sarà tutto approvato e sarà in corso di attuazione, scopriremo nomi e cognomi delle persone che si trovano in queste graduatorie. Dopodiché, in subordine vi sarà il concorso pubblico, ovviamente per i posti residui.

In tutto questo ci si è dimenticati di quella grossa fetta di precariato che c'è nel Ministero della giustizia; una questione, quest'ultima, che dovrebbe essere definitivamente chiusa nella pubblica amministrazione. Al precariato può ricorrere il privato, che può individuare delle esigenze tali da costringerlo a dover assumere del personale per un periodo di tempo determinato, ovviamente con le giuste tutele; tuttavia la pubblica amministrazione non può permettersi, così come nella scuola e in qualunque ambito come la sanità e la giustizia, di continuare ad andare avanti con il precariato, che significa illudere delle persone che costruiscono il loro futuro sulla base di certe aspettative; ci sono famiglie che vivono grazie a quel piccolo salario, perché stiamo parlando di tirocinanti che percepiscono 400 euro al mese per lavorare venti ore a settimana, salvo casi in cui qualche Regione o Provincia dà qualche incremento con un accordo proprio. Questa è la situazione in cui ci troviamo.

Il provvedimento in esame ci sembra una semplice partita di giro, un semplice provvedimento fuffa che serve a spostare stanziamenti previsti per la mobilità del personale delle ex Province ed evitare che quei soldi vengano persi; pertanto si finge di voler provvedere all'assunzione di quel personale per congelare quei soldi per un po' di tempo per poi magari riutilizzarli per il personale in mobilità dopo aver ovviamente sanato le graduatorie esistenti.

Da tutto questo, in conclusione, mi viene da dire quanto segue: giustizia, stai serena, che probabilmente quelle mille assunzioni non arriveranno mai. (Applausi dal Gruppo M5S).

BERNINI (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, prometto che questa sarà l'ultima volta che parlerò di questo tema, anche perché l'iter del provvedimento si conclude, quindi cessa questa mia telenovela personale sul processo telematico.

Ha ragione il collega Crimi: con il provvedimento in esame la giustizia non può stare serena per tutti i motivi che abbiamo detto in precedenza, perché purtroppo una proroga rappresenta l'affermazione palese di una sconfitta, il non essere riusciti a fare qualcosa, un concetto che a questo Governo e a questo Presidente del Consiglio non piace molto riconoscere. Si tratta, tuttavia, di un dato oggettivo: quello che era stato promesso ancora una volta non è stato mantenuto e oltretutto ciò è avvenuto su un profilo tecnico non particolarmente complesso da realizzare. È vero, infatti, che l'informatizzazione del processo amministrativo non è una banalità, ma, come ricordavano i colleghi che mi hanno preceduto, noi abbiamo sperimentazioni e accessi di successo alla giustizia amministrativa, alla giurisprudenza dei tribunali amministrativi regionali, alla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Non a caso si è scelto di inserire come esempio pilota, come numero 1, nel codice del processo amministrativo proprio il processo telematico, perché si riteneva che fosse la forma di amministrazione della giustizia già più predisposta all'attuazione di questo strumento, rispetto al quale noi abbiamo assunto un precisissimo impegno nei confronti dei nostri partner europei.

Vorrei ricordare la delega di sei mesi che caratterizza la prima parte. Vedo il collega Morra, con cui prima commentavamo il fatto che io avessi usato l'espressione «dicotomico» per questo provvedimento e vi spiego la ragione. Il provvedimento è dicotomico perché è una specie di bilancia totalmente sbilanciata.

Il comma 1 e l'originario comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge, che sono sostanzialmente il cuore del provvedimento primigenio originale, costituiscono solo una piccola parte del provvedimento attuale, che si compone ora di un obeso articolo 1, con un comma 2 (che arriva fino al comma 2-sexiesdecies) riguardante le nuove piante organiche del Ministero della giustizia, il vero cuore del provvedimento. In termini di contenuti e di aspetto fisico e testuale, più che dicotomico - si diceva con il collega Morra, con il gusto del calembour che lo caratterizza - che il provvedimento è quasi comico. Ma è così.

Non si capisce per quale motivo il provvedimento sia partito con un decreto-legge. Non si poteva inserire altrove - come abbiamo detto - questa ennesima sconfitta, questa ennesima proroga all'avvio di una procedura necessaria per l'amministrazione della giustizia? Si tratta di una procedura che, oltretutto, rappresenta in se stessa un risparmio per l'amministrazione generale della giustizia dello Stato, la cui mancata attuazione costituisce, invece, una grande attribuzione di costi aggiuntivi agli utenti, ai destinatari finali della giustizia, non solo amministrativa, ma anche ordinaria, ossia i cittadini. Più la giustizia è lenta, più i cittadini pagano, sotto ogni profilo. Non pagano solo dal punto di vista economico; voglio sottolineare che anche questo aspetto non è irrilevante perché abbiamo avuto un aumento del contributo unificato (quindi aumenta il contributo unificato e diminuisce l'efficienza del sistema giustizia); il costo economico del contenzioso, comunque configurato (amministrativo, civile, penale) è enorme ed è anche un costo emotivo, che paralizza la vita, il patrimonio, le relazioni personali, i rapporti familiari.

Sottosegretario Migliore, ho apprezzato enormemente la sua disponibilità in Commissione. Lei in Commissione ha fornito i numeri con la grande disponibilità e la competenza che la caratterizzano, ma il problema è che i numeri non tornano; questi numeri non tornano mai. Non tornano i numeri delle proroghe, che non sono di sei, ma di nove mesi. Infatti, più avanti, annidato in un altro articolo della parte obesa del corpo del provvedimento, si dice che, sì, sono sei mesi, ma poi si può proseguire fino a marzo 2017 in un percorso parallelo con il processo old style, vecchia maniera, e il processo telematico, ove già esistente. Ci prendiamo quindi altro tempo rispetto a quanto previsto dalla proroga e lo annidiamo in una parte più oscura e nascosta, nello sgabuzzino del contenuto del provvedimento.

Molto hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto su questo aspetto terribilmente opaco del nuovo comma 2 dell'articolo 1. Ripeto, lei, Sottosegretario, ha fornito i numeri alla Commissione, ma sono numeri che non ci convincono, soprattutto rispetto ai mille posti, anche in termini di allocazione delle poste in bilancio. Lei ci ha detto che si attingerà a un fondo per l'efficientamento dell'amministrazione della giustizia, che è contenuto nella legge di stabilità, che, però, si basa molto sulla percentuale negativa dell'allocazione degli attuali dipendenti delle Province. È quindi un fondo con un punto interrogativo, il cui contenuto non è così netto e definito, soprattutto se si riferisce a mille contratti a tempo indeterminato. Sappiamo che esiste una potenziale copertura di questo fondo per il 2016 e il 2017: e poi?

Quello che sappiamo per certo è che non è con un articolo, rapinato alla Camera, di un decreto-legge che si disciplina una materia così importante come quella del rimpolpamento delle piante organiche dell'amministrazione della giustizia per ruoli non dirigenziali. Non lo si fa trascurando l'effetto prenotativo che hanno meritatamente conquistato coloro che fino ad ora hanno lavorato per l'amministrazione della giustizia nel ruolo "precario" di tirocinanti. Li abbiamo inventati noi, sottosegretario Migliore, con il decreto-legge n. 98 del 2011, per rispondere ad un'esigenza emergenziale dell'amministrazione della giustizia. Noi non siamo certo quelli che dicono che i concorsi non devono essere celebrati, ma non siamo neanche quelli che dopo essersi fatti dare una mano dagli appartenenti a una categoria professionale, li congediamo garbatamente con un calcio nel sedere. Questo non è equo, questo non è corretto, questo non è equilibrato e legittimo nemmeno sotto il profilo costituzionale, perché esiste un articolo 3 nella Costituzione che ci dice che dobbiamo trattare nello stesso modo le situazioni che hanno un medesimo contenuto.

Quello che però non ci torna, veramente non ci torna, signor Presidente, sottosegretario Migliore, colleghi, è il fatto che queste quattro categorie siano identificate da un articolo e non da un provvedimento organico, su cui ci saremmo potuti tutti confrontare, su cui avreste potuto scrivere tutto quello che era necessario per far capire chi sarebbe andato a ricoprire quali posti, con quali professionalità, con quali prospettive di formazione (formazione continuativa lì e allora), con quali prospettive di riqualificazione. Questi sono tutti presupposti che devono esistere e che in questo testo non esistono. Nulla di tutto questo è scritto. Lei ci ha spiegato come dovrebbe essere; però questo appartiene sempre a quella dimensione onirica che, finché non viene trasferita sulla carta e pubblicata in Gazzetta Ufficiale, non esiste in natura. Sono delle manifestazioni di buona volontà, che non hanno nessun peso e nessun valore fino a che non sono scritte, approvate, valide ed efficaci secondo le regole della Repubblica italiana. Noi sappiamo solo che ci sono mille posti e quattro possibili categorie di pretendenti.

Abbiamo le famose graduatorie, che riguardano tutte le amministrazioni e non solamente l'amministrazione della giustizia. Quindi, non esistendo dei criteri di professionalizzazione e di garanzia che la persona giusta vada a ricoprire il posto giusto, come facciamo a sapere che quei posti, così importanti per l'amministrazione della giustizia, saranno ricoperti dalle persone giuste? Abbiamo i famosi dipendenti delle Province, che stanno dappertutto, soprattutto in Regione, ma che sembra non siano molto inclini ad andare verso il Ministero della giustizia. Abbiamo i tirocinanti che in qualche modo dovremo sistemare secondo le aspettative che abbiamo dato loro. Abbiamo infine la categoria più improbabile di tutte, cioè i nuovi assunti. Sappiamo infatti - come hanno più volte ricordato i colleghi che mi hanno preceduto - che c'è una grande graduatoria nazionale, indistinta, indeterminata, multiprofessionalizzata e, a proposito dell'età media dei dipendenti pubblici, sicuramente non caratterizzata dalla presenza di virgulti, abbiamo una categoria di scorrimento che rischia di coprire completamente - e toglierei il «rischia» - quei mille posti che sono stati propagandati come nuove assunzioni.

Quindi, signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi, diciamoci la verità, usiamo le parole giuste per definire i contesti giusti. Se vogliamo fare le sanatorie dobbiamo avere il coraggio di raccontarcelo francamente; però, colleghi, non è questo il modo di accondiscendere a dei bisogni. Noi riconosciamo questi bisogni, li legittimiamo e li condividiamo: c'è bisogno di velocizzare la giustizia, non solo amministrativa, e c'è bisogno di ricoprire le piante organiche dell'amministrazione della giustizia. Ma questo non è il modo giusto, questo non è il modo in cui condividere le soluzioni. Tuttavia, solo perché il bisogno esiste e perché siamo purtroppo in un momento di emergenza, a fronte di un provvedimento di cui non condividiamo il metodo in alcun modo, siamo indotti, solo per l'esistenza dell'esigenza dell'emergenza, a dichiarare un voto di astensione. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

LO MORO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LO MORO (PD). Signor Presidente, colleghi, non ho alcuna difficoltà a dichiarare subito che il Gruppo del PD voterà in modo convinto a favore di questo provvedimento.

Nonostante voglia contenere il discorso in poche battute, mi sembra giusto dare delle risposte perché in quest'Aula sono state dette tante cose, anche cose vere, ma i termini del discorso sono stati in qualche caso esasperati.

Certo, quando si parla di proroghe è facile dire che si sbaglia, che non è giusto e non è corretto. Ricordo a tutti quello che ci diciamo ogni anno, o che (speriamo) dicevamo, quando parliamo di milleproroghe. Prorogare, infatti, significa non aver calcolato bene una scadenza. Questo vale per tutti i provvedimenti. Però probabilmente per questo provvedimento vale meno che per altri, perché stiamo parlando di un disegno di legge che riguarda il processo amministrativo telematico che è stato introdotto con una riforma strutturale entrata in vigore nel 2010. Il primo termine previsto era il 1° gennaio 2015, quasi cinque anni. Il tempo è passato, questa legislatura è nata nel 2013 e tre anni erano già trascorsi rispetto all'entrata in vigore del primo decreto legislativo sul processo amministrativo telematico. Nel frattempo, si va di proroga in proroga e forse l'errore è precedente, perché si è prorogato di sei mesi in sei mesi quando invece mancava un elemento che è stato introdotto con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del febbraio 2016.

Non si trattava, infatti, soltanto di decidere una data, ma di avviare un percorso che sicuramente è stato reso più complicato della scelta, che noi condividiamo e che il Parlamento ha condiviso, fatta con l'articolo 38 del decreto-legge n. 90 del 2014 quando la facoltà che era stata concessa nella fase della riforma generale del processo telematico è diventata, invece, una necessità. Davanti a questo cambiamento, davanti al fatto che l'utilizzo delle modalità telematiche non è più una facoltà ma un obbligo, è chiaro che anche il contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l'organizzazione di tutto questo, è diventata molto più complessa. Quindi, se ci vogliamo lamentare delle proroghe, ci dovremmo semmai lamentare, e fare autocritica, sul fatto che in passato abbiamo più volte spostato il termine ben sapendo - probabilmente dovevamo saperlo - che se nella prima fase il termine previsto era stato di cinque anni, nella fase successiva, quella veramente operativa, il termine previsto di sei mesi era veramente risibile.

D'altra parte, questa proroga non è mai stata inserita nel calderone delle proroghe proprio perché ha una sua specificità, è piuttosto complicata e crea la necessità di interfacciarsi con altri soggetti. Infatti con questo provvedimento decidiamo date e criteri. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è entrato nel merito dei criteri e delle regole del processo telematico, ma poi c'è chi deve applicare tali regole, chi deve attrezzarsi e anche chi deve formare il personale.

Quindi lamentarsi eccessivamente oggi di questa proroga è una presa di posizione che poi viene smentita anche dal nostro stesso comportamento. Infatti anche l'opposizione che si scandalizza per la proroga ha presentato emendamenti in cui chiede proprio una proroga. Ad esempio, in uno di questi emendamenti si scrive: «Al fine di consentire l'avvio ordinato del processo telematico, fino alla data del 31 gennaio 2017 restano applicabili le regole precedenti»; quindi l'opposizione subisce le stesse pressioni - si fa per dire - che subiamo noi, si rende conto delle difficoltà organizzative e recita una parte. Noi ovviamente recitiamo una parte diversa, cioè quella di chi tutela questa proroga sperando che sia sufficiente. Infatti, sinceramente, i termini del 1° gennaio 2017, e per l'obbligatorietà del 31 marzo 2017 (cioè di nove mesi), potrebbero essere congrui e io mi auguro che siano definitivi.

A proposito del nuovo testo dell'articolo 1 introdotto dalla Camera, molti di noi hanno colto un elemento di continuità con la precedente formulazione, il che ci dice anche quanto sia difficile la digitalizzazione, non solo del processo amministrativo ma in generale nei processi. Infatti, le assunzioni previste diventano urgenti per dare corso alla digitalizzazione. Lo dice chiaramente, letteralmente anche, il comma 2 dell'articolo 1 in cui si parla, appunto, delle assunzioni.

In conclusione, quest'ultimo aspetto ci dice una cosa ben precisa: introdurre il processo telematico e utilizzare questi strumenti significa avere più personale formato.

Presidenza del presidente GRASSO (ore 12,28)

(Segue LO MORO). Questa è una scommessa da vincere non solo come Parlamento e come Governo, ma come sistema Paese, includendo nello stesso da protagonista l'apparato giudiziario e amministrativo dei TAR, del Consiglio di Stato e anche dei tribunali ordinari.

Detto questo, passerei al nuovo comma 2 dell'articolo 1. Vorrei cogliere gli aspetti positivi della questione che ci ha visto discutere animatamente e produrre un ordine del giorno, sul cui contenuto rinvio, come Gruppo del PD, alle parole del senatore Lo Giudice. Non mi dilungherò ed esprimerò la stessa soddisfazione con le stesse considerazioni. Cogliamo l'aspetto positivo: se il Governo ci portasse un provvedimento in cui, per esempio, si parlasse di assunzioni per le Forze dell'ordine, noi tutti dovremmo solo avere parole di plauso perché da tempo parliamo di carenze di organico in vari settori. Qui si parla di giustizia e, quindi, parliamo delle carenze di organico finalizzate soprattutto all'accelerazione della digitalizzazione nei tribunali ordinari. Non è discutibile che sia un fatto positivo aver potuto impegnare le somme utilizzate perché disponibili per assumere mille persone. Né è una novità o può essere oggetto di scandalo il fatto che si dia corso alle procedure, che qui vengono richiamate in maniera elaborata riferendole al Ministero della giustizia. Le procedure della mobilità e dei concorsi pubblici sono disciplinate da leggi che abbiamo approvato come Parlamento e su cui siamo intervenuti anche di recente.

Tutto questo serve a dire che è ovvio che anche noi, come Gruppo, ci siamo posti il problema dei precari. Non dobbiamo dire una cosa e il contrario di quello che stiamo dicendo. Non dobbiamo dire che siamo tutti per i concorsi - e qui dobbiamo esserlo - e poi, quando si tratta di lavorare sui precari, dire un'altra cosa. Su questi abbiamo posto un problema al Governo e in Commissione, che l'ha trattato con un'unitarietà di intenti e che la stessa Presidente ha rappresentato in via sintetica nell'elaborazione dell'ordine del giorno che abbiamo votato. Siamo partiti da un ordine del giorno della collega De Petris e dei sui colleghi di Gruppo per aderire e lavorare insieme all'impostazione di tale questione. Noi ci poniamo il problema dei cosiddetti precari - o tirocinanti della giustizia, per usare un termine più tecnico - ma non per contraddire leggi dello Stato, ma per garantirli, seppure con un ordine del giorno - questo era lo strumento che avevamo a disposizione - e dire che non ci siamo dimenticati e che sappiamo che ci sono i soggetti in mobilità e in esubero, che dobbiamo collocare, provenienti dalla Provincia. È troppo facile dire di abolire le Province e poi non rendersi conto che bisogna collocare questi soggetti. Sappiamo tutte queste cose, ma anche che c'è un personale utilizzato nel settore della giustizia cui va data una risposta. La risposta è il concorso con cui si riconosce la specificità della loro formazione a norma di una legge già vigente? Benissimo, facciamolo. Questo ci siamo detti in Commissione e questo ribadisco.

Gli aspetti che ci hanno visto discutere, anche in maniera animata, soprattutto sui tirocinanti hanno a che fare con la vita dei cittadini, con il fatto che molto spesso, come è stato denunciato in quest'Aula, in alcune Regioni si continua a ricorrere al precariato. È male che ciò avvenga perché il precariato non si crea, ma una volta che si crea bisogna farci i conti perché sono vite umane e famiglie che attendono risposte. Noi abbiamo cercato insieme una risposta. Siamo convinti che nel prosieguo troveremo una posizione comune su come andare avanti, ma intanto non possiamo che essere soddisfatti del fatto che la giustizia venga arricchita di mille persone e non possiamo che prendere atto che, essendoci un'assoluta necessità, il processo telematico entrerà in vigore in via definitiva il 1° gennaio 2017 e che questa modalità diventerà obbligatoria il 31 marzo per consentire ai cittadini un percorso di assoluta affidabilità e certezza.

Non abbiamo pertanto dubbi ed esprimeremo un voto favorevole. Concludo aggiungendo che ringrazio molto i colleghi per la discussione che si è svolta in Commissione, che è stata molto ricca e che è stata sollecitata anche da problemi che sono stati sollevati nel Gruppo. Mi sembra quindi che quando lavoriamo insieme, qualche risultato lo otteniamo. (Applausi dal Gruppo PD).

SANTANGELO (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANTANGELO (M5S). Chiediamo che la votazione venga effettuata a scrutinio simultaneo mediante procedimento elettronico.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Invito i senatori Segretari di controllare le postazioni di voto. Invito anche i senatori a collaborare togliendo le eventuali tessere che sono in scranni vicini, in caso di assenza dei senatori.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo del disegno di legge, composto del solo articolo 1.

(Segue la votazione).

Il Senato approva. (v. Allegato B).

Inversione dell'ordine del giorno

PRESIDENTE. In attesa che siano depositati gli emendamenti sul disegno di legge 2271 e connessi inerenti al provvedimento sull'editoria, dispongo che si passi al punto successivo all'ordine del giorno e cioè alla discussione del disegno di legge n. 2067 e connessi.

BIANCONI (AP (NCD-UDC)). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BIANCONI (AP (NCD-UDC)). Signor Presidente, noi non abbiamo nulla che osti all'incardinamento delle relazioni relative ai successivi disegni di legge in esame. Chiederemmo però la cortesia alla Presidenza, così come era stato concordato alla riunione dei Capigruppo, di dare la possibilità al mio Gruppo di svolgere una riunione dalle ore 13 alle 15.

CALDEROLI (LN-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDEROLI (LN-Aut). Signor Presidente, chiedo una conferma.

Questa mattina si è svolto un iter pesante e lungo sul disegno di legge sull'editoria. Abbiamo partecipato ai lavori della Commissione e fatto il rush finale per concludere i lavori e poterlo esaminare in Aula.

Considerata l'attesa che c'è attorno al provvedimento e che già qualche giorno fa abbiamo esaminato un provvedimento senza che vi fosse il parere della 5a in Commissione, per accelerare l'iter di tutti i provvedimenti, chiedo che dopo aver svolto le due relazioni si affronti finalmente il tema dell'editoria, perché la relazione e la discussione generale si possono tranquillamente svolgere anche in assenza dei pareri della 5a sugli emendamenti.

CRIMI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signor Presidente, intervengo per annunciare che il Gruppo Movimento 5 Stelle concorda con la proposta che lei ha avanzato di proseguire con l'esame del successivo punto all'ordine del giorno.

PRESIDENTE. Non vi è alcuna opposizione. Del resto è un'inversione disposta dal Presidente.

TONINI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONINI (PD). Signor Presidente, intervengo solo per essere certo di aver ben compreso. Noi della Commissione bilancio dobbiamo esprimere per l'Assemblea i pareri sugli emendamenti in relazione al provvedimento riguardante l'editoria. Per ragioni che concernono la presenza del Governo, non potremo riunirci prima delle ore 15. Penso che avremo bisogno di circa mezz'ora di tempo.

PRESIDENTE. Prendiamo atto di tutte queste esigenze che cercheremo di conciliare. Naturalmente le Commissioni e le Giunte possono convocarsi e lavorare quando non si vota in Aula.

CALDEROLI (LN-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDEROLI (LN-Aut). Signor Presidente, intervengo anch'io per un chiarimento, in modo da evitare fraintesi. Noi adesso svolgeremo la relazione sulla riforma del procedimento penale e poi quella sulla disciplina del cinema, dopodiché passeremo al disegno di legge sull'editoria? Ho capito bene?

PRESIDENTE. Adesso svolgeremo la relazione sul disegno di legge n. 2271 e connessi, dopodiché c'è una richiesta di interruzione, e poi valuteremo qual è la situazione, anche compatibilmente alla questione dei pareri.

CALDEROLI (LN-Aut). Scusi, signor Presidente, ma noi abbiamo sempre svolto la discussione generale anche in assenza del parere della 5a Commissione. Quindi la discussione si può tranquillamente svolgere per consentire poi, in tempi utili, per le ore 16, di avere anche la possibilità di esaminare gli emendamenti.

PRESIDENTE. In relazione all'andamento dei lavori la Presidenza farà conoscere i suoi intendimenti.

Discussione dei disegni di legge:

(2067) Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena (Approvato dalla Camera dei deputati)

(2032) Deputato MOLTENI ed altri. - Modifiche all'articolo 438 del codice di procedura penale, in materia di inapplicabilità e di svolgimento del giudizio abbreviato (Approvato dalla Camera dei deputati)

(1844) Deputato FERRANTI ed altri. - Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato (Approvato dalla Camera dei deputati)

(176) SCILIPOTI ISGRO'. - Modifiche agli articoli 408 e 409 del codice di procedura penale, in materia di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione e di ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza di archiviazione

(209) TORRISI. - Interventi a favore di attività lavorative autonome da parte di detenuti in espiazione di pena

(286) MANCONI ed altri. - Misure alternative alla detenzione in carcere nel caso di inadeguata capienza dell'istituto di pena

(299) COMPAGNA. - Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di divieto di concessione di benefici penitenziari e di regime penitenziario

(381) BARANI. - Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni in materia di relazioni affettive e familiari dei detenuti

(382) BARANI. - Modifica all'articolo 28 del codice penale e abrogazione dell'articolo 32 del medesimo codice nonché dei commi 1 e 2 dell'articolo 85 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di pene accessorie, per favorire il reinserimento sociale e lavorativo delle persone condannate

(384) BARANI. - Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale e altre disposizioni, nonché delega al Governo, per la riduzione del sovraffollamento degli istituti di pena

(385) BARANI. - Modifiche al codice penale in materia di abolizione delle misure di sicurezza personali detentive

(386) BARANI. - Modifiche al codice penale, concernenti l'introduzione dell'affidamento al servizio sociale tra le pene principali previste per i delitti

(387) BARANI. - Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, concernenti l'introduzione di una misura alternativa alla detenzione denominata "patto per il reinserimento e la sicurezza sociale"

(389) BARANI. - Modifiche agli articoli 4-bis, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari, di regime di sorveglianza particolare e di soppressione del regime restrittivo con sospensione delle regole ordinarie di trattamento penitenziario per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica

(468) MARINELLO ed altri. - Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, concernenti la limitazione dell'applicabilità delle circostanze attenuanti e dei procedimenti speciali nonché dei benefici penitenziari per i condannati per omicidio volontario

(581) COMPAGNA. - Modifiche agli articoli 22, 176 e 177 del codice penale, in materia di conversione della pena dell'ergastolo

(597) CARDIELLO ed altri. - Disposizioni in materia di personale addetto ai centri di prima accoglienza ed alle comunità per i minorenni

(609) CARDIELLO ed altri. - Modifica dell'articolo 409 del codice di procedura penale in materia di ricorribilità per cassazione dell'ordinanza di archiviazione

(614) CARDIELLO ed altri. - Modifiche al codice di procedura penale in materia di partecipazione della persona offesa alle varie fasi del processo

(700) BARANI. - Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, per favorire i rapporti tra detenute madri e figli minori e per l'istituzione di case-famiglia protette

(708) CASSON ed altri. - Prescrizione del reato. Modifiche agli articoli 157 e 159 del codice penale

(709) DE CRISTOFARO ed altri. - Abrogazione della legge 5 dicembre 2005, n. 251, recante modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione

(1008) LO GIUDICE ed altri. - Semplificazione delle procedure per la liberazione anticipata

(1113) CASSON ed altri. - Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in tema di notifiche, prescrizione del reato e recidiva, nonché disposizioni in materia di razionalizzazione e accelerazione dei temi del processo penale

(1456) LUMIA ed altri. - Modifiche all'articolo 416-terdel codice penale, in materia di trattamento sanzionatorio del delitto di scambio elettorale politico-mafioso

(1587) LO GIUDICE ed altri. - Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni in materia di relazioni affettive e familiari dei detenuti

(1681) GIARRUSSO ed altri. - Modifiche alla disciplina penale del voto di scambio politico-mafioso

(1682) GIARRUSSO ed altri. - Modifica all'articolo 416-terdel codice penale, concernente lo scambio elettorale politico-mafioso

(1683) GIARRUSSO ed altri. - Modifica all'articolo 416-terdel codice penale per l'inasprimento delle sanzioni per il voto di scambio politico-mafioso

(1684) GIARRUSSO ed altri. - Modifica all'articolo 416-bisdel codice penale per l'inasprimento delle pene per l'associazione mafiosa armata

(1693) GINETTI ed altri. - Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di sospensione della prescrizione penale

(1713) CAMPANELLA ed altri. - Modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati

(1824) RICCHIUTI ed altri. - Modifica della disciplina della prescrizione

(1905) BARANI. - Modifiche all'articolo 178 del codice penale in materia di benefici derivanti da sentenze di riabilitazione penale

(1921) MUSSINI ed altri. - Modifica all'articolo 53 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione di licenze agli internati

(1922) D'ASCOLA ed altri. - Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di furto in abitazione

(2103) CAPPELLETTI. - Modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati in generale nonché in materia di prescrizione per taluni delitti contro la pubblica amministrazione

(2295) GINETTI. - Modifica dei requisiti per l'ammissione dei minori all'affidamento in prova al servizio sociale ed al regime di semilibertà

(2457) BISINELLA ed altri. - Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario in materia di furto in abitazione e negli esercizi commerciali e rapina

(Relazione orale) (ore 12,40)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge nn. 2067, 2032 e 1844, già approvati dalla Camera dei deputati, 176, 209, 286, 299, 381, 382, 384, 385, 386, 387, 389, 468, 581, 597, 609, 614, 700, 708, 709, 1008, 1113, 1456, 1587, 1681, 1682, 1683, 1684, 1693, 1713, 1824, 1905, 1921, 1922, 2103, 2295 e 2457.

I relatori, senatori Casson e Cucca, hanno chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore, senatore Cucca.

CUCCA, relatore. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi senatori, arriva all'esame dell'Assemblea un provvedimento di estrema rilevanza, che contiene le modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario. Un provvedimento che per molti versi è estremamente complesso, che il ministro Orlando aveva annunciato all'indomani del suo insediamento e che è frutto di un serrato lavoro della Commissione, ove si è svolto un confronto tra le forze politiche, talvolta anche aspro ma sempre costruttivo e molto proficuo.

A questo riguardo ritengo doveroso porgere un ringraziamento, che non è di circostanza, ai colleghi componenti la Commissione, sia di maggioranza che di opposizione, che con il loro fattivo contributo hanno consentito l'approvazione del testo che viene portato in Aula. Ma un ringraziamento va fatto anche al Governo nelle persone dei sottosegretari Migliore e Chiavaroli e del ministro Orlando, i quali hanno costantemente partecipato ai lavori, offrendo la loro preziosa opera in termini sia di contenuti che di capacità di mediazione, così favorendo la conclusione tutto sommato rapida dei lavori. Infine un sincero ringraziamento ai funzionari della Commissione, dottor Cavallucci e dottoressa Annecchiarico, per la consueta pazienza, competenza e professionalità manifestate anche in questa circostanza.

La Commissione giustizia ha avviato, il 3 marzo 2016, l'esame dei disegni di legge n. 2067 e 2032, entrambi già approvati dalla Camera dei deputati, congiuntamente ad altre numerose disegni di legge di iniziativa parlamentare, di alcuni dei quali (ovvero quelli che disciplinavano materie non specificamente trattate dall'Atto Senato 2067 e quelli recanti modifiche di tipo generale e sistemico del codice penale e del codice di procedura penale) nella seduta del 31 marzo 2016 è stata disposta la disgiunzione.

Per l'istruttoria legislativa la Commissione ha svolto, integrando l'attività conoscitiva già svolta dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, alcune audizioni in sede di Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi. Sono stati quindi auditi il dottor Armando Spataro, procuratore della Repubblica di Torino, il dottor Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma e il dottor Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, nonché i vertici dell'Unione delle camere penali italiane.

Il 4 maggio 2016 è stato adottato dalla Commissione un testo unificato elaborato dai relatori, il quale, tra le altre, ha assorbito - e questo è un dato estremamente significativo - anche la disciplina della prescrizione, originariamente contenuta nel disegno di legge Atto Senato 1844 (anche esso già approvato dalla Camera dei deputati). Tale testo - è bene precisarlo immediatamente - è stato oggetto di significative modifiche nel corso dell'esame in sede referente.

L'auspicio è che si proceda speditamente all'esame e all'approvazione del provvedimento, consentendo di dare gambe all'ambizioso intendimento di snellire e mettere al passo con i tempi il sistema giudiziario e di rispondere alle esigenze rappresentate dall'Unione europea per un sistema moderno ed efficiente.

I lavori della Commissione hanno consentito, come detto, di modificare parzialmente il testo che era pervenuto dopo l'approvazione alla Camera dei deputati, nonché di introdurre qualche nuovo argomento che non era stato affrontato nel corso della prima lettura. Si pensi, ad esempio, alla regolamentazione dell'utilizzo dei cosiddetti captatori informatici, comunemente chiamati trojan.

Passando al merito del provvedimento, rappresento che sono stato nominato relatore, unitamente al collega Felice Casson, oggi assente, con cui ho diviso i compiti e gli argomenti da trattare. Farò dunque un'esposizione estremamente sommaria del contenuto, facendo presente che, avendo avuto soltanto ieri il testo definitivo del provvedimento, non ho avuto il tempo materiale di preparare una relazione organica e, soprattutto, più concisa. Chiedo quindi, fin d'ora, di essere autorizzato a depositare un testo scritto ove non riuscissi a completare l'esposizione nel tempo che ho a disposizione.

PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.

CUCCA, relatore. Il provvedimento in esame si compone di 40 articoli, suddivisi in cinque titoli.

Il Titolo I reca modifiche al codice penale ed è a sua volta composto da tre capi: il Capo I riguarda l'estinzione del reato per condotte riparatorie e le modifiche ai limiti di pena per i delitti di scambio elettorale politico-mafioso, furto e rapina. Il Capo II reca modifiche alla disciplina della prescrizione, mentre il Capo III delega il Governo alla riforma del regime di procedibilità per taluni reati, per il riordino di alcuni settori del codice penale e per una revisione della disciplina del casellario giudiziale.

Il Titolo II reca modifiche al codice di procedura penale ed è composto da tre Capi. Il Capo I interviene sulla disciplina dell'incapacità dell'imputato a partecipare al processo, del domicilio eletto, delle indagini preliminari e dell'archiviazione. Il Capo II riguarda i riti speciali, l'udienza preliminare, l'istruzione dibattimentale e la struttura della sentenza di merito. Il Capo III riguarda la semplificazione delle impugnazioni.

Il Titolo III modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e la normativa di organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero.

Il Titolo IV reca delega al Governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario.

Il Titolo V reca disposizioni finali, contenendo, in particolare, le clausole di copertura finanziaria e le disposizioni di entrata in vigore dell'intero provvedimento.

Passando specificamente al contenuto, l'articolo 1 inserisce nel codice penale il nuovo articolo 162-ter, il quale, con riguardo ai reati perseguibili a querela soggetta a remissione, consente al giudice di dichiarare l'estinzione del reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l'imputato ha riparato interamente il danno con le restituzioni o il risarcimento e ha eliminato, ove possibile (tale inciso è stato aggiunto in Commissione), le conseguenze dannose e pericolose del reato. L'intento - è evidente - è quello di consentire, laddove possibile, la riparazione del danno e, quindi, la dichiarazione dell'estinzione del reato. Ove ciò non sia possibile, trattandosi di un fatto che non dipende più dalla volontà dell'interessato, è evidente che si dovrà comunque procedere nella medesima maniera.

La riparazione deve realizzarsi nel termine massimo delle dichiarazioni di apertura del dibattimento di primo grado, salva la richiesta di fissazione di un termine ulteriore, non superiore a sei mesi, per il pagamento di quanto dovuto, anche in forma rateale. In tal caso, il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito, imponendo specifiche prescrizioni. La disposizione prevede, inoltre, che si applichi comunque l'articolo 240, comma 2, del codice penale relativamente all'obbligatorietà della confisca. La ratio del rinvio alla disposizione codicistica è proprio per la natura obbligatoria della confisca prevista dall'articolo 240 del codice penale. È evidente che l'intento è prevalentemente di tipo deflattivo, onde evitare che i reati di piccolo cabotaggio non intasino l'attività dei lavori degli uffici della procura e dell'aggiudicante. Il risarcimento del danno può essere comunque riconosciuto anche a seguito di offerta reale, ai sensi dell'articolo 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall'imputato e non accettata.

L'articolo 2 del provvedimento reca disposizioni transitorie e prevede che la disciplina sulla nuova causa di estinzione del reato trovi applicazione anche con riguardo ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge. Ovviamente la disposizione, in seguito alle modifiche apportate in Commissione, disciplina anche l'ipotesi in cui l'imputato si trovi nell'impossibilità, per fatto a lui non imputabile, di adempiere.

L'articolo 3 interviene invece sul reato di scambio elettorale politico-mafioso, di cui all'articolo 416-ter del codice penale, inasprendone il quadro sanzionatorio. A questo riguardo è opportuno ricordare che nel corso della attuale legislatura, la legge n. 62 del 2014 ha modificato il delitto di scambio elettorale politico-mafioso, intervenendo sia sul fronte della condotta incriminata, dilatandola sensibilmente, sia su quello della pena comminata edittalmente, riducendola. Sotto il primo profilo, infatti, la richiamata legge ha ampliato la gamma dei fatti punibili, includendovi l'accettazione della promessa di voti in cambio della promessa o dell'erogazione, oltre che di denaro, anche di altra utilità. Sotto il secondo profilo, ha ridotto la cornice sanzionatoria rispetto all'articolo 416-bis, punendo le condotte di cui all'articolo 416-ter con la pena della reclusione da quattro a dieci anni. Il disegno di legge al nostro esame interviene nuovamente sulla cornice edittale, sanzionando tale reato con la pena della reclusione da sei a dodici anni.

L'articolo 4 interviene poi sulla cornice sanzionatoria del delitto di furto in abitazione e di scippo, elevando il minimo edittale della pena detentiva dall'attuale anno a tre anni e la pena pecuniaria, nel minimo, dagli attuali 309 euro a 927 euro e, nel massimo, dagli attuali 1.032 a 1.500 euro. La disposizione inasprisce inoltre anche il quadro sanzionatorio relativo alle condotte aggravate, contemplate dal terzo comma dell'articolo 624-bis del codice penale. Infine, il disegno di legge introduce nella norma codicistica un ulteriore comma, per il quale le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 (minore età) e 625-bis (collaborazione per l'individuazione dei correi nel furto o degli eventuali ricettatori), concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti del furto di cui all'articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano quindi sulla quantità della stessa, risultante dall'aumento conseguente alle circostanze aggravanti.

L'articolo 5 modifica l'articolo 625 del codice penale. L'articolo 6 interviene invece sul reato di rapina, di cui all'articolo 628 del codice penale, elevando i limiti edittali sia della pena detentiva, dagli attuali tre a quattro anni nel minimo, sia di quella pecuniaria, dagli attuali 516 euro a 927 euro, nel minimo, e dagli attuali euro 2.065 a 2.500 euro, nel massimo. La disposizione, inoltre, inasprisce il quadro sanzionatorio relativo alle condotte aggravate contemplate dal terzo comma dell'articolo 628 del codice penale. A questo riguardo reputo utile sottolineare che, per una mera svista, per una dimenticanza nel corso dei complessi lavori della Commissione, non si è provveduto a ciò che invece avremmo dovuto fare, recependo le osservazioni e l'esito della discussione che si è avuta in Commissione, in cui ci si era posti il problema della disorganicità del quadro generale, che emerge a seguito dell'introduzione del nuovo sistema, nei confronti dei delitti contro il patrimonio. Sarà quindi necessario, nel corso dei lavori d'Assemblea, per rendere organico l'intero sistema - cosa che abbiamo dimenticato di fare nel corso dei lavori di Commissione, per una mera svista - innalzare anche il minimo della pena edittale per il delitto di estorsione di cui all'articolo 629 del codice penale, da sei a sette anni nel minimo, in maniera tale da rendere organico l'intero sistema dei delitti contro il patrimonio.

Successivamente, gli articoli da 7 a 11 si occupano del tema della prescrizione dei reati, tanto dibattuto in questi ultimi mesi, riprendendo, seppur con significative modifiche, quanto previsto dal disegno di legge Atto Senato 1844, che - come detto - era già stato approvato dalla Camera dei deputati. L'articolo 7 modifica l'articolo 158 del codice penale, che disciplina la decorrenza dei termini di prescrizione. Il disegno di legge, inserendo un ulteriore comma a tale articolo del codice, stabilisce che per i reati indicati dall'articolo 392, comma I-bis del codice di procedura penale, in materia di incidente probatorio, ovvero per i reati di maltrattamenti in famiglia, di cui all'articolo 572 del codice penale e per i reati di cui agli articoli 600, 601, 602, 600-bis, 600-ter, 600-quater, e 600-quinquies del codice penale e per il reato di violenza sessuale e stalking, se commessi in danno di minori, il termine di prescrizione decorre dal compimento del diciottesimo anno di età della vittima, salvo che l'azione penale non sia stata esercitata in precedenza; in quest'ultimo caso, infatti, il termine di prescrizione decorre dall'acquisizione della notizia di reato.

Con tale disposizione, come emerge anche dall'esame parlamentare presso l'altro ramo del Parlamento, si è voluto dare attuazione alla Convenzione di Istanbul, contro la violenza nei confronti delle donne, ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77.

L'articolo 8 modifica la disciplina della sospensione del corso della prescrizione. Questo articolo ha avuto un iter abbastanza travagliato, ma poi ha trovato una condivisione abbastanza diffusa.

Il primo comma dell'articolo 159, nella sua formulazione vigente, prevede che il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare norma di legge, oltre che nei casi di autorizzazione a procedere, deferimento della questione ad altro giudizio o di sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti.

In primo luogo la lettera a) dell'articolo 8 del disegno di legge interviene sul primo comma dell'art. 159, anzitutto specificando, per quanto riguarda la già prevista sospensione per richiesta di autorizzazione a procedere, che il termine è sospeso a decorrere dal provvedimento con il quale il pubblico ministero presenta la richiesta e fino al giorno in cui la richiesta è accolta con conseguente abrogazione del secondo comma dell'articolo 159 che attualmente disciplina tale ipotesi (alla lettera c)) e specificando, per quanto riguarda la già prevista sospensione per deferimento della questione ad altro giudizio, che il termine è sospeso fino al giorno in cui viene decisa la questione.

La disposizione inoltre inserisce un'ulteriore ipotesi di sospensione del corso della prescrizione: per richiesta di rogatoria all'estero con un termine massimo di sospensione pari a sei mesi.

La lettera b) del comma 1 aggiunge poi all'articolo 159 citato ulteriori casi di sospensione della prescrizione. Si prevede, in particolare, che dopo la sentenza di condanna in primo grado il termine di prescrizione resta sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque per un tempo non superiore a un anno e sei mesi; dopo la sentenza di condanna in appello, anche se pronunciata in sede di rinvio, il termine di prescrizione resta sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva e comunque ancora una volta per un tempo non superiore a un anno e sei mesi.

Tali termini decorrono dal termine previsto dall'articolo 544 del codice di procedura penale che, lo ricordo, contiene i termini per i depositi della sentenza.

La disposizione precisa inoltre che, in caso di assoluzione dell'imputato in secondo grado, ovvero di annullamento della sentenza di condanna ovvero di dichiarazione di nullità della decisione, con conseguente restituzione degli atti al giudice, i periodi di sospensione di un anno e sei mesi (per il giudizio d'appello) e di un anno e sei mesi (per il giudizio di Cassazione) vengano ricomputati ai fini del calcolo del termine di prescrizione.

L'articolo 9 modifica l'articolo 160 del codice penale per prevedere che anche l'interrogatorio reso alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, determini l'interruzione del corso della prescrizione.

L'articolo 10 interviene sull'articolo 161, che disciplina gli effetti dell'interruzione e della sospensione modificandone, in primo luogo, il primo comma. Rispetto alla formulazione vigente della norma, che stabilisce come tanto la sospensione quanto l'interruzione abbiano effetto nei confronti di tutti coloro che hanno commesso il reato, la riforma distingue le due ipotesi e prevede che: l'interruzione ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato; la sospensione ha effetto solo per gli imputati nei cui confronti si sta procedendo.

Signor Presidente, la complessità della materia richiederebbe una discussione molto approfondita, ma non c'è il tempo materiale per farlo. Le chiedo pertanto sin da ora l'autorizzazione a depositare la relazione scritta che è molto dettagliata e prende in considerazione tutti i vari aspetti contenuti nel provvedimento. Questo ci consentirebbe anche di terminare i lavori in tempi molto brevi.

PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.

CUCCA, relatore. L'articolo 12, comma 1, delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per modificare il codice penale, in tema di regime di procedibilità di alcuni reati e per riformare la disciplina delle misure di sicurezza personali, prevedendo, in caso di capacità ridotta, l'abolizione del doppio binario e l'introduzione di un trattamento sanzionatorio finalizzato al superamento delle condizioni che hanno ridotto la capacità dell'agente, anche mediante il ricorso a trattamenti terapeutici o riabilitativi. Questo è un tema estremamente importante.

Sempre nell'esercizio della delega, il Governo dovrà prevedere, tenuto conto dell'effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, la destinazione alle Residenze di esecuzione delle misure di sicurezza (le cosiddette REMS) prioritariamente delle persone per le quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto.

I commi 2 e 3 delineano poi il procedimento per l'emanazione dei decreti legislativi, sui quali è previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

L'articolo 13, nel delegare il Governo ad emanare un decreto legislativo per modificare la disciplina del casellario giudiziale, prevede che tale revisione debba avvenire alla luce delle modifiche intervenute nella materia penale anche processuale e dei principi e criteri contenuti nella normativa nazionale e nel diritto dell'Unione europea. Anche questo tema della riforma del casellario è estremamente rilevante ed importante, perché ci mette al passo con l'Europa, modernizzando il sistema che fino ad oggi era oggettivamente molto farraginoso.

L'articolo 15 reca invece norme in materia di definizione dei procedimenti per incapacità dell'imputato, prevedendo una nuova disciplina. L'articolo 16 modifica il comma 2 dell'articolo 345 del codice di procedura penale, relativo alla mancanza della condizione di procedibilità e alla riproponibilità dell'azione penale.

L'articolo 17 aggiunge un ulteriore comma all'articolo 162 del codice di procedura penale in materia di comunicazione del domicilio eletto e l'articolo 18 modifica molteplici disposizioni del codice di procedura penale relative alle indagini preliminari e al procedimento di archiviazione.

C'è poi l'articolo 20 che interviene in materia di modifica dei riti speciali. Viene semplificata la materia delle impugnazioni e si apportano modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e alla normativa e all'organizzazione degli uffici del pubblico ministero.

Come dicevo, vi è poi una delega al Governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario. In questo quadro mi limito a richiamare la parte relativa alle modifiche estremamente rilevanti in tema di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni e di giudizio di impugnazione. In particolare, per quanto riguarda le operazioni captative, la delega dovrà prevedere disposizioni per garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto d'intercettazione, in conformità all'articolo 15 della Costituzione.

Inoltre, come già annunciato in precedenza, c'è la regolamentazione della materia relativa ai cosiddetti captatori informatici, il cosiddetto trojan, che non era assolutamente regolata, ma di cui si era occupata una sentenza della Cassazione. A quei principi ci si era attenuti fino ad oggi, ma adesso abbiamo trovato una soluzione che riteniamo migliore per la regolamentazione di questa materia.

Come detto, consegno il testo della relazione affinché venga allegato al Resoconto della seduta odierna.

PRESIDENTE. Come richiesto dalla senatrice Bianconi, intendo sospendere la seduta fino alle ore 15.

CIAMPOLILLO (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIAMPOLILLO (M5S). Signor Presidente, intervengo perché intendo chiedere le scuse ufficiali del senatore Quagliariello, che mi ha accusato di aver abbandonato l'Aula lasciando la scheda inserita. Questo ovviamente è falso. Quando mi sono allontanato ho estratto, come faccio sempre, la scheda. È un'accusa infamante e per questo pretendo le scuse ufficiali. La ritengo anche una calunnia. Questa di lasciare le tessere inserite è una pratica truffaldina che, come lei ben sa, avviene spesso in quest'Aula. Proprio questa mattina avevo denunciato la scheda inserita del senatore Giovanardi che non era in Aula.

Chiedo ufficialmente le scuse del senatore Quagliariello, perché ha dichiarato una cosa falsa. Ma soprattutto, trattandosi di una calunnia nei miei confronti, se non dovessi ricevere le sue scuse ufficiali, sarò costretto poi a procedere di conseguenza, ai sensi della legge. (Applausi dal Gruppo M5S).

GIROTTO (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIROTTO (M5S). Signor Presidente, vorrei denunciare un atto di violenza ai danni della mia persona; si tratta di una violenza molto relativa, mentre tecnicamente è una violenza.

PRESIDENTE. Per precisare: era durante lo stesso contesto?

GIROTTO (M5S). Sì, lo stavo spiegando.

PRESIDENTE. Lo chiedo perché non c'ero.

GIROTTO (M5S). Benissimo, le spiego. Mentre mi trovavo in questa posizione, un collega è venuto e ha sfilato la mia tessera - la mia - mostrandola a tutti. Ribadisco che ha sfilato la mia tessera, quindi tecnicamente è un atto di violenza perché io ero qui.

PRESIDENTE. Un atto di violenza nei confronti della tessera? (Ilarità. Applausi dai Gruppi PD e LN-Aut e della senatrice Bonfrisco).

GIROTTO (M5S). No. Io lo ritengo un atto di violenza nei miei confronti, visto che ero qui.

PRESIDENTE. Ho capito il senso: era una cosa che lei non voleva fare.

GIROTTO (M5S). Vorrei vedere come reagirebbe un'altra persona se le venisse sfilata la tessera. Non vi è stato il tempo di spiegare la situazione, anche se ho cercato di indicare che la tessera era mia e l'Assemblea ha reagito come ha reagito, con enorme superficialità e senza riflettere un attimo. Mi chiedo: se basta così poco per ingannarvi, allora la situazione è poco allegra. (Applausi dal Gruppo M5S).

Rimarco anche il fatto che ho chiesto più volte la parola alla Presidente e non mi è stata data: si sarebbe chiarito in pochi secondi che si è trattato semplicemente di un equivoco.

PRESIDENTE. Ne prendiamo atto.

Aveva chiesto di intervenire per una questione personale anche il senatore Giovanardi, ma credo si sia già chiarito tutto. Mi pare che abbia precisato che era fuori per un servizio.

GIOVANARDI (GAL (GS, PpI, M, Id, ApI, E-E, MPL)). Signor Presidente, questo spiacevole episodio dà anche una cattiva immagine del Senato all'esterno. Questa mattina all'inizio dei lavori ero qui insieme ai colleghi, poi ho accompagnato una delegazione di cittadini dell'EUR dal prefetto di Roma e abbiamo avuto un colloquio di tre quarti d'ora su un'emergenza particolarmente sentita in quel quartiere. Finito l'incontro, sono tornato al Senato, tre quarti d'ora dopo. Avrò anche lasciato la tessera inserita (c'era la discussione generale), ma poteva essere estratta. Non capisco perché per tre quarti d'ora il Senato della Repubblica debba bloccarsi su una questione assolutamente banale, rispetto a una tessera che un senatore Questore può estrarre, mentre un senatore era (visto che abbiamo impegni anche fuori da quest'Assemblea) in un incontro formale con il prefetto di Roma per questioni che riguardano i cittadini.

Volevo solo spiegare perché sono uscito quei tre quarti d'ora. Ma anche quando un collega va prendere un caffè o ha un'esigenza fisiologica, se dimentica la tessera non deve essere una questione di Stato e chi continuamente solleva questi problemi facendone addirittura una questione che all'esterno ridonda come un fatto spiacevole per tutto il Senato se ne deve assumere la responsabilità.

PRESIDENTE. Senatore Giovanardi, il fatto è che io avevo sollecitato l'attenzione di tutti i senatori, essendo una tessera personale, a custodirla e vigilarla.

Poiché ammettiamo qualche dimenticanza, provvedono di solito i Segretari o i Questori, con l'aiuto degli assistenti, a rimuovere le tessere dimenticate. Però continuo a ribadire il concetto che ognuno è responsabile della propria tessera e che, se la porta con sé quando si allontana, è meglio, anche se può succedere di dimenticarla.

Sull'ordine dei lavori

GASPARRI (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, vorrei solo fare una segnalazione. Come membro della Commissione difesa ho ricevuto una comunicazione per una convocazione di una seduta in sede deliberante per le ore 14,45. Essendo deliberante, sarà necessario il numero legale, pertanto mi auguro che in un quarto d'ora si faccia in tempo. Volevo tuttavia che fosse a conoscenza di questa circostanza che ho appreso da una comunicazione.

PRESIDENTE. Ne prendiamo atto.

Apprezzate le circostanze, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo e sospendo la seduta fino alle ore 15.

(La seduta, sospesa alle ore 13,10, è ripresa alle ore 15,04).

CROSIO (LN-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CROSIO (LN-Aut). Signor Presidente, vorrei intervenire per fatto personale. Prima della sospensione dei lavori, infatti, mentre lei presiedeva, è stata fatta una denuncia gravissima da parte del collega Girotto perché qualcuno avrebbe usato violenza nei confronti suoi e della sua scheda.

PRESIDENTE.Senatore Crosio, gli interventi per fatto personale vengono normalmente svolti a fine seduta.

CROSIO (LN-Aut). È una cosa molto importante, Presidente, mi voglio autodenunciare: sono stato io, signor Presidente, sono stato io che ho usato violenza nei confronti del senatore Girotto. Però, a mia discolpa, devo dire che sono stato istigato dal senatore Quagliariello, che è maestro in queste cose. Ci sono cascato.

PRESIDENTE. C'è un concorso di reato.

CROSIO (LN-Aut). Mi appello alla clemenza della corte. Sono incensurato e spero nella clemenza della corte. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

Discussione dei disegni di legge:

(2287) Disciplina del cinema, dell'audiovisivo e dello spettacolo e deleghe al Governo per la riforma normativa in materia di attività culturali (Collegato alla manovra finanziaria) (Votazione finale qualificata, ai sensi dell'articolo 120, comma 3, del Regolamento)

(649) GIRO ed altri. - Modifiche al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, e alla legge 21 aprile 1962, n. 161, in materia di attività cinematografiche ed istituzioni culturali

(1835) DI GIORGI ed altri. - Legge quadro in materia di riassetto e valorizzazione delle attività cinematografiche e audiovisive, finanziamento e regime fiscale. Istituzione del Centro nazionale del cinema e delle espressioni audiovisive

(ore 15,05)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge nn. 2287, 649 e 1835.

La relazione è stata già stampata e distribuita. Chiedo alla relatrice se intende integrarla.

DI GIORGI, relatrice. Signor Presidente, colleghi, presentiamo il disegno di legge recante disciplina del cinema, dell'audiovisivo e dello spettacolo e deleghe al Governo per la riforma normativa in materia di attività culturali n. 2287. Vi parlerò solo di cinema in quanto in Commissione abbiamo proposto e votato lo stralcio dell'articolo 34 relativo alla disciplina dello spettacolo dal vivo. Se l'Assemblea concorderà, tratteremo il sistema dello spettacolo dal vivo, sempre a partire dal Senato, con separato iter legislativo, in modo da poter garantire a questo settore il necessario approfondimento istruttorio anche con audizioni.

Signor Presidente, si tratta di un intervento molto rilevante che ha come obiettivo il rilancio e lo sviluppo del settore cinematografico e audiovisivo, in attuazione di principi consolidati anche a livello internazionale e europeo a salvaguardia dei valori e delle identità culturali in questa società globale e tecnologica. Le opere audiovisive e, in particolare, quelle cinematografiche sono considerate dall'Unione europea strategiche in quanto rispecchiano la varietà culturale delle diverse tradizioni e storie degli Stati membri dell'Unione europea. Per questa ragione, pur avendo una notevole incidenza sul mercato, gli interventi previsti dal disegno di legge non si configurano come aiuti di Stato vietati dalle norme sulla concorrenza, ma rientrano tra le eccezioni culturali previste dal Trattato, naturalmente nell'ambito di ben delineati limiti. Il disegno di legge richiama, quindi, le norme costituzionali europee e internazionali che definiscono il cinema e l'audiovisivo fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale.

Il Governo ha colto l'importanza dell'azione parlamentare avviata in 7a Commissione con il disegno di legge n. 1835, presentato da una cinquantina di senatori, con la sottoscritta come prima firmataria, e il disegno di legge n. 649, presentato dal collega Giro, che si occupava anch'esso di cinema e audiovisivo. Il Governo, per fruire di una corsia preferenziale, ha presentato, a sua volta, un disegno di legge collegato alla legge di bilancio per l'anno 2016, che quindi ingloba in parte i disegni di legge d'iniziativa parlamentare, beneficiando di una cosa molto importante - mi riferisco ai tempi - e utilizzando tutto ciò che in Commissione in oltre sei mesi di lavoro era già stato fatto attraverso un ciclo di circa 60 audizioni, che ci hanno consentito di ascoltare tutti gli attori del sistema. Credo che non abbiamo dimenticati nessuno.

Il nostro obiettivo è stato quello di restituire agli investimenti pubblici sul cinema una valenza culturale e sociale che miri alla valorizzazione del cinema di qualità e alla formazione del pubblico, a partire dai giovani nelle scuole. Una finalità irrinunciabile, che ben può coniugarsi tuttavia con le esigenze delle imprese del cinema. Era questo il problema: stabilire l'equilibrio tra impresa e cultura e formazione culturale in questa materia. Era una finalità cui noi non potevamo rinunciare e che, di fatto, però doveva contemperarsi con le esigenze delle imprese del cinema in una logica di complessivo sviluppo del settore. La logica di carattere economico, che giustamente le imprese del cinema richiedevano, rispondendo ai criteri di sostenibilità del mercato, di fatto tuttavia tende a produrre una sorta di omogenizzazione di contenuti e prodotti. Dovevamo mettere insieme questa logica con quella più strettamente culturale e sociale che mira, invece, come si immagina, alla differenziazione e all'originalità. In questa prospettiva, quindi, deve leggersi il nostro lavoro emendativo. Abbiamo fatto un grande lavoro emendativo e ringrazio i colleghi di tutti i Gruppi. Abbiamo lavorato moltissimo ottenendo anche un risultato positivo. Il nostro lavoro è stato indirizzato a incrementare le risorse destinate al cosiddetto fondo selettivo, utilizzato per le scelte di più elevata qualità artistica, e introducendo una percentuale minima garantita di investimenti a favore delle scuole. Abbiamo sempre tenuto presente - un po' è lo spirito della nostra Commissione che lo richiede, dal momento che si occupa di cultura, scuola e formazione - un elemento molto importante, che qui rivendico e presento all'Assemblea con un po' di orgoglio; un elemento che è stato accolto dal Governo e che si sostanzia in un investimento forte sulla scuola, un investimento strutturale che di fatto consentirà di espletare un importante lavoro di formazione sia per gli insegnanti che per gli studenti all'interno delle scuole di ogni ordine e grado.

Nella nostra attività emendativa abbiamo poi aggiunto al testo d'iniziativa del Governo un nuovo organismo: il Consiglio superiore del cinema e dell'audiovisivo, composto da esperti di qualificata esperienza e diversa provenienza; una sorta di struttura simile a quella già esistente presso il Ministero dei beni culturali, vale a dire il Consiglio superiore per i beni culturali. La finalità è quella di assicurare un dialogo stabile con gli operatori del settore e i diversi livelli di Governo - penso allo Stato ma anche alle Regioni - con il compito di effettuare una verifica sugli effetti degli interventi. Infatti, è sempre importante verificare i risultati degli investimenti realizzati dallo Stato nei vari settori. Pertanto, abbiamo previsto questo organismo e gli abbiamo attribuito questa funzione di verifica degli effetti degli interventi, allo scopo di indirizzare le politiche del Ministero in sede di elaborazione dei decreti. Tali attività di monitoraggio e valutazione saranno poi alla base della relazione, sempre prevista con un nostro emendamento, all'interno della relazione annuale del Ministro in Parlamento.

Un pacchetto orientato a fare in modo che l'importante fase di verifica possa effettuarsi con uno strumento utile ed anche agile, che è appunto il Consiglio superiore della cinema e dell'audiovisivo.

Il lavoro svolto a livello parlamentare ha consentito di perfezionare il disegno di legge, recuperando molti degli elementi importanti discussi in Commissione e contenuti nel disegno di legge di iniziativa parlamentare.

Illustrerò alcuni degli elementi principali del disegno di legge mettendo insieme il lavoro svolto in Commissione con il testo proposto dal Governo.

Nel disegno di legge si prevede una piena attuazione della Costituzione e dei Trattati dell'Unione europea e dell'UNESCO in quanto si riconosce, a livello di principio, che il cinema va sostenuto. Cito dalla legge «il disegno di legge riconosce, promuove e sostiene il cinema e l'audiovisivo quali fondamentali mezzi di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale».

Colleghi, abbiamo poi un vero e proprio raddoppio delle risorse. Un risultato davvero positivo, ottenuto dal Governo e dal ministro Franceschini. Al riguardo ringrazio il sottosegretario Cesaro, presente in Assemblea, che ha seguito la Commissione in tutto il suo lavoro: 400 milioni di euro annui, a partire da quest'anno, a fronte degli attuali 200 milioni circa, allocati su diversi fondi. Con questo provvedimento si istituisce il Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell'audiovisivo. Si realizza in tal modo un riordino del complesso degli investimenti. Questo livello di finanziamento complessivo è commisurato annualmente in base ad una percentuale. Si tratta di un elemento interessante e innovativo, che è stato anche oggetto di dibattito con la Ragioneria generale dello Stato.

Ogni anno il livello di finanziamento è commisurato all'11 per cento delle entrate IRES e IVA del settore, quindi in realtà va a crescere: ove crescesse il mercato, è previsto che si abbia un aumento dei parametri di riferimento per ridefinire coerentemente le risorse nella manovra annuale di bilancio. Questo come capite è molto importante, perché c'è il raddoppio delle risorse che vengono date al cinema. Da qui l'idea che effettivamente ci crediamo: il Governo ci ha creduto e naturalmente il Parlamento su questo non può che essere d'accordo. Il Parlamento ovviamente avrebbe voluto anche di più, ma diciamo che il raddoppio può essere un buon risultato che il Governo ci ha proposto e che noi abbiamo valorizzato e molto condiviso.

Vi parlavo inoltre anche dei contributi selettivi a progetto. A tale proposito abbiamo lavorato molto e abbiamo voluto che ci fosse un impegno forte del Governo, perché si tratta dei film fatti dai giovani, dei film sulle opere prime e seconde; si tratta di dare finanziamenti ai film d'essai, ai contenuti di qualità, anche ai film difficili per intenderci. Quindi abbiamo rivolto una particolare attenzione, con una cifra che in termini assoluti è di circa 70 milioni di euro e in percentuale va dal 15 al 18 per cento del Fondo annualmente. Considerando ciò che dicevo prima, ossia che il fondo è commisurato all'11 per cento delle entrate IRES e IVA, evidentemente se questo aumenta aumenterà anche la cifra assoluta dei 70 milioni che intanto per quest'anno mettiamo a disposizione per le opere di qualità, per le opere difficili, con i contributi selettivi.

Abbiamo poi i contributi automatici, un altro elemento molto importante su cui dobbiamo fare un lavoro equo, dobbiamo in realtà introdurre un nuovo criterio. Si prevedono nuovi parametri per l'accesso ai contributi riconosciuti per opere già realizzate condizionati però al reinvestimento nel settore, che tengano conto anche della qualità della partecipazione ai festival internazionali, dei premi conseguiti, e non soltanto degli incassi al botteghino.

Nella legislazione vigente si considera solo il parametro dell'incasso al botteghino. Capite bene, colleghi, che questo non poteva essere sufficiente: non possiamo pensare che un film debba ricevere finanziamenti dallo Stato soltanto se va bene al botteghino. Non abbiamo niente contro i botteghini, anzi, siamo perché il massimo numero possibile di persone vada al cinema e arricchisca il botteghino, ma certamente non può essere questo il parametro perché a finanziamento si aggiunga finanziamento.

Dobbiamo dare contenuto di qualità anche a quei film che spesso vanno molto bene, che hanno un ottimo risultato di botteghino, ma che nello stesso tempo sono - grazie al cielo - film di qualità. Quindi, film di grande successo, ma non perché sono i cosiddetti film panettone, di cui avete sentito parlare; mi riferisco anche a film di qualità che hanno vinto concorsi internazionali, festival e premi. Abbiamo cercato di mettere insieme una serie di parametri. Considerate che per questa tipologia di contributi automatici su opere realizzate, storicamente, siamo nell'ordine dei 20 milioni di euro l'anno: ogni anno il Ministero ha investito 20 milioni di euro su questa tipologia.

Introduco ora il tema del tax credit, che non è una cosa nuova, perché qualcosa già esisteva. Anche noi abbiamo votato già in questa legislatura una serie di provvedimenti che hanno considerato il tax credit e che hanno introdotto, anche con varie percentuali, i tax credit all'interno del mondo del cinema. Con questo provvedimento abbiamo riordinato il tutto, con un tax credit con diverse percentuali: va dal 15 al 40 per cento a seconda delle tipologie e delle finalità. Quindi anche questo va considerato come un nuovo investimento dello Stato.

Signor Presidente, di fatto ci sono i fondi diretti e i fondi che arrivano dal tax credit, che sono comunque risorse a cui lo Stato rinuncia per reimpiegarle nel mondo del cinema. Quindi, capite che l'investimento è veramente interessante e credo che ciò sia stato condiviso e accolto molto positivamente da un po' tutti i colleghi di tutte le forze politiche. Si tratta di uno sforzo vero fatto dal Governo.

C'è, quindi, un credito di imposta per le imprese di produzione, un credito di imposta per le imprese di distribuzione e un terzo credito di imposta per le imprese dell'esercizio cinematografico, per le industrie tecniche e di postproduzione e per l'adeguamento strutturale e tecnologico delle sale. C'è poi un credito di imposta, molto importante, per la promozione di opere italiane ed europee nelle sale e un credito di imposta, su cui richiamo la vostra attenzione, per l'attrazione in Italia di investimenti (ossia produzione esecutiva e postproduzione di film stranieri). Noi vogliamo, infatti, che in Italia si vengano a girare dei film, perché questo significa lavoro e internazionalizzazione, ma anche turismo, occasioni e opportunità per tutti coloro che lavorano nel settore. Quindi, vi è un quinto credito di imposta per l'attrazione di investimenti stranieri in Italia.

È inoltre previsto un sesto credito di imposta per le imprese che non appartengono al settore del cinema e dell'audiovisivo, ma che hanno deciso di investire per la produzione e la distribuzione di opere cinematografiche audiovisive. Il nome che gli abbiamo dato è tax credit esterno.

Con il disegno di legge in esame, quindi, il valore complessivo del tax credit giunge a 260 milioni di euro, rispetto ai 150 milioni dell'anno scorso. Bisogna infatti fare i conti e vedere le cifre assolute. In questo caso abbiamo complessivamente raddoppiato tutti i filoni di intervento e di finanziamento e, quindi, credo che abbiamo fatto uno sforzo enorme da questo punto di vista.

Come vi ho appena detto, vi sono quindi sei tipi di tax credit, cui si aggiungono ulteriori strumenti di sostegno al credito. Abbiamo pensato anche a qualcos'altro di innovativo, come richiesto ed emerso nelle molte audizioni che abbiamo fatto, cui hanno partecipato gli operatori, anche quelli più deboli. È infatti evidente che questo è un mondo dove ci sono soggetti molto forti e molto potenti, ma anche soggetti che sono un po' in difficoltà o perché, trattandosi di giovani imprese, devono ancora seguire un processo che - auspichiamo - le porterà al successo. È evidente che, in questa fase, essi vanno aiutati e, attraverso un provvedimento come quello in esame, è compito dello Stato supportare queste giovani imprese, sempre riferendosi all'eccezione culturale. Non stiamo dando aiuti di Stato e ne dobbiamo essere tutti molto consapevoli. Qualche volta, infatti, il confine può non essere così chiaro: quelli che vengono dati non sono aiuti di Stato, perché il cinema è cultura e identità culturale di un Paese e l'Unione europea riconosce l'eccezione culturale. Lo ripeto, perché è evidente che questo è il tema più delicato affrontato dal provvedimento ed è quindi giusto che sia ben chiaro ai colleghi nel momento in cui poi ci apprestiamo a esaminare il disegno di legge.

Abbiamo introdotto la possibilità per quelle imprese che non riescono a utilizzare il credito di imposta ad esse spettante di poter cedere le somme, secondo le procedure di legge, oltre che a intermediari bancari e assicurativi, anche all'Istituto per il credito sportivo. Che c'entra il credito sportivo? L'Istituto per il credito sportivo fa investimenti anche nella cultura e, quindi, quella che abbiamo introdotto è un'innovazione, anch'essa frutto del lavoro parlamentare. L'Istituto per il credito sportivo si impegna, sulla base di un'apposita convenzione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, a destinare le somme corrispondenti all'importo dei crediti ceduti al finanziamento di progetti e iniziative nel settore della cultura, con particolare riguardo al cinema e all'audiovisivo. Abbiamo quindi creato una sorta di circolo virtuoso molto interessante e innovativo, che francamente credo potrà portare a risultati molto interessanti. Lo vedremo. Adesso dobbiamo sperimentarlo, in quanto, come per tutte le cose nuove, è giusto osservare con attenzione e vedere quali saranno i risultati di queste intuizioni che, secondo noi, sono intelligenti, ma - ripeto - vedremo in seguito (in genere cerchiamo di fare il meglio e proporre qualcosa di utile).

C'è un altro punto molto importante, richiesto dai giovani produttori e dai giovani che lavorano o vogliono lavorare nel mondo del cinema e dell' audiovisivo: si tratta del Fondo di garanzia. Si prevede infatti l'istituzione di un Fondo di garanzia, con una dotazione di 5 milioni di euro all'anno, configurato come sezione speciale del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, per garantire operazioni di finanziamento per la realizzazione di prodotti audiovisivi e cinematografici. È la prima volta che viene istituito un Fondo di garanzia: il Ministero su questo tema è stato molto disponibile e abbiamo condiviso questa idea. Dunque è stato previsto lo stanziamento di 5 milioni di euro all'anno per i giovani e per coloro che hanno realmente bisogno di un supporto per poter partire con la propria attività.

Nel provvedimento c'è poi una misura molto importante, che credo interesserà molto i colleghi, che nei territori avranno probabilmente avuto sollecitazioni in tal senso. Nel disegno di legge presentato dal Governo era previsto un Fondo di 120 milioni di euro di contributi a fondo perduto. Era previsto che lo stanziamento di questi fondi - che sono tanti - avesse una durata di soli per tre anni. In seguito al dibattito parlamentare abbiamo portato a cinque anni tale durata, perché vogliamo dare tempo per le progettazioni, affinché sia il pubblico che il privato possano approntare un'analisi corretta delle sale e di tutto che è presente nei territori, in modo da presentare una progettazione che supporti il cammino che intendiamo proporre. Vogliamo infatti che le sale cinematografiche vengano riaperte, in particolare nei centri storici. Naturalmente, in occasione della legge sullo spettacolo ci saranno interventi anche affinché i teatri vengano riaperti e credo che il Governo, su nostra sollecitazione, sarà spinto a cercare nuove risorse per lo spettacolo dal vivo e per i teatri. Intanto però parliamo di cinema e, a tal proposito, possiamo dire che lo sforzo è stato compiuto. Si sta proponendo infatti di tornare al cinema, perché a mio avviso - se permettete una considerazione personale - non è giusto e non è bello rimanere in casa a guardare solo ciò che ci viene proposto dalla grande distribuzione televisiva. Proviamo a tornare fuori, nelle piccole sale, soprattutto nei piccoli centri, perché ciò significa fare socialità, tornare a incontrarsi e a parlare, senza stare chiusi in casa, in salotto, seduti sul divano, a guardare da soli un film, ma condividendo emozioni e commenti all'uscita del cinema. Quindi abbiamo favorito la riapertura delle piccole sale e lo abbiamo fatto in particolare per i Comuni al di sotto dei 15.000 abitanti, per cui sono messe a disposizione ulteriori risorse, proprio perché in quei luoghi è particolarmente importante che torni il cinema. Questo lo dico non perché vogliamo essere «Amarcord» o perché ci piaccia il "piccolo mondo antico", ma perché riteniamo che rimettere in campo alcuni valori di quel piccolo mondo, non fa certamente male a nessuno. Quindi su questo aspetto abbiamo voluto dare un forte sostegno e, da questo punto di vista, il Governo ha fatto un lavoro eccezionale.

A proposito di piccoli mondi antichi e di modernità, è stato previsto un piano straordinario di digitalizzazione di tutto il patrimonio cinematografico e audiovisivo, che dobbiamo conservare nel miglior modo possibile. Per questo il Governo ci ha proposto uno stanziamento di 10 milioni di euro, per tre anni, a fondo perduto - quella, signor Sottosegretario, è una delle poche cifre che non abbiamo aumentato - per finanziamenti agevolati e interventi di digitalizzazione delle opere televisive e cinematografiche da parte delle imprese italiane. Anche questo è importante ed è una richiesta che è stata rivolta. All'interno della Commissione in sede referente abbiamo voluto con forza le misure relative alla scuola e all'alta formazione. Abbiamo infatti proposto - e il Governo ha accettato - una riserva di non meno di 12 milioni di euro all'anno da destinare alle scuole. Abbiamo pensato, infatti, di vincolare a tal fine una quota pari al 3 per cento dei 400 milioni di euro - o della diversa cifra che sarà a disposizione - del Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell'audiovisivo. Si tratta quindi di una percentuale del 3 per cento di tale Fondo, che tutti gli anni sarà vincolata per la scuola, con una misura strutturale. Vogliamo, infatti, far crescere il pubblico di domani; vogliamo far crescere la passione per i mestieri del cinema. Vogliamo che nella scuola, attraverso corsi di formazione (che con questi fondi verranno proposti, attraverso una convenzione che verrà messa in atto tra MIBACT e MIUR), si innalzi il livello culturale e la formazione nell'ambito del cinema e dell'audiovisivo. Sono quindi risorse strutturali che vengono messe a disposizione. E questo è molto importante.

Vi è poi un'altro aspetto, che credo interessi perché conoscete bene le realtà territoriali. Esistono le Film commission, che attualmente sono istituite all'interno di varie Regioni, ma non in tutte. Esse lavorano in modo molto diverso e producono degli effetti diversi tra Regione e Regione.

L'Italia, invece, è tutta bellissima, e le Film commission devono valorizzare il proprio territorio, attrarre investimenti e riuscire a far lavorare nei territori coloro che al cinema sono interessati.

Noi sosteniamo le Film commission attraverso una importante immissione di risorse, ma anche con un riconoscimento. Per la prima volta, infatti, nelle definizioni relative al cinema, ritroverete, all'articolo 2 del disegno di legge, che è dedicato appunto alle definizioni, la definizione di Film commission e, quindi, la previsione di Film commission regionali. Noi riteniamo che questo sia un altro aspetto significativo.

Un altro punto, colleghi, concerne la trasparenza. Spesso, nell'ambito del finanziamento dei fondi pubblici destinati al cinema, la criticità è sempre stata rappresentata dalla trasparenza dei finanziamenti. Non abbiamo mai saputo, se non in modo parziale, chi prendeva risorse e da dove, né chi fossero i soggetti che elargissero risorse alle varie produzioni. Pertanto, si è perso in questi anni il canale di riferimento e non si riusciva a capire bene chi usufruisse in misura maggiore di queste risorse.

Adesso abbiamo istituito un registro, il registro cinematografico, che raccoglie tutte le informazioni relative alle assegnazioni di contributi pubblici statali, regionali e dell'Unione europea, dandone pubblicità sulla rete Internet. È un accesso che viene dato a chiunque. Dunque, chiunque potrà sapere quel film da chi è stato finanziato, come e perché. Questo è un elemento fortissimo di trasparenza, che noi riteniamo, con grande orgoglio, di avere introdotto, perché era necessario che in questo mondo ci fosse una maggiore trasparenza rispetto ai finanziamenti.

Signor Presidente, ho citato qui i punti essenziali. Ritengo che questo provvedimento risponda (e in realtà siamo abbastanza soddisfatti) alle aspettative del mondo del cinema e dell'audiovisivo. Lo abbiamo verificato negli innumerevoli incontri e nelle ore di audizione che a questo provvedimento abbiamo dedicato. Dovevamo trovare un equilibrio tra investimenti diretti e misure di tax credit. Molta attenzione abbiamo riservato alla formazione del pubblico e agli interventi significativi e strutturali nella scuola italiana, come ho avuto modo di dire.

Un grande lavoro è stato compiuto dai membri della 7a Commissione, che ringrazio molto per l'importante contributo dato in fase emendativa. Ringrazio i colleghi del Movimento 5 Stelle e del Gruppo Misto. Davvero è stato un lavoro molto serio e anche molto positivo quello che abbiamo svolto. Ringrazio poi, non solo i colleghi della 7a Commissione, ma anche altri colleghi che sono molto intervenuti su questo provvedimento, ponendoci delle questioni e dandoci delle sollecitazioni interessanti che spesso, con l'aiuto del Governo, siamo riusciti a introdurre in questo provvedimento. E questo ritengo sia un motivo di soddisfazione per un parlamentare.

Ringrazio molto anche i colleghi della Commissione bilancio. Come ho detto, sono stati introdotti alcuni elementi innovativi di finanza pubblica, quindi c'era bisogno di un approfondimento insieme alla ragioneria; c'è stato quindi un rapporto tenuto molto bene dal MIBACT con il Tesoro e la 5a Commissione che ha dovuto supportarci. Considero giusto, utile e opportuno che tutta questa parte e questi approfondimenti di natura tecnica, che non era semplice effettuare e anche far muovere in una logica di innovazione e di sfida, siano valorizzati in quanto tali. Vedo che il presidente Tonini sta entrando in Aula proprio adesso, mentre è in atto il ringraziamento a lui e alla 5a Commissione.

Ringrazio tutti i miei collaboratori che hanno consentito di realizzare il nostro lavoro e coloro che, anche fuori dall'Aula del Senato, fin dall'inizio hanno creduto che nel 2016 si potesse avere in Italia una legge complessiva sul sistema del cinema e dell'audiovisivo. Non tutti concordavano nel redigere una legge unica che in qualche modo diventa anche un codice; sicuramente ci sono alcune deleghe al Governo su una serie di questioni, come vedremo nell'esame degli articoli, ma abbiamo disegnato la disciplina del cinema e dell'audiovisivo e a mio avviso abbiamo fatto bene il lavoro concernente le definizioni. Abbiamo dato forma giuridica a un mondo che via via in questi anni è cresciuto e si è trasformato molto, quindi era importante dare una risposta in questo senso.

Ringrazio davvero tutti i collaboratori, quelli che fuori dall'Aula ci hanno creduto, e poi ringrazio davvero la struttura e la dirigenza del Senato della Repubblica. Quello in esame è un provvedimento complicato, a cui abbiamo lavorato per tanti mesi; ringrazio in particolare la dottoressa Di Cesare della 7a Commissione e la dottoressa Piccardi, che ha risolto una quantità di problemi all'interno della 5a Commissione. Ringrazio naturalmente il ministro Franceschini, i suoi uffici e soprattutto il sottosegretario Cesaro, che ha seguito con minuzia il nostro lavoro e ci ha aiutato a porre il disegno di legge in esame in una condizione di equilibrio che non era facile da trovare, proprio per le questioni cui accennavo prima.

In ultimo, ma non per importanza, ringrazio il presidente Marcucci che, con la consueta competenza e saggezza, ha messo insieme questo mondo della 7a Commissione e ha condotto i lavori su un provvedimento difficile e che ha avuto un iter particolarmente complesso per via di una questione di fondo, il fatto cioè che si doveva trovare un equilibrio tra l'attività parlamentare che era già avviata e il provvedimento che veniva dal Governo, quindi il disegno di legge collegato, che noi abbiamo accolto positivamente perché ci ha aperto un'autostrada, nel senso che, sia per quanto riguarda i finanziamenti (essendo un disegno di legge collegato alla legge di stabilità) che per i tempi, ci ha dato un grosso aiuto.

Credo quindi che, con il lavoro di tutti, abbiamo prodotto un testo che a settembre spero riusciremo a esaminare con attenzione.

Naturalmente siamo disponibili nei confronti del lavoro emendativo che l'Assemblea dovrà ancora fare, considerando che moltissimi emendamenti anche dell'opposizione sono già stati accolti in Commissione e che quindi un grande lavoro comune è già stato fatto. (Applausi dai Gruppi PD e AP (NCD-UDC).

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.

MONTEVECCHI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTEVECCHI (M5S). Signor Presidente, intervengo brevemente sull'ordine dei lavori per stigmatizzare questo modo di procedere. È inaccettabile che venga fatta solo la relazione di un provvedimento così importante, che, stando alle promesse fatte dal Governo, avrebbe dovuto la vedere la fine dell'iter in Senato prima della pausa estiva. È chiaro che oggi si è deciso di incardinare il provvedimento e fare la relazione unicamente per poter andare al Festival di Venezia e dire che in Senato il provvedimento è stato incardinato.

Noi vorremmo che rimanesse agli atti che la relazione fatta dalla senatrice Di Giorgi - che comunque ringraziamo per il lavoro svolto - non garantisce assolutamente che alla ripresa, dopo la pausa estiva, questo provvedimento possa essere recuperato e vedere velocemente la luce in Senato.

Ricordiamo che, tra l'altro, il provvedimento era stato collegato alla manovra finanziaria proprio per avere un iter veloce e questo ha imposto anche una certa regolazione dei lavori parlamentari, incidendo sulla possibilità per le opposizioni di intervenire sul testo.

Spero, quindi, che rimanga agli atti che tutta la manovra è fatta unicamente per andare al Festival di Venezia e dire che in Senato abbiamo fatto il compitino. Il compitino non è stato fatto: che rimanga agli atti. (Applausi dal Gruppo M5S).

Discussione dei disegni di legge:

(2271) Deputati COSCIA ed altri. - Istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti

(282) MARINELLO ed altri. - Modifica all'articolo 2 del decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 170, in materia di punti di vendita della stampa quotidiana e periodica

(453) CRIMI ed altri. - Disposizioni volte alla abolizione del finanziamento pubblico all'editoria

(454) CRIMI ed altri. - Abrogazione della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull'ordinamento della professione di giornalista

(1236) BUEMI ed altri. - Delega al Governo per la definizione di nuove forme di sostegno all'editoria e l'abolizione dei contributi diretti ai giornali

(Relazione orale) (ore 15,42)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge nn. 2271, 282, 453, 454 e 1236.

Il relatore, senatore Cociancich, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.

COCIANCICH, relatore. Signor Presidente, riferisco sul disegno di legge che ha impegnato in modo significativo e importante la Commissione affari costituzionali e le altre Commissioni che hanno reso i pareri e che ha comportato anche un significativo lavoro istruttorio, avendo noi audito molte delle parti che vengono in qualche modo coinvolte dalle disposizioni del disegno di legge.

Vorrei rivolgere un ringraziamento non rituale a tutti, soprattutto ai componenti della 1ª Commissione e ovviamente un ringraziamento di cuore alla presidente Finocchiaro, per lo spirito costruttivo e propositivo che ha caratterizzato questi lavori.

Si tratta di un disegno di legge che è stato accompagnato da molta attenzione anche da parte dell'opinione pubblica e che viene da tutti considerato estremamente urgente. Questo è il motivo per il quale, credo, tutti si siano fatti responsabili nel cercare di trovare le soluzioni il più possibile condivise.

Vorrei riassumere brevemente i tratti salienti di questo provvedimento, che istituisce innanzitutto un Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, finalizzato ad assicurare la piena attuazione dei principi di cui all'articolo 21 della Costituzione (libertà, indipendenza e pluralismo dell'informazione), a livello sia nazionale che locale, e a incentivare l'innovazione dell'offerta informativa e dei processi di distribuzione e di vendita. Sostanzialmente viene previsto un regime transitorio che dovrebbe accompagnare le imprese editoriali dalla situazione di attuale crisi a una situazione che dovrebbe consentire loro, anche grazie all'innovazione tecnologica, la possibilità di restare sul mercato con le loro stesse gambe, facendo affidamento sulle proprie risorse e sulla propria capacità di vendere il prodotto che esse forniscono.

Su tale Fondo confluiscono tre elementi: le risorse statali destinate al sostegno all'editoria quotidiana e periodica; le risorse statali destinate all'emittenza radiofonica e televisiva in ambito locale, comprese quelle iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico; e poi una quota parte, fino a un importo massimo di 100 milioni di euro in ragione d'anno, delle eventuali maggiori entrate derivanti dal canone RAI che, come sappiamo, verrà riscosso quest'anno all'interno della bolletta elettrica.

Infine è previsto un elemento ulteriore, ossia un contributo di solidarietà pari allo 0,1 per cento del reddito complessivo dei concessionari della raccolta pubblicitaria delle società operanti nel settore dell'informazione e della comunicazione o di altri soggetti che esercitano l'attività di intermediazione nel mercato della pubblicità.

Il Fondo verrà ripartito annualmente tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dello sviluppo economico, secondo le rispettive competenze. Il disegno di legge disciplina anche le procedure con le quali il Parlamento avrà modo di interloquire e di verificare il rispetto dei criteri che vengono indicati nell'ambito della ripartizione.

Per quanto riguarda la definizione della platea dei beneficiari, questo disegno di legge consta soprattutto di una delega al Governo volta a ridefinire la disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici e ad incentivare gli investimenti per l'innovazione dell'offerta informativa. Potranno accedere ai finanziamenti le imprese editrici costituite come cooperative giornalistiche, individuando criteri relativi alla compagine societaria e alla concentrazione delle quote in capo a ciascun socio, enti senza fini di lucro e assimilati, limitatamente ad un periodo di tre anni - questa era la previsione iniziale; ma questo è anche oggetto di un emendamento, sul quale ho già anticipato il mio parere positivo - quindi limitatamente ad un periodo di cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, imprese editrici di quotidiani e periodici, la maggioranza del cui capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro. Ci sono poi imprese editrici di quotidiani e di periodici che siano espressione delle minoranze linguistiche, imprese che siano destinate agli ipovedenti, associazioni di consumatori iscritte nell'elenco di cui all'articolo 137 del decreto legislativo n. 206 del 2005, imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani editi o diffusi all'estero in lingua italiana.

Sono esclusi dal finanziamento gli organi di informazione di partiti o movimenti politici e sindacali, i periodici specialistici a carattere tecnico, aziendale, professionale e scientifico e le imprese editrici di quotidiani e periodici di aziende che sono quotate in borsa. Ci sono poi ulteriori criteri: è necessario, ad esempio, che l'impresa abbia un'anzianità di costituzione e di edizione della testata di almeno due anni, dimostri il regolare adempimento degli obblighi derivanti dai contratti collettivi nazionali o territoriali di lavoro, editi la testata in formato digitale, dinamico e multimediale, eventualmente in parallelo con l'edizione in formato cartaceo, dia evidenza dei contributi ricevuti, abbia l'obbligo di non adottare misure che, in qualunque modo, siano lesive dell'immagine del corpo della donna.

I decreti legislativi che dovranno essere emanati dal Governo dovranno prevedere un tetto massimo al contributo liquidabile a ciascuna impresa, legato all'incidenza percentuale del contribuito sul totale dei proventi e fino alla misura massima del 50 per cento. I decreti legislativi dovranno anche prevedere regole di liquidazione il più possibile omogenee ed uniformi per le diverse tipologie di imprese destinatarie e semplificare il procedimento amministrativo, al fine di addivenire a tempi di liquidazione minori. Vi sono poi delle misure che riguardano la liberalizzazione del sistema di vendita dei giornali.

Infine, la seconda parte importante di questo disegno di legge riguarda la composizione e le attribuzioni del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. È stato previsto, grazie ad un emendamento che è stato votato, che il Consiglio dei giornalisti venga a consistere di sessanta membri e che vi sia una rappresentanza regionale. Il decreto legislativo dovrà anche prevedere il sistema elettorale, garantendo la massima rappresentatività territoriale. Sono previsti un allineamento al sistema generale per quanto riguarda i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva per l'accesso agli ammortizzatori sociali e ai trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata. Si stabilisce che la commissione per la votazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico duri in carica fino all'approvazione della delibera che definisce l'equo compenso stesso, in ragione del fatto che oggi si sente come una piaga del settore il fatto che molti operatori percepiscano un compenso veramente troppo modesto. Infine, viene modificato l'articolo 45 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963, con la statuizione che nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell'albo istituito presso l'Ordine regionale o interregionale competente. La violazione di tale disposizione costituisce reato.

Con questo ho concluso, signor Presidente.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritta a parlare la senatrice Rizzotti. Ne ha facoltà.

RIZZOTTI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, il disegno di legge al nostro esame altro non è che un testo che mette assieme, unificandole, due proposte di iniziativa parlamentare in una ritrovata unità tra PD e SEL alla Camera. Vorrei solo ricordare che si erano presentati assieme alle elezioni per accedere al premio di maggioranza del Porcellum e poi si erano divisi, subito dopo le elezioni, in distinti Gruppi parlamentari.

Il testo contiene diverse deleghe al Governo, che avrà quindi libertà di scrivere ciò che vuole, essendo le deleghe poco dettagliate. E questo sebbene sia nell'altro ramo del Parlamento, che nella 1a Commissione del Senato, si sia tenuto un approfondimento, attraverso una serie di audizioni, con tutti gli attori del settore dell'editoria, per definire e conoscere meglio le tematiche oggetto dell'intervento legislativo.

I contenuti del disegno di legge riguardano il modello di sostegno pubblico all'editoria, il sistema pensionistico dei giornalisti e la disciplina del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti.

Inutile osservare come già queste considerazioni ci dovrebbero far riflettere sul nostro ufficio di legislatori. La domanda che allora ci poniamo è la seguente: cosa stiamo a fare in Senato se poi ci limitiamo a ratificare decisioni già assunte altrove? Noi siamo legislatori, fino a prova contraria, e avremmo voluto compilare queste deleghe valutando noi gli approfondimenti, per potere arrivare a un testo condiviso.

Auspicavamo di chiudere quella contrapposizione improduttiva tra Governo e opposizioni su temi che - non dimentichiamolo mai - in conclusione riguardano la libertà di espressione.

Ci chiediamo inoltre per quali ragioni in questo testo ci debbano essere norme che dovrebbero essere oggetto di uno specifico intervento normativo che riguardi il sistema di distribuzione e gli orari di apertura dei punti di vendita dei giornali.

Vorrei solo ricordare, ad esempio, che qui in Senato è stato approvato un disegno di legge che riscrive - parzialmente, va detto - le norme sulla concorrenza e sulle liberalizzazioni. Rilevo, a titolo di inciso, che queste sono le uniche norme condivisibili in questo testo, che è largamente da respingere.

La liberalizzazione dei punti vendita non è una scelta normativa, ma la conseguenza del fatto che oggigiorno l'informazione e i suoi contenuti sono ovunque grazie al web, che contiene non solo i siti Internet dei quotidiani tradizionali, ma anche al largo mondo dei social media e dei provider, che arricchiscono sempre più di contenuti informativi i propri siti. E la scelta non si riduce ai soli siti in italiano, ma si estende ai siti di tutto il mondo, e in questo la scelta è talmente vasta, che non conosce orari di apertura o di chiusura, essendo siti consultabili giorno e notte, sul telefonino, sul tablet, sul computer e sui televisori hi-tech.

Oltretutto, basta leggere le classifiche stilate a livello internazionale per avere questi riscontri e la loro attendibilità è dimostrata anche dalle classifiche che vengono stilate dagli operatori specializzati sugli utenti che visitano i differenti siti Internet, anche quelli prettamente di informazione.

I contenuti, quindi, ormai non sono più esclusiva dei tradizionali editori della carta stampata, ma sono ovunque. E questo è bene sottolinearlo, perché il tradizionale sistema di contributi all'editoria - che come vedremo è perpetuato anche in questo disegno di legge - risulta ancora legato al vecchio metodo della conta delle copie vendute e di quelle rese.

A questo variegato mondo dell'informazione libera e gratuita, che viaggia ora a una velocità incredibile, sarebbe stato necessario e doveroso rispondere rendendo più dinamico il mercato della carta stampata. Invece, il disegno di legge ha la medesima impostazione culturale delle leggi degli anni Novanta in materia.

Viene istituito il Fondo per il pluralismo e l'innovazione nell'informazione presso il Ministero dell'economia e delle finanze. Sarebbe meglio dire viene ricostituito, perché era già stato istituito dalla legge di stabilità 2016. In questo rinnovato Fondo afferiscono le risorse già riservate all'editoria, quelle destinate all'emittenza locale e una quota, sino a 100 milioni, del canone RAI (secondo il meccanismo di riscossione che avviene attraverso la bolletta elettrica dal luglio di quest'anno, con immensa gioia di tutti gli italiani). Poi, essendo questo il Governo delle tasse, non poteva mancare una nuova imposta creata ad hoc. Questa sarà a carico delle concessionarie della raccolta pubblicitaria, delle società che raccolgono pubblicità in forma diretta e degli altri soggetti, inclusi i provider Internet, dediti alla raccolta pubblicitaria. Sarà pari allo 0,1 per cento del reddito complessivo di ciascuna azienda coinvolta. Con la solita «astuzia normativa», che ormai purtroppo conosciamo, è stata chiamata contributo di solidarietà, per poter anch'essa alimentare il citato Fondo. La suddivisione degli importi avviene, quindi, tra il Ministero dello sviluppo economico e la Presidenza del Consiglio. Ciascuno di essi valuterà gli interventi di rispettiva competenza e la distribuzione degli aiuti. Come dicevamo, è un meccanismo vecchio di almeno trent'anni, sia nel settore dell'editoria, che in quello dell'emittenza locale. Si vogliono solo appesantire ulteriormente i player del mercato pubblicitario di un salasso ulteriore. Troveremo, quindi, aziende prospere e feconde che devono versare qualche obolo in più ad aziende che il mercato non riesce a premiare.

Sempre in questo provvedimento, viene introdotta una delega ulteriore al Governo per provare a dare un nuovo ordine alla disciplina dei contributi diretti alla editoria. I beneficiari saranno quelle cooperative giornalistiche, gli enti senza fine di lucro e, solo per tre anni, le imprese editrici la cui maggioranza sia detenuta da cooperative o enti senza fini di lucro. Ovviamente stiamo parlando di imprese che si presume facciano informazione. L'idea del mondo dell'informazione è, appunto, vecchia e legata a un vecchio modo di recepire contributi, eppure si perpetua questo meccanismo, di fatto superato dall'emergente mondo dell'informazione contemporanea. L'unico dato certo è che verranno esclusi da questo meccanismo di contributi pubblici tutti gli organi di informazione dei partiti, dei sindacati e, persino, i periodici specialistici che, sino ad oggi, hanno beneficiato del sostegno pubblico. Ovviamente, nel momento in cui i partiti e i politici vengono additati agli occhi della pubblica opinione come responsabili di ogni nefandezza, è chiaro che bisognava colpirli per mettere dei tweet più divertenti in rete.

Al Governo Renzi viene, inoltre, assegnata una delega ulteriore per procedere alla revisione del sistema pensionistico dei giornalisti, al fine di renderlo gradualmente simile alle disposizioni in materia di pensioni che riguardano la stragrande maggioranza degli italiani, che ovviamente sono meno favorevoli di quelle attualmente vigenti per i giornalisti. Bisogna, in realtà, anche andare a porre mano a una gestione non proprio virtuosa dell'ente pensionistico dei giornalisti e bisogna studiare norme assimilabili al sistema pensionistico generale, già oggetto di diverse riforme, da Dini a Fornero, sino alle ultime modifiche introdotte.

Su questo tema si sarebbe potuto provare ad avere una mediazione in Senato. Un'altra delega è prevista per riformare il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, riducendone i componenti ad un massimo di 60, rispetto ai 144 di oggi. Anche questa sembra una delega che va a supplire ad una mancata auto riforma degli stessi giornalisti, ma che poteva essere risolta in Parlamento. Si novella persino una norma che andrebbe abrogata, quella relativa all'esercizio abusivo della professione giornalistica. Resta difficile comprendere come l'esercizio abusivo della professione giornalistica possa ancora presentarsi come un reato in un'epoca in cui chiunque pubblica notizie, come se lo scrivere o il diffondere notizie fosse appannaggio esclusivo di chi è iscritto a un elenco di un ordine professionale. Probabilmente la norma serve a fare la solita reprimenda da parte dell'ordine dei giornalisti alla intrattenitrice o intrattenitore televisivo di turno che, oltre a tenere compagnia al pubblico, gli rende anche informazioni di tipo giornalistico.

Il testo alterna quindi norme immediate ad altre che richiedono un'attuazione da parte del Governo ma persino, in modo assai contraddittorio, sulle medesime materie.

In sostanza, è un testo che risulta sicuramente ancora troppo confuso, anche se comprende intenti importanti, come quelli della riforma dell'editoria e della emittenza locale, del sistema pensionistico dei giornalisti, che avrebbero potuto e dovuto essere meglio approfonditi e trattati nella sede parlamentare. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI (CoR). Signor Presidente, il provvedimento che ci accingiamo a votare è un chiaroscuro; una proposta di legge che ha come obiettivo l'istituzione di un Fondo per il pluralismo e l'innovazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico all'editoria, come recita il titolo del disegno di legge.

Il settore modificato da questo disegno di legge è stato oggetto, nel corso degli ultimi anni, di numerosi interventi legislativi che ne hanno modificato l'assetto, tutti in linea con una generale politica di contenimento della spesa pubblica e con una conseguente contrazione della platea dei beneficiari dei contributi stessi. Non è un mistero, infatti, che le grandi testate non sono più destinatarie di finanziamenti diretti e, tra le stesse, quelle che ricevono una qualsiasi forma di sostegno rappresentano una realtà molto ristretta rispetto al numero totale: si parla di 215 testate su circa 7000. Ad oggi questo resta uno dei settori che sta affrontando una grave crisi, non da poco tempo ma da anni, nonostante 20 milioni di italiani continuino ad essere lettori di quotidiani e periodici e tale numero rappresenti una fetta consistente di popolazione. Forse però, mi viene il sospetto che tali lettori siano visti come clienti di bar, come spettatori di rassegne stampa televisive e molto meno come acquirenti, anche per l'utilizzo enorme - sottolineato poc'anzi dalla collega Rizzotti - delle informazioni provenienti dal web e dalle testate utilizzabili on line e non a pagamento.

Sarebbe pertanto insensato continuare ad ignorare il processo irreversibile di trasformazione delle informazioni. Il mondo delle informazioni rappresenta un settore esiziale per la qualità della nostra democrazia. Non a caso la nostra Costituzione, tra i suoi principi fondamentali, si pone l'obiettivo di tutelare il pluralismo dell'informazione e il diritto di libertà di essere informati e di informare. In tal senso, garantire una concreta e autentica libertà di stampa significa permettere a tutte le voci di occupare il proprio spazio culturale, ritagliando per sé una fetta del mercato della comunicazione, a volte anche una piccola fetta, anche delle nicchie di questo mercato, potendo avere pari dignità rispetto alle varie testate; siano esse tradizionali, innovative o on line poco importa.

Molto spesso, anche in quest'Assemblea, si è posto il problema della distribuzione delle risorse pubbliche da indirizzare verso l'editoria al fine di assicurare il pluralismo pieno nell'assoluta trasparenza, individuando criteri oggettivi indiscutibili, facili anche da utilizzare.

Informazione e trasparenza sono principi che il Governo predica ed enfatizza molto spesso, ma molto più frequentemente senza far seguire comportamenti concludenti.

Mi sovviene a tal riguardo, per rimanere in tema, l'esempio del canone RAI. Il Governo ha sostenuto la novità del canone riscosso con la bolletta dell'energia elettrica, motivandola tra l'altro con ulteriori disponibilità di risorse provenienti da tale riscossione, attraverso appunto la bolletta elettrica, destinate al fondo ripartito annualmente tra la Presidenza del Consiglio e il Ministero dello sviluppo economico a sostegno dell'editoria quotidiana e periodica e delle emittenti locali. Vedremo se ciò avverrà. Tuttavia, qualche dubbio è legittimo nutrirlo davanti al Governo degli annunci e delle poche realizzazioni.

Tornando al testo del disegno di legge, non si possono non rilevare le importanti e consistenti deleghe al Governo per ridefinire contemporaneamente la disciplina del sostegno pubblico all'editoria, per disciplinare i pensionamenti dei giornalisti, riordinare le norme concernenti il Consiglio dell'ordine dei giornalisti, innovare il sistema distributivo nell'ottica di una maggiore liberalizzazione.

Quanto all'intervento di riordino e razionalizzazione del funzionamento del consiglio, noi avevamo presentato degli emendamenti perché abbiamo evidenziato che le norme di riordino del funzionamento del Consiglio dell'ordine dei giornalisti presentano evidenti criticità nella previsione di cui all'articolo 2, quinto comma, lettera a), punti 2 e 3.

In particolare, con riferimento al punto 2 e alla previsione di alternatività delle impugnazioni dinanzi al giudice ordinario o dinanzi al consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, con eventuale impugnativa al Presidente della Repubblica, si sottolinea che non è possibile prevedere la facoltà di impugnazione con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica delle decisioni del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti; ciò in quanto, ai sensi dell'articolo 7, comma 8, del decreto legislativo n. 104 del 2010, il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa. Se si sceglie la strada della giurisdizione amministrativa è possibile anche pensare al ricorso straordinario al Capo dello Stato; se invece si sceglie la strada dell'impugnazione davanti al consiglio nazionale, quella strada è preclusa. Noi in questo senso avevamo tentato di emendare, ma gli emendamenti non sono stati approvati in Commissione.

Orbene, è palese l'incoerenza sistematica della norma introdotta dal momento che, ex articolo 63 della legga n. 69 del 1963, le impugnazioni delle decisioni del consiglio nazionale sono devolute alla giurisdizione ordinaria, quindi c'è un contrasto tra la nuova norma e quella preesistente, vigente e non modificata della legge n. 69 del 1963. Anche in questo senso bisognerebbe porsi questo problema di discrasia.

Inoltre, con riferimento al punto 3 e alla previsione di una posizione previdenziale attiva dei pubblicisti presso l'INPGI al fine di poter esercitare l'elettorato passivo, si evidenzia l'ingiusta discriminazione nei confronti di quei giornalisti pubblicisti che hanno una posizione attiva presso enti previdenziali diversi da INPGI. Non si comprende, infatti, la finalità della previsione dal momento che per i giornalisti pubblicisti non vale il principio di esclusività professionale che vincola i professionisti, e soprattutto che la titolarità di una posizione attiva previdenziale presso l'INPGI non incide sull'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti.

Analoga previsione limitativa non è prevista infatti per i giornalisti professionisti non iscritti ad INPGI, e ciò rimarca l'irragionevolezza di una disposizione che si presenta di dubbia legittimità costituzionale. Ma oltre a questi rilievi che riguardano espressamente l'articolo 2, molti altri se ne possono fare, proprio per la consistenza e lo spessore di quelle deleghe, di cui parlavo prima.

Resta insoluto, e sarebbe stata questa l'occasione per porsi meglio il problema, dell'accesso concreto alla professione; problema che magari è comune a tutte le altre professioni autonome, a professioni simili a quella del giornalista, ma che diventa ancora più delicato e più complicato da risolvere se si pensa alla triste realtà dei praticanti o dei giovani che vengono sottopagati e che magari hanno davanti un futuro di freelance, per usare un termine enfatico, ma insomma di professionisti che non avranno mai un rapporto organico di lungo periodo e, soprattutto dal punto di vista economico, che possa assicurare serenità al proprio progetto di vita o delle proprie famiglie, proprio perché tale questione non è stata affrontata qui. Magari questo poteva essere un treno da prendere senza occuparsi solo delle norme relative al funzionamento dell'ordine.

Un'altra considerazione che vorrei fare riguarda l'articolo 6, con riferimento alle nuove disposizioni che vengono introdotte per la vendita dei giornali. Si è parlato anche nella relazione introduttiva di liberalizzazione che viene più o meno inoculata nel sistema per favorire la vendita e per poter creare un elemento di novità. Ma direi che di fronte al proliferare della vendita on line, degli abbonamenti in digitale dei giornali e di fronte a un minore acquisto di copie in edicola, la crisi delle edicole e dei punti vendita che direttamente consegnano il quotidiano o il periodico al proprio cliente è ormai irreversibile.

Più che parlare di liberalizzazione, avrei puntato a cercare di rendere queste edicole dei contenitori più appetibili, potendo utilizzare magari altre forme che erano un tempo di monopolio o, comunque, che potevano essere gestite diversamente dallo Stato. Penso alle concessioni che l'Agenzia delle dogane e dei Monopoli può ancora erogare e distribuire, le quali potrebbero essere utilizzate, insieme alle edicole, nei punti vendita dei giornali. Bisogna cioè trovare un modo per rendere più appetibili le edicole e questi punti vendita. Ciò potrebbe porre fine o comunque ridurre il problema della moria delle edicole o della loro precarietà economica. Si tratta, anche in questo caso, di un'occasione mancata.

Concludendo, il provvedimento in esame presenta molte luci e ombre. Il disegno di legge ci avrebbe potuto dare la possibilità di cogliere ulteriori possibilità, ma così non è stato e, quindi, rimane il rimpianto di un'occasione persa. (Applausi dal Gruppo CoR).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Malan. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Signor Presidente, il provvedimento in esame sull'editoria è l'ultimo di una serie molto numerosa di provvedimenti che sono stati adottati nel corso degli anni. Sarebbe interessante una cronologia storica dei provvedimenti assunti in questo settore nel corso degli anni.

Potremmo delinearli a grande linee in questo modo. Per parecchi anni i provvedimenti sulla stampa e l'editoria sono stati strutturati in modo tale che tutti i periodici (compresi i grandi quotidiani, che spesso sono delle grandi aziende e, specialmente negli anni passati, con un notevole e molto salutare andamento economico) ricevessero dallo Stato importanti sovvenzioni, dell'ordine di parecchi milioni di euro ciascuno, sulla base di parametri quali la carta usata, il numero di copie diffuse e così via.

Nel corso degli anni l'attenzione si è accentrata soprattutto sulla stampa di partito, che godeva di particolari agevolazioni. Tuttavia, parlando dei giornali di partito ci si dimenticava che c'erano ben altre corazzate che ricevevano finanziamenti anche maggiori, certamente a fronte di tirature di gran lunga maggiori, ma con meno necessità. Al di là dell'impopolarità emersa nel corso degli anni, i finanziamenti alla stampa di partito avevano una loro ragione particolare nel dare attuazione al riconoscimento del ruolo dei partiti politici nella Costituzione e a beneficio del pluralismo dell'informazione.

Nel corso degli anni, queste agevolazioni sono state prima ridotte e, poi, riservate solo a determinate categorie di giornali e periodici. Sarà un caso ma, proprio quando gli aiuti, le sovvenzioni e i sussidi sono stati tolti alla grande stampa e limitati a quella particolarmente tutelata (cioè, in via sempre più parziale e marginale, alla stampa di partito, a quella gestita da cooperative di giornalisti, oppure a quei tipi di assetti societari che vengono particolarmente tutelati dalla legge ancora oggi), è nata la grande campagna anticasta sugli odiosi privilegi dei parlamentari.

È un caso sicuramente, ma proprio quando i grandi quotidiani non hanno più preso delle sovvenzioni, che peraltro erano assai difficili da giustificare, c'è stata la grande scoperta e la grande battaglia anticasta. Può darsi che solo per una coincidenza essa sia emersa solo in quel periodo. Di certo non era suscitata in sé dalle famose cifre dei costi della politica, che erano già stati ampiamente ridotti, perché quando essi erano molto più alti la grande stampa non aveva nulla da dire al riguardo. Ha avuto da dire qualcosa, quando questi benefici sono stati ampiamente ridotti e, sempre per una curiosa combinazione temporale, sono stati ridotti i veri privilegi per i grandi giornali.

Si passò così ad una situazione nella quale solo particolari assetti societari fruivano di questi aiuti. Data la formulazione della legge, ci sono state alcune testate - tra cui alcune di quelle particolarmente attive, anche oggi, nel denunciare i presunti privilegi dei parlamentari, anche se in realtà dovremmo parlare di «prerogative», che sono assai inferiori a quelli che ci sono negli altri grandi Paesi europei e non solo - che sono riuscite a darsi delle tutele, attraverso la pretestuosa assunzione della forma di testata giornalistica di partito, magari di un partito nato in laboratorio, con la firma di un senatore e di un deputato del Gruppo Misto, e che sono così riuscite ancora ad ottenere dei notevoli vantaggi, sia pur decrescenti, da parte delle casse dello Stato.

Un provvedimento molto importante è stato approvato nella scorsa legislatura, in cui si è cercato ulteriormente di delineare i profili che devono caratterizzare i beneficiari di questi fondi, che nel frattempo sono stati di molto ridotti.

Questi fondi nel loro insieme sono veramente un granello nella grande massa del bilancio dello Stato: ne parleremo ancora nel corso della discussione del provvedimento. Si sono dunque prese delle misure particolarmente efficaci, a mio parere, per evitare che determinati periodici o editori prendessero delle forme pretestuosamente simili a quelle che potrebbero davvero meritare un sussidio da parte dello Stato. Tale misura è stata particolarmente efficace e severa, giacché non si stabilivano le caratteristiche che le testate devono avere, per andare a vedere solo poi, a piè di lista, quanto questo costasse per individuare la somma stanziata, ma si è fatto l'opposto, ovvero si è individuata una somma assai ridotta rispetto agli anni precedenti, a cui avrebbero potuto accedere solo determinate categorie e testate giornalistiche. Se le testate dovessero essere più numerose di quanto ragionevolmente previsto, le sovvenzioni e i sussidi sarebbero stati proporzionalmente ridotti. Quindi si tratta di un atteggiamento particolarmente severo e prudenziale da parte del legislatore.

Il disegno di legge al nostro esame interviene dunque in una situazione già molto difficile. Tutti coloro che ad oggi percepiscono qualcosa, percepiscono assai meno di quello che percepivano prima, e questo in un periodo decisamente molto difficile per tutte le testate giornalistiche, a cominciare dalle più grandi, dalle più antiche e prestigiose. Sappiamo bene che ciò deriva da una serie di fattori, come la crisi economica, che fa sì che molti italiani debbano tagliare le spese familiari e individuino come uno dei bersagli dei tagli proprio l'acquisto dei quotidiani e dei periodici.

Per un altro è la concorrenza di Internet, che offre in modo generalmente gratuito una enorme massa di notizie, certo non sempre scelte bene, addirittura per nulla, spesso non molto attendibili e con grande difficoltà a distinguere l'attendibile dall'inattendibile.

Ma sta di fatto che la grande massa di informazioni su Internet c'è, e questo ha determinato in tutto il mondo, anche nei Paesi dove non c'è particolare crisi economica, una crisi nel settore della informazione delle testate giornalistiche su qualunque supporto e, in particolare, su quello cartaceo.

Pertanto, tutte le riduzioni che vengono fatte oggi intervengono a seguito di altre riduzioni e a seguito di forti sacrifici richiesti a seguito di grande difficoltà in cui si sono messe le aziende.

Questo provvedimento, a mio parere, ha alcuni difetti che abbiamo poi cercato di individuare, proponendo emendamenti che cercano di rimediare appunto alle criticità riscontrabili nel disegno di legge.

In primo luogo, non ci sono garanzie. C'è una totale discrezionalità affidata al Governo per la destinazione di quei fondi, assai limitati e ridotti rispetto al passato, ma non c'è nessuna certezza di quanto di questi fondi andrà davvero alla piccola editoria, all'informazione locale e quanto, invece, ad altri soggetti.

Non c'è neanche una certezza per quanto riguarda il tipo di mezzo di comunicazione verso il quale saranno indirizzati questi fondi: il tutto, non sulla base di dati oggettivi, ma sulla base di una discrezionalità davvero molto ampia affidata al Governo.

Intanto, a noi, ovviamente, come forza di opposizione, non può piacere dare una grande discrezionalità al Governo che non appoggiamo e che avversiamo. Oggettivamente, però, la ragione d'essere di questi sussidi è di garantire e di sostenere il pluralismo dell'informazione, alla luce della necessità di salvaguardare le minoranze, che possono essere di tanti tipi. La minoranza tipica salvaguardata a livello di Costituzione è quella linguistica, ma vi sono anche minoranze intellettuali, culturali, religiose o anche semplicemente interessi di nicchia, che possono essere però meritevoli di un certo sostegno.

Nel testo approvato in Commissione non c'è garanzia che questi fondi vadano a questi soggetti, che dovrebbero essere meritevoli e che la legge ha sempre ritenuto meritevoli, un tempo con più fondi e oggi con meno fondi. Questo non va bene, perché pluralismo significa proprio tutelare, in base a regole precise, tutti quanti, indipendentemente dalle scelte discrezionali del Governo.

Tra l'altro, chi ha la forza del Governo dalla propria parte il modo di far sentire la propria voce ce l'ha senza bisogno di sussidi, senza bisogno di finanziamenti e senza bisogno di attenzioni particolari. Chi, invece, non ha questa possibilità deve essere tutelato. E che tutto sia dato in mano al Governo, francamente, è un controsenso.

C'è poi una situazione sulla quale io ho sollecitato l'attenzione della Commissione. Si parla di un regime di tre anni. E dopo questi tre anni non si capisce come si va a finire.

Teniamo presente che, per quanto siano state in parte sovvenzionate, si tratta pur sempre di aziende, che oggi non possono certo (come invece succedeva fino a qualche tempo fa) reggersi più solo sul sussidio statale. E questo era sbagliato.

C'erano delle testate, francamente poco più che virtuali, che affermavano di vendere migliaia di copie con il cosiddetto strillonaggio (che i più giovani neanche sanno cosa sia), con copie dunque non quantificabili. E sulla base di questo ricevevano dei soldi, stampavano delle copie e ne distribuivano alcune in posti dove era facile distribuirle, cioè la Camera e il Senato, e in qualche modo sopravvivevano.

Questo non si può più fare: che fosse buono o cattivo.

Queste imprese hanno dovuto confrontarsi con il mercato. Ebbene, a queste imprese viene detto: non ti facciamo morire subito (anche se qualcuna morirà subito), ma per tre anni usiamo questo regime. Stiamo parlando di aziende e mi domando che piani può fare un'impresa non sapendo cosa succederà il quarto anno. Cosa può programmare? Stiamo parlando di posti di lavoro, di persone, di giornalisti, di personale non giornalistico che lavora per queste testate, per queste imprese, e pensare che il poco che si dà, lo si eroga in modo che è praticamente impossibile ad oggi determinare quanto percepirà anche per chi fino ad oggi ha preso una cifra sulla base di determinati parametri. Comunque si sa già che tra quattro anni si va nel terreno di nessuno. Tutto ciò è veramente problematico per queste imprese, per questi lavoratori e per questi cittadini italiani che lavorano in questo settore, proprio perché si spera che riescano in qualche modo anche a collocarsi sul mercato.

Tuttavia questa situazione di grave incertezza si dovrebbe sapere. Chi è troppo impegnato a fare le leggi pensando che più leggi si fanno e meglio è, dovrebbe sapere che in realtà meno leggi si fanno e meglio è per tutti coloro che operano sul mercato. Infatti, sono già sufficienti le oscillazioni del mercato e quelle dei gusti della platea cui sperabilmente sono destinati i prodotti giornalistici: è già più che sufficiente quello a creare incertezza. Se poi le norme cambiano spesso e addirittura in questo caso si dichiara che si predispone una norma che non si sa che fine farà tra tre anni, ciò causa più danni che una riduzione di fondi che però dia un barlume di certezza per il futuro.

Che investimenti può fare? Noi chiediamo a queste aziende di modernizzarsi, di diventare particolarmente attive su Internet e a questo fine diamo anche un piccolo aiuto, ma per poco tempo, dopo non si sa. Come si possono fare degli investimenti in una situazione del genere? Si evita la bancarotta, per cui si spenderà sempre di meno, pertanto accompagniamo alla morte tante piccole imprese. Per carità, la dura legge del mercato prevede anche che le imprese, così come nascono, a volte muoiono; tuttavia se lo Stato deve intervenire, non lo deve fare per facilitare la morte delle imprese, bensì per facilitarne la nascita o la sopravvivenza.

In Commissione, con una certa sorpresa, mi sono sentito dire che è fatto per tre anni di proposito, perché entro quel termine le imprese si devono mettere sul mercato; quindi si rinuncia completamente all'intenzione di sostenere il pluralismo. Questo provvedimento è una sorta di eutanasia; c'è un prolungamento di un'agonia che fa sì che almeno, prima delle prossime elezioni e del voto sul referendum, non ci siano troppe testate che devono celebrare il proprio necrologio, cioè che devono fare l'ultimo numero in forma di necrologio anziché di ordinario numero di giornale, ma forse dovremo avere delle prospettive un po' diverse.

Sappiamo bene che su certe cose si è inesorabilmente per il mercato senza pietà, ma poi quando si ha a che fare con entità miliardarie improvvisamente si scopre che la garanzia è molto bella. Io credo che forse, semmai, dovremmo avere l'atteggiamento opposto, specialmente in settori dove l'informazione ha una funzione fondamentale, come dicevo prima, garantisce il pluralismo e dà una voce alle minoranze, di qualunque tipo si tratti. Poi però quando si tratta di affari da miliardi, c'è una grande tutela per quelli che c'erano prima e per quello che ha sempre avuto facilitazioni miliardarie dallo Stato: in quel caso diventiamo improvvisamente garantisti.

Qui vedo una disparità che davvero non mi piace, non è conforme alla Costituzione e credo che non sia conforme all'interesse pubblico.

In Commissione il gentile e preparatissimo relatore, senatore Cociancich, ha manifestato una certa disponibilità per l'Assemblea. In Commissione è andata così, spero che poi questa disponibilità si concretizzi in qualche modo e che non sia solo un atto di, sia pur gradita, cortesia.

Tanti che stanno seguendo i nostri lavori tengono in piedi imprese e iniziative culturali che danno vitalità locale. Ricordo che non ci sono solo le grandi città: l'Italia non è fatta soltanto da Roma, da Milano e qualche volta anche da Napoli e da Torino; ci sono anche le piccole realtà, con difficoltà di distribuzione, che però sono tenute vive grazie anche a piccole testate giornalistiche che conferiscono un'identità al territorio, costituiscono un punto di riferimento, danno informazioni e a volte svolgono un servizio a beneficio delle popolazioni.

Gli italiani sono tutti uguali, anche se ci sono certi provvedimenti di legge - anche se non voglio aprire una polemica - per i quali sembra che gli italiani degni siano solo quelli che vivono nelle grandi città, mentre quelli che vivono nelle piccole città o nei piccoli e piccolissimi Comuni sono italiani di serie B, con meno diritti e più tasse. Già sono in situazioni oggettivamente più difficili, perché anche solo per recarsi all'anagrafe o in un centro importante per determinate necessità, da sanitarie a burocratiche o di qualunque genere, sono già svantaggiati; vediamo di non massacrarli. (Richiami del Presidente).

Ebbene, queste piccole realtà spesso si riconoscono e sono tenute vive da piccole testate che sopravvivono grazie anche - diciamo la verità - agli aiuti di Stato. Il relatore saprà ben specificare l'entità di questi soldi, che sono veramente pochissimi; non è tagliando quelli che risolviamo alcun problema, mentre creiamo gravissimi problemi se obblighiamo alla chiusura delle realtà molto belle e importanti per il nostro tessuto sociale. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII. Congratulazioni).

Presidenza della vice presidente FEDELI (ore 16,32)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Serra. Ne ha facoltà.

SERRA (M5S). Signora Presidente, la contrarietà del Movimento 5 Stelle alla presente proposta di legge non potrebbe essere più radicale poiché il Movimento 5 Stelle ha nel proprio programma l'abolizione del finanziamento pubblico all'editoria. Questa posizione così netta parte proprio dalla convinzione che un filo diretto tra un Governo, di qualsiasi colore politico esso sia, e i giornali produca delle dinamiche che vadano nella direzione esattamente opposta a quelle che sono le intenzioni anche della stessa proposta della maggioranza, ossia tutelare pluralismo, indipendenza e autonomia dell'informazione. Come si evince anche da un'attenta lettura del dossier, per ottenere tali obiettivi sarebbe necessario individuare delle misure che evitino l'accentramento del potere nelle mani di pochi.

Inoltre, non si comprendono le ragioni per le quali le competenze che riguardano l'editoria afferiscono alla 7a Commissione presso la Camera, mentre qui in Senato tutto va alla 1a Commissione. Tale ripartizione, a nostro avviso, non riguarda solo un aspetto formale, ma finisce per condizionare la natura e la trattazione stessa della materia, di là dai profili di interesse specifici.

Va sottolineato, in secondo luogo, sempre per ciò che concerne l'iter procedurale del provvedimento, che il presente atto Senato diviene solo l'ultimo in ordine di tempo fra i provvedimenti che si avvicendano e che giungono in Aula con una fretta immotivata, senza che sia stato possibile valutare adeguatamente il testo uscito con cospicue e significative modifiche dalla Commissione e con un termine per la scadenza degli emendamenti inizialmente risibile (poiché erano stati dati solo 40 minuti, poi prolungati) che di fatto vanifica la possibilità di dare un reale e ragionato contributo.

Quella presente, oltretutto, è materia che coinvolge numerosi profili di interesse, anche perché l'editoria (nel suo insieme) inevitabilmente non può non intercettare quella società liquida, complessa e multiforme, ventilata dai sociologi, dove l'informazione cresce a dismisura e a discapito della conoscenza, grazie anche alla grande trasformazione informatico-digitale e alla polverizzazione dei linguaggi, e in cui molti, fra cui i giovanissimi, vivono continuamente connessi e in un bisogno perenne di rincorrersi, o semplicemente, forse, far sapere di esistere.

Noi crediamo che sia molto difficile che, con un provvedimento di questo tipo, si dia un contributo al miglioramento della condizione generale dell'informazione nel nostro Paese. Siamo dell'idea esattamente opposta, anche perché - dal nostro punto di vista - esso rappresenta l'ennesimo spreco di denaro pubblico. Potremmo dire, in sintesi, che con questi finanziamenti, ancora una volta, il Governo mette le mani sull'informazione, ed è proprio qui che si giustifica la fretta che abbiamo denunciato. Infatti - a nostro avviso - il filo diretto che c'è tra il Governo e gli editori va proprio esattamente dalla parte opposta rispetto a quello che, almeno a parole, è l'obiettivo principale del provvedimento, ossia favorire il pluralismo dell'informazione.

Favorire il pluralismo in una prospettiva radicalmente mutata dell'informazione - come ha riconosciuto e sottolineato lo stesso relatore di maggioranza - significa ragionare sull'universo dell'on line ad ampio raggio, salvaguardare l'autonomia dell'informazione, ma anche cercare di capire in che modo incoraggiare e ripristinare quelle intermediazioni culturali di cui il sistema editoriale nel suo complesso è veicolo primo e privilegiato.

Ci troviamo in presenza dell'istituzione di un nuovo fondo per l'editoria, entro il riordino della disciplina dei contributi statali. La nuova legge stabilirà quali imprese editoriali dovranno prendere i soldi e quanti, quale sarà il futuro assetto dell'ordine, cioè dell'organo di autogoverno della categoria e chi potrà andare in pensione (chissà chi).

Ci sono, quindi, aspetti di questo provvedimento che non attengono precisamente alla finalità principale della misura stessa, come i prepensionamenti dei giornalisti o il sistema di vendita e distribuzione delle edicole, dei venditori esclusivi e non esclusivi, la spinosa questione dell'ordine dei giornalisti, un istituto che riteniamo assolutamente obsoleto: tutti argomenti che avrebbero meritato uno spazio diverso rispetto a qualche comma incidentale in questo testo di deleghe. (Applausi dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scilipoti Isgrò. Ne ha facoltà.

SCILIPOTI ISGRO' (FI-PdL XVII). Signora Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui oggi riuniti per discutere del disegno di legge n. 2271, in merito all'«Istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti»; tutto questo titolone per parlare dell'eventuale sostegno pubblico per il settore dell'editoria e dell'emittenza locale.

Il disegno di legge è stato redatto dai Gruppi parlamentari del Partito Democratico e di Sinistra Ecologia e Libertà. Argomentazione primaria del disegno di legge in esame è la prossima e possibile istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione presso il Ministero dell'economia.

Scendiamo nel dettaglio e vediamo dove verrà istituito questo Fondo. Per prima cosa, era prevista la sua istituzione presso la Presidenza del Consiglio. In seconda battuta, esso andrebbe a prendere il posto del fondo concepito al Ministero dello sviluppo economico, già previsto dalla legge di stabilità 2016. Nel Fondo confluiranno diverse risorse che saranno indirizzate al sostegno dell'editoria quotidiana e periodica, per di più a quella digitale: risorse statali destinate alle diverse forme di sostegno all'editoria quotidiana, periodica e digitale; risorse statali destinate all'emittenza radiofonica e televisiva in ambito locale; una quota, fino un importo massimo di 100 milioni per il periodo 2016-2018, per le entrate del canone RAI; somme derivanti dal contributo di solidarietà pari allo 0,1 per cento del reddito dei concessori pubblicitari.

Ulteriore precisazione per quanto concerne questo elenco di ricavi: l'Assemblea di Palazzo Montecitorio ha lasciato fuori dal computo dei proventi la somma di denaro proveniente dalle multe dell'Agcom.

I Gruppi del Partito Democratico e di Sinistra Ecologia e Libertà hanno deciso di far ridefinire al Governo, mediante delega, la disciplina del sostegno pubblico dell'editoria.

Come se non bastasse, il Governo dovrà ulteriormente revisionare la disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti, della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti.

Il disegno di legge n. 2271 mette in elenco i beneficiari che verranno annoverati nella ridefinizione del sostegno pubblico per il settore dell'editoria. Tra essi figurano televisioni locali, cooperative giornalistiche, enti senza fini di lucro, giornali espressione delle minoranze linguistiche, periodici per non vedenti e per ipovedenti, associazioni dei consumatori, giornali in lingua italiana diffusi all'estero.

Verranno esclusi dai finanziamenti: gli organi di informazione di partiti o movimenti politici e sindacali; i periodici specialistici a carattere tecnico, aziendale, professionale o scientifico; le imprese editrici di quotidiani e periodici che fanno capo a gruppi editoriali quotati o partecipati da società quotate in borsa.

In ultimo, viene ridimensionato il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. Attualmente il Consiglio è composto da 144 consiglieri che, con la riforma, si vogliono ridurre a 60, di cui due terzi giornalisti professionisti, tra i quali almeno un rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute, e un terzo pubblicisti, tra i quali almeno un rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute. Questi ultimi dovranno essere titolari di una posizione previdenziale attiva presso l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani.

In questo disegno di legge in materia di editoria, sono presenti molti elementi negativi; di contro, le novità sono poche e scarseggiano di positività.

Scorrendo il testo del provvedimento, esso prevede numerose deleghe, con pochezza in merito ai contenuti che il Governo adotterà con la delega.

Concludo l'intervento esprimendo la contrarietà più assoluta per questo disegno di legge in materia di editoria; un provvedimento che mira, ancora una volta, a estendere i tentacoli del centrosinistra sulla possibilità di manipolare il settore dell'editoria, situazione che già si verifica per buona parte delle testate giornalistiche.

Da salvare, ma solo in parte, sono le norme che darebbero l'occasione di discutere sulla liberalizzazione del sistema distributivo e riguardo gli orari d'apertura dei punti vendita dei giornali, anche se questo poteva essere già previsto nel disegno di legge sulla concorrenza.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Floris. Ne ha facoltà.

FLORIS (FI-PdL XVII). Signora Presidente, onorevoli colleghi, quello in esame è un provvedimento che riguarda il tema dell'editoria e, più in generale, della informazione.

È ormai ben noto che stiamo discutendo di un settore che sta attraversando momenti bui di profonda crisi. Oltre ad assistere a un calo drammatico delle vendite dei quotidiani, che mette a rischio la sopravvivenza di importantissime fonti di informazione, si assiste anche alle difficoltà che attraversano il settore pubblicitario, che ancora stenta a risollevarsi.

Ebbene, pur considerando positive alcune disposizioni di questo provvedimento, nel complesso il giudizio è fortemente critico, in quanto nulla viene fatto; anzi si peggiora una situazione che parte già svantaggiata e che subisce i colpi della crisi economica che, da anni, non lascia respiro al nostro Paese.

L'unico punto che possiamo condividere è la disposizione attraverso cui si promuove, di concerto con le Regioni, un regime di piena liberalizzazione degli orari di apertura dei punti vendita e si procede alla rimozione degli ostacoli che limitano la possibilità di ampliare l'assortimento e l'intermediazione di altri beni e servizi. Certo, sarebbe stato opportuno introdurre questa nuova liberalizzazione nel disegno di legge sulla concorrenza all'uopo dedicato.

Tutto il resto del provvedimento non è assolutamente condivisibile. Si tratta, infatti, di un disegno di legge fortemente eterogeneo: gran parte delle disposizioni recano delega al Governo per nuove regole in materia di editoria; altre dispongono l'introduzione di ulteriori tasse per un settore che - ripeto - attraversa una profonda crisi da diversi anni.

Nel merito dei profili critici, l'articolo 1 istituisce il Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e si legge, nel dispositivo, che nel Fondo confluiscono, oltre alle risorse statali, una quota, fino a un importo massimo di 100 milioni di euro, delle eventuali maggiori entrate versate a titolo di canone di abbonamento alla televisione; inoltre, confluiscono le somme derivanti dal gettito annuale di un contributo di solidarietà pari allo 0,1 per cento del reddito complessivo dei concessionari della raccolta pubblicitaria, delle società operanti nel settore dell'informazione e di altri soggetti che esercitano l'attività di intermediazione nel mercato della pubblicità. La cosa grave è che si legge «contributo di solidarietà», ma esso rappresenta in tutto e per tutto una nuova imposta.

Forza Italia, qui al Senato, ha dato un grande contributo e, sebbene molte proposte di modifica non siano state accolte, altre di grande rilievo, invece, lo sono state. Una fra tutte è la disposizione che prevede che il Consiglio nazionale dell'ordine abbia 60 componenti, che è di indubbia importanza. Prima della modifica voluta da Forza Italia, si proponeva di ridurre il numero dei consiglieri a 36, senza però rendersi conto che, con quella esigua composizione, si rischiava di bloccare le procedure di funzionamento del Consiglio e, oltretutto, era annullato il criterio di rappresentanza di tutte le Regioni d'Italia. Plaudo al contributo significativo che Forza Italia ha realizzato in Commissione e critico fortemente il provvedimento perché non dà alcun apporto rilevante alla libertà di stampa, che viene invece ostacolata.

Presidente, faccio un'ultima annotazione al Governo. Mi piacerebbe che venisse posta un'attenzione particolare nell'esercizio della delega ai contributi a favore del pluralismo linguistico. È, infatti, noto che i giornali che vengono scritti con l'uso delle lingue locali, a causa della scarsità delle copie vendute, e i programmi televisivi prodotti per una minoranza linguistica necessitino di aiuti particolari. Per questo mi rivolgo al Governo perché sull'argomento, nell'esercizio della propria delega, si impegni al fine di evitare una perdita culturale dovuta all'abbandono delle lingue e dei dialetti che fortemente caratterizzano tutti insieme la nostra Italia. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Galimberti. Ne ha facoltà.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, il provvedimento che ci troviamo a discutere oggi in Aula è stato già approvato alla Camera dei deputati ed è il risultato dell'unificazione di due proposte di iniziativa parlamentare del Partito Democratico e di Sinistra Ecologia e Libertà.

Stiamo parlando del disegno di legge riguardante l'editoria o, per meglio dire, l'istituzione del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, delle conseguenti deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria e dell'emittenza radiofonica e televisiva locale, della disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, nonché della procedura per l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale.

Andando nel dettaglio del provvedimento, il testo propone l'istituzione del Fondo testé citato presso il Ministero dell'economia - peraltro già previsto dalla legge di stabilità 2016 - cui affluiscono le risorse statali che erano già state destinate al sostegno dell'editoria quotidiana e periodica, anche digitale, e all'emittenza locale. Il Fondo verrà integrato con una dotazione di 100 milioni di euro annui per il periodo 2016-2018, derivanti dalle maggiori entrate del canone RAI.

Al Fondo potranno accedere le televisioni locali, le cooperative giornalistiche, gli enti senza fini di lucro, i periodici per non vedenti e per ipovedenti, le associazioni dei consumatori i giornali di lingua italiana diffusi all'estero. Sono esclusi però, inspiegabilmente, i giornali di partiti o movimenti politici, gli organi sindacali, le imprese editrici di quotidiani e periodici, che appartengono o sono partecipati da società quotate. Inoltre, il Fondo viene ripartito tra il MISE e la Presidenza del Consiglio per gli interventi di rispettiva competenza, ma con un meccanismo che misura il peso delle diverse voci di entrata delle risorse anche sul procedimento di distribuzione dei fondi, tenendo a non superare il congegno di aiuti esistenti, per l'editoria e per l'emittenza.

Passando poi all'articolo successivo, si prevede la delega al Governo per quanto riguarda la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell'editoria e dell'emittenza radiofonica e televisiva locale, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti.

La graduazione del contributo è legata al numero di copie annue vendute, che non potranno essere comunque inferiori al 30 per cento delle copie distribuite per la vendita per le testate locali e al 20 per cento delle copie distribuite per la vendita per le testate nazionali, prevedendo più scaglioni cui corrisponderanno quote diversificate di rimborso dei costi di produzione della testata e per copia venduta, mentre per le testate on line la graduazione avviene in funzione del numero dei giornalisti assunti, dell'aggiornamento dei contenuti e del numero effettivo di utenti unici raggiunti.

Il testo si propone, inoltre, di attuare una riforma, attraverso un riordino e razionalizzazione delle norme, del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, in materia di formazione e composizione del Consiglio stesso. Ci si domanda, però, perché si sia deciso di unire provvedimenti così diversi come gli aiuti per l'editoria e una riforma dell'ordine dei giornalisti, che aveva invece bisogno di un approfondimento e di un disegno di legge interamente dedicato.

Malgrado questo, abbiamo cercato di migliorare anche questa parte del provvedimento: grazie al contributo di Forza Italia, si prevede un numero massimo dei componenti di 60 consiglieri, di cui due terzi giornalisti professionisti, tra i quali almeno un rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute, e un terzo di pubblicistici, tra i quali - anche in questo caso - almeno un rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute, purché titolari di una posizione previdenziale attiva presso l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani.

E con questa parte si mette in atto una forte discriminazione tra i giornalisti pubblicisti e professionisti, perché solo i primi avranno l'obbligo di iscrizione alla cassa previdenziale per far parte del Consiglio.

Sono inserite, inoltre, nuove disposizioni per il riordino dei contributi alle imprese editrici. Si prevede, infatti, un contributo erogato in due rate annuali, di cui la prima versata entro il 30 maggio, mediante anticipo di una somma pari al 50 per cento del contributo calcolato come determinato nel decreto; mentre la seconda rata, a saldo, è versata entro il termine di conclusione del procedimento.

E siccome il Governo non voleva farsi mancare niente, con il disegno di legge in discussione si sceglie di scrivere norme che, per loro stessa natura, sarebbero dovute entrare nella legge sulla concorrenza. Cosa c'entra, infatti, la progressiva liberalizzazione della vendita dei prodotti editoriali con gli altri argomenti contenuti in questo provvedimento? Si sa che sulla legge sulla concorrenza ci sono opinioni contrastanti anche all'interno della stessa maggioranza.

Nessuno mette in dubbio che il mondo dell'editoria avrebbe avuto bisogno di una revisione profonda e complessiva, ma certamente non è questo il provvedimento adatto. Si tratta di un disegno di legge confuso, che affronta una platea di argomenti troppo vasta e, soprattutto, dà solo risposte provvisorie e superficiali. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Crosio. Ne ha facoltà.

CROSIO (LN-Aut). Signora Presidente, ero abbastanza su di giri e contento che finalmente questo importante disegno di legge arrivasse in Aula; un provvedimento importante per il nostro Paese specialmente in questo momento storico, in cui il pluralismo dovrà essere protagonista della stagione politica, e non solo. È fondamentale sottolineare come la riforma del sistema dei contributi pubblici all'editoria fosse sicuramente attesa da tutti e da tempo. Non si può non considerare il fatto positivo della tutela del pluralismo, specie - come ho detto - in questo momento storico, nel quale assistiamo a una sempre maggiore concentrazione di gruppi editoriali.

Ahimè, mi preme sottolineare come il nostro Paese sia ancora fra gli ultimi posti in Europa per investimento pro capite al sostegno del pluralismo dell'informazione, nonostante si sia impegnato a promuovere e garantire le libertà di espressione e informazione. E perché sottolineo questo? Proprio oggi, nel nostro Paese assistiamo non all'esaltazione del pluralismo, come è stato tanto decantato da qualcuno che mi ha preceduto, ma esattamente al contrario.

L'azione di oggi del Governo sulla questione della RAI è tutt'altro che pluralismo; anzi, cari colleghi, parlerei piuttosto di monismo. Non c'entra niente con le "monate" del Presidente del Consiglio, ma è esattamente il contrario di quello che ci aspettavamo, ossia il pluralismo. L'arroganza che oggi è stata messa in campo dal Presidente del Consiglio e dalla sua banda nelle nomine dei direttori delle testate di RAI 1, RAI 2 e RAI 3 - la conferma di RAI 1 è scandalosa - è esattamente il contrario di quello che si vorrebbe far passare.

Vorrei citare uno dei famosi tweet, cinguettii di Renzi Matteo, che passeranno alla storia. Non più tardi del 14 maggio 2014, alle ore 24,14, ci ha dato una chicca della sua apertura e lungimiranza per quanto riguarda il pluralismo, scrivendo: «Niente paura. Il futuro arriverà anche alla RAI. Senza ordine dei partiti. #cambiareverso #Italiariparte».

Signora Presidente - ahimè - purtroppo già nel titolo del provvedimento in esame si capisce che questa volontà viene disattesa dal Governo. Istituire il Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione è, infatti, esattamente il contrario di quello che, appunto, sta avvenendo nelle ultime ore nel nostro Paese. Probabilmente lo vedremo questa sera in Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. In quella sede ne vedremo di cotte e crude, così come é già avvenuto in passato. La sostanza, però, non cambierà.

L'arroganza di Renzi Matteo e della sua banda consegnerà a questo Paese il peggio del peggio. Negli anni passati tutti quanti abbiamo assunto un atteggiamento di stigmatizzazione. E mi rivolgo ai colleghi della sinistra, con cui ho condiviso anche la precedente legislatura, i quali - giustamente - si accanivano e si lanciavano in maniera alquanto feroce su presunti, ma probabilmente palesi, conflitti di interessi. Oggi più che di conflitti di interesse, bisogna parlare di delinquenti del pluralismo. Io li definirei monisti, cioè coloro che fanno veramente - me lo permetta signora Presidente, perché è un termine che forse si può anche usare - delle "monate".

C'è del buono all'interno del provvedimento in esame. Giudiziosamente, il collega Calderoli si è fatto in quattro e ha presentato degli emendamenti per proporre soluzioni concrete in favore dell'emittenza locale, che crediamo sia fondamentale. Il Presidente del Consiglio fa oggi uno sgarro agli italiani per quanto riguarda la RAI, ma ci dimentichiamo sempre che il pluralismo dell'informazione passa anche attraverso le televisioni locali. Infatti, nel nostro Paese - unico caso in Europa - la questione delle televisioni locali è fondamentale, perché esse, anzitutto, hanno dato un grande contributo all'economia - fanno lavorare gente e gestiscono pubblicità - e fanno veramente informazione sui territori. In tutte le realtà territoriali del nostro Paese c'è una televisione privata che manda in onda telegiornali locali e dà un tipo di informazione che la televisione pubblica non offre.

Tra l'altro, c'è chi vive, come il sottoscritto, ai confini, dell'impero dove mamma RAI non arriva, ma sicuramente arriva la bolletta dell'energia elettrica con, nascosto, il canone. É una situazione paradossale. L'anno scorso si è svolto in quest'Assemblea il dibattito sulla riforma della RAI. Prima forse la RAI non funzionava bene, ma, con profondo rispetto per il collega Gasparri, era meglio quando si stava peggio, in quanto siamo passati alla situazione attuale, nella quale il signor Campo Dall'Orto - un nome, tra l'altro, che non mi sta neanche simpatico - becca uno stipendio di più di 600.000 euro. Tutti questi ci hanno fatto la morale. Di cosa stiamo parlando? Del pluralismo che voi, colleghi del Partito Democratico, state decantando?

Nascosto tra le pieghe del provvedimento c'è qualcosa di buono, ma a non funzionare in questo Paese è il principio. Matteo Renzi diceva: fuori i partiti dalla RAI. Poi, però, sono entrati con gambe e piedi lui e tutta la sua banda Bassotti. Sono tutti belli schierati e pronti a fare cosa, signora Presidente?

Arriviamo al punto della situazione: la battaglia politica in questo Paese ce la giocheremo il prossimo autunno con il referendum. Renzi ha preparato le truppe, anzitutto mettendole nei posti dove si influenza il voto.

In televisione ha messo i suoi uomini per cercare di portare a casa il risultato. Il ragazzo è un po' preoccupato, perché il fronte del no è sempre più pressante e, dunque, sta cercando di piazzare le sue truppe, per cercare di portare a casa i voti che gli serviranno per fare la sua porcata, ovvero la riforma costituzionale. A questo punto, signora Presidente, non ci resta che appellarci al Capo dello Stato, perché sia lui a salvaguardare l'articolo della Costituzione in cui si stabilisce che l'informazione è un diritto del cittadino e deve essere pluralista e trasparente.

Cari colleghi del PD, siamo rientrati in pieno fascismo. Questa è la verità! Matteo Renzi ci ha riportati in pieno fascismo, e lo vedremo questa sera in Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e domani con le nomine. È una vergogna, signora Presidente! È una vergogna l'arroganza che si sta vedendo questi giorni nel nostro Paese. E la cosa che più mi lascia con l'amaro in bocca è che - glielo posso garantire - ho vissuto male la precedente legislatura, quando ogni tanto noi leghisti eravamo in difficoltà per certe birichinate che si vedevano. Quelle però, erano delle birichinate rispetto all'arroganza che vediamo oggi. Silvio Berlusconi era un dilettante! (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII). Era un dilettante, signora Presidente, un poverino. Matteo Renzi è un fuoriclasse: da quel punto di vista è un fuoriclasse, e non c'è nient'altro da dire.

Sono però convinto di una cosa, signora Presidente. Gli italiani non sono così cretini, come qualcuno pensa. Il ragazzo - secondo noi - se la vedrà un po' brutta: le posso garantire che le bugie hanno le gambe corte, come le minchiate che scrive su Twitter. (Applausi dai Gruppi LN-Aut e FI-PdL XVII e del senatore Compagnone).

PRESIDENTE. Certo, sarebbe meglio un linguaggio più adeguato. Si possono dire le stesse cose senza insultare, senatore Crosio.

È iscritto a parlare il senatore Gibiino. Ne ha facoltà.

GIBIINO (FI-PdL XVII). Signora Presidente, il disegno di legge al nostro esame tratta punti troppo eterogenei del mondo dell'informazione e dell'editoria, mostrando una mancanza di prospettiva per lo sviluppo di un settore fondamentale per la democrazia del nostro Paese. Il testo del provvedimento in esame affronta aspetti diversi, che avrebbero richiesto un maggior approfondimento. Non si capisce perché, nonostante le richieste ormai storicizzate di gran parte degli addetti ai lavori, non si sia voluta percorrere la strada di una vera e organica riforma dell'ordine dei giornalisti, preferendo, per motivi ignoti, dedicare a un organo così strategico una parte assolutamente residuale all'interno di un provvedimento nato in realtà per regolamentare i contributi all'editoria.

Eppure il settore, l'intero settore, meriterebbe progetti di lungo respiro, in grado di veicolare un mondo in sempre più veloce evoluzione verso un futuro che, per tanti editori e per tantissimi giornalisti, è fatto invece di incertezze e difficoltà economiche. I media hanno, infatti, subito in questi anni una trasformazione importante, derivante da una proliferazione sempre crescente di testate on line, che utilizzano nuove forme di interazione e comunicazione con i lettori. Appare inoltre negativo l'aspetto nel quale il disegno di legge attribuisce alla Presidenza del Consiglio il potere di esercitare quello che appare come un controllo assoluto e troppo discrezionale sul Fondo per il pluralismo e l'innovazione nell'informazione. Si tratta di una svolta rispetto alle precedenti disposizioni che rischia di limitare l'autonomia del settore dell'informazione e della comunicazione e di fare di Palazzo Chigi un centro di potere e di condizionamento, di cui non si sentiva di certo il bisogno.

Il sistema, pensato per la distribuzione dei contributi, rischia inoltre di penalizzare in particolare i quotidiani locali che, anche nei casi di pari tiratura rispetto a testate di caratura nazionale, potrebbero ricevere contributi nettamente inferiori solo in virtù di una inferiore capacità di raccolta pubblicitaria; una difficoltà che - come è facilmente immaginabile - si manifesterà soprattutto nelle aree più depresse del Paese.

Questo aspetto, pertanto, necessita di una più puntuale e attenta valutazione, come richiesto anche dai piccoli editori che su di esso hanno già prospettato, con grafici e calcoli dettagliati, quelle che potrebbero essere le distorsioni reali.

Ritengo poi non accettabile l'ennesima tassa mascherata, il balzello dello 0,1 per cento su tutta la raccolta pubblicitaria che, se pur limitato nell'entità, dà un segnale completamente sbagliato un settore che, soprattutto in questo momento di difficoltà, avrebbe invece meritato sgravi fiscali, detassazioni, agevolazioni. Il fatto che si sia scelto di chiamarlo contributo di solidarietà di certo non ne stempera la portata.

Trovo, inoltre, assolutamente discutibile l'esclusione di alcuni settori strategici del mondo dell'informazione italiana: cito, per tutti, le riviste di alto valore tecnico o scientifico, che danno al valore culturale del Paese un contributo assolutamente irrinunciabile. Sarebbe bastato uno sforzo in più - così come chiesto da Forza Italia con una serie di emendamenti mirati - per evitare quella che è, a tutti gli effetti, una misura di esclusione incomprensibile.

Da questo punto di vista trovo invece apprezzabile che, quanto meno in altre parti del provvedimento, si sia riconosciuto l'impegno e il lavoro costruttivo del nostro Gruppo e, in generale, delle opposizioni. Mi riferisco, in particolare, alla temperata riduzione del numero dei componenti del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. Era infatti del tutto evidente che la sforbiciata a 36 membri votata dalla Camera avrebbe prodotto solo l'impossibilità a operare dell'organismo che si voleva rendere più agile e operativo. La mediazione a sessanta componenti è invece accettabile, contemperando anche la giusta e necessaria rappresentanza degli organismi di tutte le Regioni.

In conclusione, ribadendo la sbagliata sovrapposizione di interventi disomogenei che non trovano la giusta attenzione, si conferma ancora una volta il vizio storico di questa maggioranza nel legiferare all'insegna del vorrei ma non posso. Si fanno grandi proclami, si annunciano riforme strabilianti e poi, mestamente, si finisce con l'approvare norme di portata limitata, di contenuto pasticciato, di dubbia efficacia. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mazzoni. Ne ha facoltà.

MAZZONI (AL-A). Signora Presidente, questa è una riforma attesa da tempo dagli operatori del settore e l'obiettivo principale è dare un sostegno all'editoria locale. Pertanto, chi dice che questa è una riforma per mettere, da parte del Governo, le mani nei giornali, non conosce né la storia recente dell'editoria italiana né la realtà attuale della stampa locale.

L'obiettivo è mantenere più voci possibili oltre a quelle nazionali, chiudendo però in modo definitivo la stagione dei contributi assegnati a pioggia a chi non ne ha diritto, e di codificare regole di assoluta trasparenza con criteri restrittivi, anzi, per meglio dire, oggettivi.

La legge 2001, in questo senso, fissava sì alcuni paletti, ma la sua interpretazione ha portato a diverse disparità di trattamento, per cui alcuni quotidiani locali che uscivano regolarmente in edicola si sono visti togliere il finanziamento pubblico, e altri, che potremmo definire, con un eufemismo, fittizi, hanno continuato a riceverli.

Dunque, questa riforma è assolutamente necessaria. È un contributo al pluralismo, anche se nel testo uscito dalla Camera non mancavano le criticità, alcune delle quali sono state superate grazie al lavoro della 1a Commissione del Senato e alla disponibilità del relatore Cociancich e del Governo.

La riforma arriva in un momento in cui la situazione dell'editoria italiana, soprattutto di quella locale, è drammatica. Negli ultimi cinque anni in Italia si è registrata una progressiva riduzione dei ricavi nel settore dell'informazione: i media classici hanno complessivamente perso quasi 2 miliardi di euro, con una riduzione pari al 16 per cento nel periodo 2010-2014, con punte superiori al 30 per cento nel caso dei quotidiani. Ed è un effetto della digitalizzazione sull'editoria

A fronte delle opportunità offerte al sistema delle comunicazioni elettroniche dai nuovi bisogni e dalle nuove modalità di consumo, la digitalizzazione ha effetti in controtendenza sulla domanda di servizi tradizionali di comunicazione e informazione, primi tra tutti i prodotti editoriali. Dal 2010 il sistema tradizionale dell'informazione attraversa una fase recessiva che non vede vie d'uscita, almeno nel breve-medio periodo. Le imprese del settore, oltre ad essere colpite dalla crisi economica e finanziaria, sono attraversate da una crisi strutturale, poiché si chiudono spazi di crescita nella fornitura dei servizi tradizionali, mentre le nuove opportunità di sviluppo connesse alla diffusione di Internet non compensano le perdite del cartaceo. Nell'editoria i ricavi derivanti dalla raccolta pubblicitaria si sono ridotti del 9 per cento (da 941 a 859 milioni di euro); gli introiti derivanti dall'utente valgono 1,2 miliardi, con una perdita di 30 milioni (-2 per cento): in flessione in particolare sono i ricavi da vendita di copie (-4 per cento, pari circa a 40 milioni).

Non solo: come ha recentemente riferito il presidente dell'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI) Camporese in occasione della sua audizione in Parlamento, la perdita occupazionale del sistema del giornalismo italiano negli ultimi anni è stata di sei volte superiore a quella del Paese, una diminuzione del 17-18 per cento, con 3.000 occupati in meno, prepensionati, pensionati, esplosione dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali (alcuni al 200 per cento). I recenti sgravi contributivi per fortuna hanno permesso alcune centinaia di assunzioni, che tuttavia si limitano a rallentare la tendenza negativa, senza invertirla.

Quando ci sono delle aziende in difficoltà in un settore cruciale come la stampa, che in democrazia è uno dei baluardi della libertà di espressione, è giusto che la politica se ne occupi: salvaguardarle significa infatti proteggere giornalisti e poligrafici che rischiano di perdere il loro posto di lavoro. Le imprese di cui parliamo non sono aziende qualunque: la loro vita o la loro morte rappresenta, in un certo senso, il concetto di democrazia. Questo vuol dire, nella pratica, che l'esistenza o la non esistenza di un'impresa che edita un giornale, significa che una voce si spegne e che in alcune parti del Paese viene a mancare un'opinione o ne resta una sola. Oggi giorno viviamo in un contesto in cui l'informazione su quello che accade nel mondo è sempre presente: Internet, televisione e così via. Su quello che succede geograficamente a casa nostra, invece, nelle realtà più piccole, c'è una evidente sofferenza. Ribadisco quindi che il ruolo delle testate locali, che questa riforma si propone di consolidare, è fondamentale per garantire il pluralismo informativo.

Con il testo in esame si cerca di rafforzare una capacità nel pubblico di intervenire individuando delle risorse e al tempo stesso facendo in modo che queste risorse, per essere spese in maniera efficace, possano davvero arrivare a chi svolge un lavoro importante e si è tentato di migliorare i criteri di delega sull'assegnazione dei fondi: parliamo di trasparenza, cioè della reale esistenza delle testate, del numero delle copie vendute, della capacità di raccogliere risorse, che sono elementi di misurazione utili per confermare la necessità di ricorrere alle risorse pubbliche.

L'editore, però, è prima di tutto un imprenditore e come tale deve necessariamente operare sulla base di attendibili piani di previsione e il contributo all'editoria è parte essenziale di questo piano (ne abbiamo discusso a lungo in Commissione). Se così è, la concessione del contributo non può essere un accadimento discrezionale e incerto. Dev'essere consentito all'editore di sapere sin dall'inizio qual è l'ammontare del contributo che può ottenere e, perciò, rispettate le condizioni previste dalla legge; dovrebbe essere configurato un vero e proprio diritto soggettivo, un diritto che c'era fino a che il ministro Tremonti lo fece depennare, a causa della spending review e delle difficoltà del bilancio statale, ma la cui cancellazione ha messo in gravissime difficoltà le società editrici, impossibilitate perfino a stilare i propri bilanci preventivi e a programmare assunzioni a tempo determinato o indeterminato. La riforma su questo punto resta purtroppo vaga, prevedendo che l'erogazione dei contributi avvenga con una tempistica «efficace». Questa espressione può rassicurare, ma resta palesemente ambigua e non corrisponde all'esigenza che l'editore imprenditore ha di fare affidamento su tempi certi per l'erogazione.

Inoltre, legare i contributi all'editoria esclusivamente alle vendite e fissare un tetto non superiore al 50 per cento dei ricavi (lasciando al Governo attuale e a quelli futuri solo la possibilità di diminuirlo), senza distinguere tra giornali locali e nazionali, significa penalizzare i giornali locali e delle minoranze rispetto alla stampa nazionale. In fondo, come ho già sottolineato, il contributo è fondamentale per l'editoria più debole proprio perché locale e dunque insita su bacini con un'utenza potenziale molto ridotta.

Il fondo per il pluralismo dell'informazione è composto da tutto quello che oggi veniva speso già per l'editoria: una parte delle plusvalenze del canone RAI, più una parte di una fattispecie nuova che si chiama contributo di solidarietà e che viene dalle grandi concessionarie pubblicitarie, di cui una piccola parte (lo 0,1 per cento) andrà in questo fondo. Si tratta, però, a tutti gli effetti, di un incremento dell'imposizione diretta e si introduce una disparità di trattamento in danno degli operatori nel settore della pubblicità che rischia di essere lesiva del principio di eguaglianza.

Un punto, invece, molto positivo è il tentativo di razionalizzazione e sostegno alla rete di vendita, nel rapporto tra edicola e distributori. I giornali devono arrivare realmente a tutti i cittadini, quindi parliamo di tutta la filiera. Questo è un passo molto positivo rispetto ad una criticità che era stata per troppo tempo trascurata e che questa riforma invece considera.

Uno degli emendamenti che abbiamo presentato riguarda le riviste scientifiche, che sono escluse dai contributi. La realtà delle riviste scientifiche è che le ristrettezze economiche attraversate dalle università non consentono più neppure ai dipartimenti di sottoscrivere gli abbonamenti. Le riviste scientifiche, di conseguenza, vanno avanti sulla base di puro volontarismo e molte di esse sono costrette a cessare le pubblicazioni. Si tratta - se il testo non verrà corretto - di una perdita secca per la dimensione culturale del nostro Paese, alla quale potrebbe ovviarsi con risorse molto limitate.

L'altro punto su cui si è discusso molto è la riduzione dei componenti del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. Credo che sia una cosa positiva che vada nella direzione di un rafforzamento del ruolo e dell'autorevolezza del Consiglio. Il testo uscito dalla Camera lo riduceva in modo troppo drastico, impedendo una reale rappresentanza di tutti gli organismi regionali e un giusto equilibrio tra le delegazioni di professionisti e pubblicisti. L'aver riportato il numero dei componenti sopra il livello di 60, come abbiamo fatto in 1a Commissione al Senato, credo possa essere considerato un buon compromesso e un buon viatico per la funzionalità del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti.

Altro punto: l'accesso ai contributi pubblici passerà dalla necessaria messa anche online della testata; sarà anzi un elemento condizionante. Questo creerà sicuramente qualche problema alle piccole testate locali, ma mi rendo conto che si tratta di un passaggio quasi ineluttabile. Sarebbe però un errore sostenere che la carta non deve esistere più, perché esistono esperienze negli Stati Uniti di un ritorno alla carta, soprattutto proprio per i giornali locali e di quartiere. La carta dunque non va considerata uno strumento del tutto superato, visto anche che la sinergia con l'online per il momento non ha portato risultati soddisfacenti dal punto di vista economico nemmeno per le grande testate nazionali.

Ultima considerazione: credo sia giusto sottolineare l'incongruenza di un processo legislativo che, nato sotto la spinta di una richiesta di abolizione tout court dell'ordine dei giornalisti, si conclude invece con un arroccamento corporativo come la previsione di sanzioni penali per l'esercizio abusivo della professione.

Ricordo che alcuni tentativi di addebitare il reato di cui all'articolo 348 del codice penale (esercizio abusivo di una professione) ai giornalisti non iscritti ci sono stati negli anni Sessanta, ma si sono conclusi con una sentenza della Corte di cassazione del 1971 che ha sottolineato la difficoltà di applicare l'incriminazione rispetto ad un'attività che comunque è segnata dal principio di libertà di manifestazione del pensiero. Da allora non si trovano tracce di altri procedimenti o altre sentenze nei repertori dei procedimenti penali a carico di giornalisti abusivi.

Questo credo sia il quadro complessivo della riforma. A nostro parere l'impianto uscito dalla 1a Commissione del Senato va nella giusta direzione e quindi auspico che, una volta conclusa la seconda lettura al Senato, già nel mese di settembre la Camera possa approvarlo in via definitiva, in quanto rappresenterà comunque una boccata d'ossigeno per tante piccole imprese editrici locali che, lo ribadisco, rappresentano un valore aggiunto per il pluralismo dell'informazione. (Applausi dai Gruppi AL-A e FI-PdL XVII e del senatore Cociancich).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Marin. Ne ha facoltà.

MARIN (FI-PdL XVII). Signora Presidente, vorrei partire dall'intervento, che ho apprezzato, del collega Mazzoni, il quale ha finito parlando del pluralismo dell'informazione, che credo dovrebbe interessare tutti. Francamente, credo che le ragioni per preoccuparsi siano molte.

Partirò da un punto. Volevo partire diversamente, ma voglio fare una prima considerazione sulle deleghe in bianco che quest'Aula decide di dare al Governo. Io credo che sia inaccettabile: sono tante, sono tantissime, sono vaste e non si sa dove ci porteranno. Non vorrei che succedesse poi quello che sta avvenendo ad esempio per la RAI, perché non si può dimenticare, quando si parla di informazione, quello che sta avvenendo, anche in questi giorni, rispetto al servizio di informazione pubblica, che dovrebbe essere servizio plurale che dà voce a tutti. Vogliamo ricordarci non le polemiche, ma le considerazioni e i dati che ci sono stati forniti, non quelli di parte, ad esempio per quanto riguarda il referendum. Sulreferendum si sta costruendo il futuro di questo Paese, su una riforma sbagliata, voluta dal 30 per cento circa degli elettori italiani, con il 70 per cento che è contrario. Gli ultimi dati sulle presenze televisive ci ricordano come chi propende per il sì, che rappresenta il 30 per cento degli italiani, oggi a dismisura occupa i teleschermi, occupa le testate pubbliche, occupa i canali pubblici, le trasmissioni, i telegiornali, mentre chi rappresenta il 70 per cento degli italiani si vede molto meno rappresentato.

E ancora, se guardano alla presenza dei vari partiti e dei Gruppi politici nelle trasmissioni televisive, i dati sono terrificanti. Lo dico con un termine molto forte, che non uso a caso, ma uso volontariamente: terrificanti. Questa è la libera informazione che vuole il Governo? Non parlo solo del nostro Gruppo di Forza Italia, ma anche della Lega e del Movimento 5 Stelle, considerando che le posizioni politiche fra noi del centrodestra e il Movimento 5 Stelle sono profondamente diverse. I rappresentanti di Forza Italia e della Lega partecipano alle trasmissioni televisive con percentuali molto inferiori a quelle del partito del Presidente del Consiglio, nonché segretario del Partito Democratico, che occupa la televisione pubblica ed occupa quindi la possibilità di incidere su quello che pensano gli italiani.

Ecco, questo provvedimento dovrebbe partire da qui. Io mi chiedo come fanno i colleghi di maggioranza a votare tutte queste deleghe in bianco al Governo. Da quando c'è il Presidente del Consiglio abusivo a Palazzo Chigi, stiamo assistendo a deleghe in bianco al Governo: ci sta dicendo che il Parlamento non conta. Mi verrebbe da dire, cari colleghi: passi per il Senato, perché tanto nel primo discorso ci ha detto che l'avrebbe chiuso. Il meccanismo dei contrappesi, le regole democratiche e la discussione non piacciono all'ex sindaco di Firenze (anzi, al sindaco di Firenze, perché lì era stato eletto, mentre gli italiani non l'hanno eletto Premier). Chiudiamo il allora il Senato, facciamo parlare poco in televisione e oggi prendiamoci anche tutte le deleghe, in bianco, assolutamente indefinite, per quanto riguarda un settore strategico del nostro Paese, per la libertà e la democrazia: l'editoria. Qui dobbiamo parlare di libertà di stampa.

Non mi voglio dilungare sulla questione aperta dell'Ordine dei giornalisti; ne hanno parlato i colleghi precedentemente e mi sembra che sia importante e fondamentale. Per fortuna, lì siamo riusciti a dare un contributo nell'aumentare il numero dei componenti del consiglio dell'Ordine. Volevate ridurlo, ma alla Camera l'abbiamo aumentato; per fortuna lì siamo riusciti ad incidere. Ci fate incidere su quello che voi reputate assolutamente ininfluente, ma non ci fate dare contributi. Cari colleghi, non dovete gioire del fatto che l'opposizione non riesca a dare contributi su argomenti così importanti; non riuscite a darli neanche voi, perché le deleghe in bianco al Governo di cui parlavo prima fanno sì che neanche voi riuscite ad influire.

Non è solo questa parte dell'emiciclo che non riesce ad influire, anche voi noi riuscite ad influire: è la ridicolizzazione del Parlamento. Questo mi fa pensare perché ho la netta impressione che anche sull'editoria si voglia fare una concentrazione di potere: decidiamo tutto noi a Palazzo Chigi.

Intanto il settore è in crisi: vedete cosa sta avvenendo nei quotidiani. Tutto ciò che sta accadendo non è dovuto solo all'irruzione sul mercato, come hanno ricordato autorevoli colleghi precedentemente, dei giornali online. Guardate la nuova aggregazione «La Stampa»-«la Repubblica»: lo fanno perché i giornali sono in difficoltà. Quando i giornali sono in difficoltà e chiudono, si perde parte della democrazia. Ricordo a tutti che quest'anno abbiamo perso altre quattro posizioni nella classifica mondiale relativa alla libertà di stampa: siamo passati dal 73° al 77° posto. Ricordo cosa diceva la sinistra quando c'era il Governo Berlusconi e i dati erano migliori di questi: si urlava allo scandalo, oggi silenzio assoluto. Evidentemente per alcuni la democrazia va a senso alternato. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII). Se il problema riguarda la sinistra bisogna tacere, se riguarda il centrodestra, si urla, si va in piazza e si fanno i girotondi.

Onestamente io credo che ci voglia il buon gusto e la dignità del buonsenso, in quest'Aula prima di tutto, dove rappresentiamo gli italiani. Ma veramente io mi chiedo perché non ci poniamo alcune domande. La crisi del settore vuol dire perdita di posti di lavoro, non solo di libertà di stampa e democrazia. Mi sembra di capire che il Premier abusivo vuole una stampa addomesticata. Sono di questi giorni non le polemiche ma le considerazioni da parte di molti schieramenti, anche di parti del Partito Democratico, anche del segretario Presidente del Consiglio (segretario di partito che si dimentica di essere Presidente del Consiglio) che dicono che adesso in televisione si farà piazza pulita del dissenso. Vi piace l'idea di tornare alla Russia di un tempo? C'era tanta speranza che si fosse fatto un passo in avanti e invece non è così, sono proprio i vecchi metodi: dobbiamo controllare tutto noi.

Comunque, dicevo che la crisi del settore non mi preoccupa solo per la libertà, mi preoccupa per le persone che lavorano. Però il Governo ha un'idea geniale: aggiungo un balzello che sarà solo dello 0,1 per cento; ma 0,1 per cento oggi e 0,1 per cento domani, alla fine le tasse continuano ad aumentare. Ma chi ha pensato a questo fondo che viene chiamato di solidarietà pensa di usare belle parole come «solidarietà» che a me fa venire in mente il settore sociale, le famiglie con difficoltà economiche, le famiglie con persone diversamente abili; invece no, è un ulteriore balzello nascosto, ancora uno 0,1 per cento in più, ieri era il 2 per cento in più e via via aumentano le tasse. Nessuno ha pensato di controllare se la raccolta pubblicitaria diminuiva o aumentava, tanto la RAI ha il canone. Invece i giornali che sono libera stampa che siano di destra o che siano di sinistra - perché qui ce n'è per tutti - devo poterli controllare e devo poter decidere io a chi do i contributi.

Tra le altre cose, credo che tutti noi leggiamo i giornali locali. Io mi chiedo, e aspetto una risposta in questo senso perché mi sembra che sia proprio così, quanto verranno penalizzati i piccoli quotidiani locali? È vero che voi, per quello che riguarda il federalismo, siete per il centralismo assoluto, quello democratico, perché le riforme costituzionali che avete approvato dimostrano che tutto deve essere concentrato, possibilmente a Palazzo Chigi, anzi se Renzi andrà un po' a Palazzo Chigi e un po' nella sede del PD, lui probabilmente farebbe più volentieri il segretario del PD e farebbe tutto in quella sede. Quindi ci sarà una penalizzazione anche per i quotidiani locali perché verranno sempre «favoriti» i quotidiani nazionali naturalmente.

Ancora una volta mi sembra allora di capire (anche in questo caso deciderà Palazzo Chigi tra le altre cose) che sia stata annunciata una grande riforma, che dobbiamo approvare naturalmente in fretta e furia. A tale proposito mi chiedo perché i rappresentanti della maggioranza oggi non parlino. Se questa riforma è importante mi piacerebbe sentire le loro voci autorevoli perché io riconosco che persone per bene siedano in tutte le forze politiche. Ma oggi non parlate. È così importante questa riforma che mi sembra di capire che il presidente dell'Ordine dei giornalisti non la vuole, non la approva, i giornalisti non la approvano, chi lavora in questo settore non la vuole: nessuno la vuole, la volete solo voi, anzi non la volete neanche voi, ve la impongono da Palazzo Chigi perché è ormai evidente, per il discorso delle famose deleghe che passate in bianco al Governo, che la vostra voce non si sente. Mi dispiace per voi, colleghi di maggioranza, perché vi stimo profondamente ma non capisco perché tacete. Non so perché non parlate. Se tacete per dignità avete tutta la mia stima e la mia considerazione. Tacete perché tanto fanno tutto a Palazzo Chigi.

Questo Senato deve chiudere. Dopo, anche alla Camera dei deputati, parleranno solo i Capigruppo. Renzi sarà contento e il Premier abusivo farà tutto quello che vuole. Guardate che si parla di editoria e di libertà di stampa. Ancora una volta, si parla di una grande riforma, ma in realtà tanti sono gli annunci e poche le cose sostanziali. L'unica cosa sostanziale che vedo è una presa di poter e di forza del tipo: qua comando io. Per questo il Gruppo di Forza Italia ha cercato di lavorare e migliorare questa riforma. Vogliamo chiamarla così? È un provvedimento che ci fate approvare in fretta e furia. La vostra voce non la sentiamo. Pensavo e penso che vogliamo un'Italia profondamente diversa da questa. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Uras. Ne ha facoltà.

URAS (Misto). Signora Presidente, questo provvedimento è certamente atteso soprattutto da coloro che garantiscono il pluralismo dell'informazione in questo Paese. È quindi atteso dai giornalisti, dalla gran parte dell'editoria e, in modo particolare, da un'editoria che è presente nei territori, una piccola editoria che garantisce, attraverso la sua azione, un livello più alto della nostra democrazia e il maggior pluralismo che è possibile riscontrare in una dimensione democratica come la nostra e come quella europea.

Vorrei ricordare a tutti noi che in questo momento ci sono luoghi in cui i giornalisti sono perseguitati per le loro opinioni e per il modo con il quale rappresentano anche le opinioni degli altri. Non può passare inosservato che, ai confini dell'Europa, ci sono Paesi che non hanno aspettato tentativi di colpi di Stato per silenziare l'informazione e chi la rende colpendo i giornalisti con modalità che arrivano fino alla privazione della loro libertà e vita.

Presidenza del vice presidente CALDEROLI (ore 17,38)

(Segue URAS). Quindi, il pluralismo si poggia sulla tutela e sulle garanzie a esercitare liberamente la professione giornalistica. Principalmente si poggia su questo. Ce lo ricorda in modo preciso l'articolo 21 della Costituzione.

Questo provvedimento si colloca dentro questa idea e in una situazione nazionale di crisi profonda dell'economia e anche di settori come quello dell'editoria, che subiscono profonde trasformazioni anche per ragioni di innovazione tecnologica. Reputo assolutamente importante che si costituisca un fondo che va alimentato costantemente e in modo adeguato per sostenere tutta l'editoria, quella che ha una dimensione nazionale ma anche quella che vive nelle periferie, quella usa la carta stampata ma anche altre forme di comunicazione, quella delle radio e delle televisioni anche locali e regionali.

Queste ultime svolgono, infatti, una funzione di informazione in sede locale assolutamente indispensabile, ma, dirò di più, consentono una rappresentazione dell'articolatissima situazione politica nazionale anche a forze che non hanno un respiro nazionale. Penso alla mia Regione, in cui movimenti identitari fortemente autonomisti ed indipendentisti esistono e possono esprimere e manifestare in modo più compiuto la loro posizione politica perché ci sono soggetti della comunicazione in grado di recepirli, di rimbalzarli e di rappresentarli all'esterno. Ciò garantisce poi anche presenza, rappresentanza politica ed acquisizione di spazi nell'ambito delle istituzioni, almeno in quelle regionali e locali.

Il provvedimento in esame ha dunque questa natura. Penso che, come tutto quello che noi facciamo e che si fa, possa essere migliorato. Devo dire che l'unico difetto che non ha è quello che da parte di altre forze politiche è stato individuato come un peccato d'origine, vale a dire il fatto che sia stato il prodotto di una collaborazione parlamentare tra il Partito Democratico e Sinistra Ecologia e Libertà. Forse questo è il merito migliore e forse questo è un terreno che andrebbe anche maggiormente sperimentato. Ritengo, infatti, che la costruzione di una più robusta area democratica e progressista possa rappresentare per questo Paese la scelta necessaria e forse anche quella più utile, piuttosto che la sperimentazione di alleanze anomale e di relazioni un po' acrobatiche, che pure si sono manifestate in questa legislatura e che ancora si manifestano, esistono, producono effetti e gestiscono un Governo. Il limite indicato, dunque, è per me un pregio ed è un terreno interessante che ancora va tutto indagato.

Questo provvedimento presenta degli aspetti molto interessanti e, secondo me, nell'esame qui in Senato è stato migliorato rispetto a quello che avevamo acquisito dalla Camera. Ciò vale, innanzitutto, per quanto riguarda l'entità del contributo e le modalità con cui lo stesso viene erogato. L'editoria, soprattutto quella che si aggrega attorno alle grandi centrali della presenza culturale, del lavoro e della cooperazione, è venuta a chiedere un'attenzione da questo punto di vista e gli è stata accordata la possibilità della divisione del contributo tra anticipazione e saldo al 50 per cento: è un risultato assolutamente positivo, che risponde ad una domanda che è giusta e che salva quella realtà economica su cui si sviluppano tante situazioni, anche professionali ed umane, che garantiscono occupazione, migliorando la condizione di serenità di quanti operano nell'attività giornalistica. I giornalisti, infatti, vanno difesi anche da questo punto di vista, cioè dal punto di vista delle retribuzioni: la loro libertà nel rendere il servizio di informazione passa anche attraverso una maggiore indipendenza, che si afferma con sicure garanzie della loro condizione professionale, occupazionale e previdenziale.

Anche in questo senso va dunque apprezzato l'intervento fatto in materia previdenziale. È vero che, per qualche verso, introduce elementi più rigorosi che portano avanti il processo di unificazione dei trattamenti previdenziali di tutte le categorie; è però anche vero che c'è una sensibilità ad affrontare le situazioni di crisi e a favorire la soluzione, individuando modalità più celeri e garantite sul piano dei prepensionamenti e del superamento delle condizioni di difficoltà nelle situazioni di crisi e di ristrutturazione.

Quindi questo è un provvedimento migliorabile. Ci saranno altre occasioni nelle quali potremo discutere di questo argomento, ma è sicuramente un provvedimento buono, atteso e che spero la Camera approverà in via definitiva e in modo celere, senza apportare ulteriori modifiche al testo uscito dal Senato.

È un provvedimento che fa fare un passo in avanti alla situazione dell'editoria nazionale e garantisce in qualche misura ancora di più le professioni giornalistiche e i giornalisti. In questo Paese, dove quel tipo di professione è giustamente tutelata perché il nostro è un Paese democratico, vorrei ricordare altre situazioni che si presentano in tutta la sponda Sud del Mediterraneo e del Medio Oriente; vorrei pensare a situazioni che si verificano nell'Estremo Oriente; vorrei pensare a situazioni che abbiamo visto spesso nell'America latina; vorrei pensare al Nord dell'Europa verso l'Est, dove ci sono state situazioni nelle quali l'informazione è stata colpita nella sua libertà colpendo il giornalismo. Noi invece ci preoccupiamo di dare almeno un minimo di garanzia e interveniamo sull'Ordine dei giornalisti per rafforzare la funzione del giornalista professionista, di cui pure si occupa il provvedimento, in cui è prevista anche la tutela di coloro che svolgono l'attività in modo più libero, introducendo, ad esempio, alcuni parametri relativi all'equo compenso, una cosa sulla quale vale la pena di ragionare anche in maniera approfondita più avanti. Abbiamo infatti assistito ad un'operazione nella quale i più importanti quotidiani sia locali che nazionali e le agenzie hanno abusato del contributo di giornalisti pubblicisti in funzione di messe in crisi, perché alcune categorie datoriali dell'editoria non sono puramente editori, ma hanno interessi altri da sostenere, da difendere e da promuovere. In questa operazione hanno tentato di colpire il giornalismo professionista e la tutela che le associazioni, la federazione della stampa piuttosto che l'Ordine dei giornalisti danno a quel tipo di professione sotto questo profilo. È anche lì che si mina la libertà dell'informazione, e quindi anche il valore del principio costituzionale cui facevamo riferimento, che è quello dell'articolo 21 della Costituzione.

Ecco perché, signora Presidente, noi, e la collega De Petris in modo particolare, abbiamo lavorato in Commissione affari costituzionali perché questo progetto di legge andasse a buon fine e siamo contenti e soddisfatti in buona parte del risultato che abbiamo ottenuto. Avremmo voluto e vorremmo che il Governo e il partito di maggioranza relativa tenessero questo stesso profilo anche per altre vicende e anche per la RAI - Radiotelevisione italiana, quella che guardiamo con attenzione, perché sia tutelata proprio dal punto di vista del pluralismo dell'informazione e delle garanzie ai cittadini di avere un prodotto di informazione e di spettacolo il più rispettoso possibile della realtà del Paese. (Applausi della senatrice De Petris).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Bernini. Ne ha facoltà.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, condivido le considerazioni del senatore Uras sull'importanza del provvedimento, che chiama in causa dei diritti assolutamente fondamentali, sia individuali, che collettivi, e che ha ingenerato delle aspettative profonde nei suoi destinatari.

Dico in anticipo, come premessa, che il lavoro che abbiamo svolto insieme in Commissione non ci ha soddisfatto. Noi avevamo altre richieste che consideriamo fondamentali, le quali saranno dibattute nel corso dell'esame degli emendamenti. In Commissione, nel vero rispetto del diritto dell'informazione di informare, informarsi ed essere informati, grazie al Presidente, alla sempre disponibile competenza, professionalità e preparazione del relatore e a una potente attività di audizioni, abbiamo avuto modo di sviscerare la materia, che è complessa e composita.

Questo è il primo elemento di criticità che sottopongo alla vostra attenzione: all'attenzione del relatore, in primis, e del Governo. Mi scuso se ho dimenticato di menzionare il Governo che è stato sempre presente e disponibile e, per quanto ha potuto, ciascuno ovviamente nell'esercizio dei propri ruoli e competenze, ha recepito, pur se in minimerrima parte le nostre istanze. Ora confidiamo nel lavoro dell'Assemblea.

Dicevo che il confronto è stato importante perché questa normativa è monstre, non perché mostruoso sia il legislatore, bensì perché mostruosi sono i temi chiamati in causa e il potenziale bacino di applicazione. Qui parliamo non solamente del sostegno all'editoria, che è magna pars del provvedimento in causa, non solamente del trattamento pensionistico dei giornalisti e non solamente della disciplina del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. I loro argomenti potrebbero essere oggetto di una filiazione e gemmazione di altri provvedimenti e lo saranno, perché le deleghe contenute nel disegno di legge in esame sono numerose, come sempre. Anche su queste ci intratterremo.

Ci sarebbe piaciuto essere parte anche di questo secondo percorso e non affidare completamente al Governo la trattazione di temi che riteniamo essere di matrice parlamentare e non ancora governativa. Ne vorremmo discutere, poterci guardare in faccia e trattare temi che, secondo noi, sono dibattuti molto più ampiamente ed esaustivamente in un'Assemblea parlamentare che non in un Consiglio dei ministri o in un confronto tra diverse sensibilità ministeriali o burocratico-ministeriali.

Come dicevo, i temi sono straordinariamente attuali e si intrecciano - purtroppo - con la più bruciante attualità. Il primo tema attiene al cambiamento rapidissimo - direi fulmineo - dell'informazione. Ormai i sistemi e i modelli informativi - li possiamo anche chiamare format, anche se io non amo questa esterofilia sintattica - stanno cambiando con una rapidità straordinaria e ciò rende la nostra disciplina di una delicatezza cristallina, intesa come la fragilità del cristallo. Purtroppo, questa disciplina non è altrettanto cristallina e non ha la trasparenza del cristallo. Per quanto ci riguarda, è un po' opaca. Temi come l'intermedialità, la crossmedialità e la multimedialità ormai rappresentano il pane quotidiano non solo del settore delle telecomunicazioni (ossia della comunicazione televisiva incrociata con altre forme di comunicazione Internet), ma anche della carta stampata. I colleghi che mi hanno preceduto hanno giustamente ricordato che ormai è molto difficile stabilire delle linee di demarcazione tra i vari comparti informativi, che rappresentano l'espressione immediata e più naturale dell'articolo 21. Lo dicevo prima: informare, informarsi ed essere informati. Il collega Mazzoni ha giustamente ricordato che c'è stata una ripresa della carta. Negli Stati Uniti - è vero - la carta ha ricominciato a crescere, ma perché supportata da una potente piattaforma Internet, che, a differenza di quanto accaduto in altri sistemi come il nostro, è riuscita, con intelligenza a non essere vampirizzata dalla comunicazione Internet, che è necessariamente più veloce, più actuated e immediata nel fornire le informazioni e spesso brucia la testata cartacea del giorno dopo.

Tutti questi sono i presupposti e i criteri di una realtà oggettiva, con cui si deve confrontare chiunque voglia erogare i contributi all'editoria.

Ho visto che in coda al disegno di legge in esame ci sono delle petizioni. Incontriamo raramente questo strumento di democrazia diretta, ma ci sono dei cittadini che ci chiedono di fare cose e ci dicono che il Parlamento non è sensibile a certe istanze, pur non obbligando a trattare questa materia: si tratta infatti di un istituto di democrazia diretta che, a differenza dell'iniziativa legislativa popolare, non richiede al Parlamento l'obbligatoria trattazione della materia, ma rappresenta pur sempre un indicatore. Molte di queste petizioni chiedono l'abolizione dei finanziamenti pubblici all'editoria. Quindi, comprendo la sensibilità di chi governa rispetto a certe istanze e comprendo altresì e sollecito la necessità di mediare queste istanze, che sono molto belle quando declamate, ma sono di molto difficile realizzazione, perché sia come legislatori, sia a maggior ragione esercitando una maggioranza di Governo pro tempore, occorre saper mediare tra contrapposti interessi.

Il diritto all'informazione purtroppo non è un fiore che fiorisce e cresce spontaneamente, ma deve essere alimentato, annaffiato, protetto, così come certe imprese editoriali, che quando si parla di pluralismo dell'informazione dobbiamo avere ben presenti, che hanno la necessità di essere tutelate, ricorrendo i presupposti della correttezza ed equità della loro tutela. Sappiamo che la crisi morde non soltanto gli operatori del settore, ma anche gli erogatori dei contributi pubblici, ovvero tutti noi, che eroghiamo contributi pubblici, servendoci di quello che ci danno i cittadini e, dunque, a maggior ragione dobbiamo essere oculati. Non dobbiamo però dimenticare che questa è una materia in cui è fondamentale operare un sempre equilibrato bilanciamento tra chi ha diritto e dovere di esercitare un'attività di informazione, a livello nazionale e locale, e le istanze, giustissime e doverose, tipiche della cultura liberale che condividiamo, del libero mercato e delle regole, che naturalmente sviluppano un'attività nel mercato.

Quindi, spesso riteniamo che i disposti di tale norma non abbiano raggiunto questo equilibrio e il nostro pensiero si è manifestato nei nostri emendamenti, che illustreremo in seguito. Il relatore, sempre disponibile, ha cercato di venire incontro alla nostra esigenza, ma non l'ha soddisfatta. Ci sono state delle modifiche de minimis del testo, che possiamo vedere. Come sapete, il testo che abbiamo in distribuzione reca in neretto le modifiche. Al netto delle modifiche fatte su iniziativa del relatore o in base alle sollecitazioni che il relatore ha giustamente raccolto, la porzione di testo modificata è così poco significativa da non farci perdere la speranza che non abbiamo finito di modificare il testo e che il relatore sarà ancora sensibile, anche in Assemblea, a queste nostre esigenze.

Non voglio certo essere io, dopo aver bacchettato sulle mani il Governo questa mattina, ad essere eccessivamente poetica e poco pratica, ma in realtà in questo caso la forma è sostanza. Non si possono lasciare sole o impedire di fare dei piani di budget a delle impresa editoriali, che rappresentano, incarnano, soddisfano delle istanze locali fondamentali per la tutela del pluralismo dell' informazione. (Richiami del Presidente) Ho già finito il mio tempo, signor Presidente? Mi avvio a concludere. Colleghi, voi tutti sapete che il pluralismo dell'informazione non è una parola, ma un percorso, che va tutelato progressivamente, man mano che intervengono nel mondo, intorno a noi, degli strumenti o delle modifiche sostanziali, giurisprudenziali, che mettono a repentaglio l'equilibrio che il legislatore ha previamente raggiunto. Si è giustamente citata la legge Gasparri, ma il collega Gasparri che interverrà dopo di me, sarà in grado di parlarne da par suo. Certamente gli equilibri vanno attualizzati. A mio avviso questa norma è troppo ambiziosa nel volere regolamentare troppo e nel dire troppo poco, nel non tenere conto delle esigenze di quelle categorie che aspettano di essere soddisfatte, ma non in questo modo. La soddisfazione ci deve essere non solo nei titoli, ma anche nei contenuti.

Io sono contenta che sia aumentato il numero dei componenti del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. Io appartengo a un ordine professionale che - è vero - ha meno componenti, ma ha anche meno attribuzioni, meno competenze, meno ruoli da svolgere, meno delegazioni composte al proprio interno e meno oneri da affrontare e cui accondiscendere.

Per fare di tutta questa lunga storia qualcosa di breve, noi apprezziamo lo sforzo, ma speriamo che in sede di esame, discussione e votazione degli emendamenti, il Governo e il relatore si sforzino ancora di venire incontro a queste esigenze, che non sono nostre ma di tutti quelli che si aspettano qualcosa da questa legge. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Airola. Ne ha facoltà.

AIROLA (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, può un Governo così, che si è scippato la RAI con una legge invereconda, che dà la governance e la dirigenza direttamente in mano al Governo, fare una buona legge sull'editoria? La risposta è no. È evidente.

Quella che voi chiamate informazione pluralistica è in realtà, da decenni, una informazione lottizzata divisa per correnti. Certo, prima lo facevate con il manuale Cencelli e, quindi, c'era forse una minima reale rappresentazione democratica e pluralistica delle varie voci di questa società e della politica italiana. Oggi no. Oggi è arrivato un signore che finisce è un percorso che è stato fatto.

VOCI DAL GRUPPO LNP-AUT. Manca il Governo!

AIROLA (M5S). Signor Presidente, mi segnalano che non è presente il Governo. Sarà alla RAI?

PRESIDENTE. È presente, senatore. È seduto lì in prima fila, di fianco alla senatrice Finocchiaro.

AIROLA (M5S). Signor Presidente, mi suggeriscono che forse sta facendo i titoli del TG1! Forse Orfeo non è abbastanza servile? No, è impossibile.

PRESIDENTE. Senatore Airola, non è proprio la persona su cui scagliarsi.

AIROLA (M5S). Forse questo processo iniziato vent'anni fa, di smantellamento e concentrazione del potere dell'informazione in mano a pochi, è partito quando, con Berlusconi, si è presentato sulla scena un signore che aveva tre televisioni. Inaudito! Un Presidente del Consiglio. E con tutta l'Europa che ci stava addosso.

Ricordo che c'era ancora un fronte di contro informazione, o di informazione pluralistica, che lavorava per contrastare la visione politica della Casa delle Libertà. Anzi, saliva spesso sulle barricate. Vi abbiamo visti sulle barricate a difendere l'informazione italiana contro un conflitto di interessi mai visto.

Oggi si è arrivati alla perfezione di questo regime mediatico, con un Renzi che appunto si è preso tutto, venendo a decadere gli opposti (sempre che opposti fossero), con una unica larga intesa, in un silenzio assordante e totale di tutti gli organi di informazione.

Quindi, abbiamo un tessuto editoriale che rispecchia questo non pluralismo, con concentrazioni in mano ad alcuni editori che di puro non hanno più nulla: da Caltagirone a De Benedetti ad Agnelli, che si sta però defilando. Su questo tessuto opera una casta di giornalisti che è la vera esecutrice degli ordini politici e, a scendere, un precariato di giornalisti che devono lavorare pagati in nero, o con partite IVA, anticipando le spese e venendo pagati in fattura, ricattati e schiavizzati.

Ci domandiamo allora che senso abbia fare una iniezione di risorse su un tessuto così marcio. Che senso ha favorire la cancrena?

Ma è ovvio. È l'amputazione della coscienza dei cittadini e, soprattutto, della loro conoscenza. Perché questa politica indecente oramai sopravvive esclusivamente in simbiosi con una casta giornalistica; e mi dispiace usare questo termine perché insulto chi fa quelle poche isole di giornalismo e quegli editori autonomi che ancora ci sono e, pur con una difficile sopravvivenza, esistono. Invece, assistiamo a un appiattimento totale dell'informazione.

Come diceva la mia collega, siamo contrari al finanziamento pubblico all'editoria, come del resto lo siamo a quello dei partiti. Le questioni, infatti, vanno di pari passo. Abbiamo però voluto presentare degli emendamenti a questo testo e abbiamo voluto provare a farvi delle proposte.

Dalle vostre dichiarazioni, sempre che non si dimostri che il livello di ipocrisia ormai è insopportabile, voi avete spesso contestato anche in Commissione di vigilanza delle prese di posizione ben specifiche: mi riferisco ad esempio ai superstipendi di manager e dirigenti RAI. Ci sono state sedute in cui c'è stata un'indignazione generale perché Dall'Orto, il signore che Renzi ha messo lì, si prendeva 650.000 euro e distribuiva stipendi sopra i 240.000 euro (che è il tetto massimo dello stipendio per chi lavora in una società pubblica o partecipata) aggirando questa norma con l'emissione di bond, vi siete indignati tutti. Noi abbiamo presentato emendamento che ripristina il tetto di 240.000 euro, quindi mi piacerebbe vedere la vostra reazione quando voteremo su queste proposte, perché in quel caso misureremo cos'è il PD, cos'è NCD, cos'è questa maggioranza e cos'è questo Governo.

Parliamo ancora di libertà dell'informazione. Noi diamo risorse a testate che magari non pagano i collaboratori, i giornalisti, che magari li sfruttano, li mobbizzano, li schiavizzano. Dicevamo prima che la libertà d'informazione passa anche tramite l'indipendenza e l'equo compenso dei giornalisti (che non è quello di cui si è sentito parlare). Se io sono costantemente ricattato non sarò libero e non avrò la mia autonomia; per questo abbiamo presentato un altro emendamento che propone di non erogare somme a chi ha problemi sindacali, mobbizza, non paga i collaboratori e non rispetta i contratti. Vorrei poi dire una banalità: il contributo dovrebbe essere direttamente proporzionale alle copie realmente vendute e non ai giornaletti che stampate e distribuite sui treni agli amici, eccetera. Parlavamo di equo compenso per i giornalisti perché questo è un aspetto importante, visto che assistiamo a personaggi che fanno delle grandi trasferte e sono pagati magari 400.000 euro all'anno (sono cifre abbastanza diffuse nel settore), mentre al pari abbiamo giornalisti che lavorano senza limiti di orari, con stipendi da fame e anticipandosi le spese: immaginate un giornalista che adesso deve andare a fare un servizio Turchia e si deve pagare viaggio, albergo, magari anche le cure mediche (perché la Turchia potrebbe anche non essere uno scenario tranquillo), poi torna a casa, fa la fattura e ci inserisce le spese. Questo magari a fronte di un signore che guadagna 250.000-300.000 euro, messo lì dalla politica.

Non parliamo dell'ordine dei giornalisti. Voi sapete benissimo cosa pensiamo delle authority e degli organi. Certo, in un mondo perfetto potrebbe esistere un'authority che controlla la comunicazione, ma finché abbiamo Cardani, un ometto che viene in Commissione di vigilanza RAI e ci insulta, signori, io non voglio le authority se sono questa roba qua, cioè se sono il prodotto di un'infiltrazione anche in quel caso decennale: è una spartizione della politica anche quella sulle authority. Basta, siete vergognosi, siete al di là della vergogna! (Applausi dal Gruppo M5S).

Parliamo dell'ordine dei giornalisti. Dicevamo che gli ordini professionali sono poltronifici, sono gettoni, evidentemente un numero incredibile di poltrone per sistemare amici, ma anche per esercitare un controllo. Abbiamo 60 consiglieri regionali, di cui noi proponiamo un taglio almeno fino a 30, ma noi lo aboliremmo, perché siamo contrari e abbiamo anche presentato emendamenti totalmente soppressivi.

Vorrei tuttavia provare a darvi qualche spunto, perché è il mio lavoro, visto che io sono qua ancora forse per un anno o due - non si sa - e devo fare questo lavoro. Considerate però che oggi lo faccio nell'estrema consapevolezza del fatto che non rinuncerete mai al controllo sull'informazione, perché farlo per voi significa la morte politica definitiva. (Applausi dal Gruppo M5S). Vi seppelliranno e lo stanno già facendo, nonostante i tentativi.

Adesso in RAI sono emerse queste tre nomine veramente ridicole. Dopo un anno in cui si cerca di parlare di libertà d'informazione, vediamo Orfeo confermato al TG1, lui che arriva dal 2011, quindi ha superato indenne Monti, Letta e rimane con Renzi. È bravissimo nel suo lavoro, evidentemente è imbattibile, tanto è vero che lo confermano.

Dopo di che hanno messo la Colucci, che probabilmente paga uno scambio a larghe intese, un Nazareno 2.0; probabilmente sarà come il giornalista D'Angelis, quello de l'Unità 2.0, quella paccottiglia che spacciate per giornalismo. Poi su RAI 3 - che poteva essere un canale su cui avviare una politica (almeno con Dall'Orto ce lo auguravamo, lo auspicavamo) e una scelta un po' più indipendenti - ci mettono Mazzà, un signore. Ce lo mettete voi, non lo abbiamo scelto noi: lo sceglie Dall'Orto sulla base di quello che dice Renzi, dopo che si è presa una sgridata generale in Commissione vigilanza RAI l'altro giorno proprio per i superstipendi. Siete ridicoli.

Adesso votate questa roba qua, se avete il coraggio. Vediamo se avete veramente un minimo di dignità. Da parte mia - lo sapete - non ve l'attribuisco, neanche questo minimo, ma potete sempre stupirmi. Forse questa volta ci riuscite. (Applausi dal Gruppo M5S. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gasparri. Ne ha facoltà.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, già altri colleghi del mio Gruppo sono intervenuti su diversi punti di questo disegno di legge, esprimendo una valutazione critica.

Abbiamo partecipato alla discussione in Commissione con spirito comunque responsabile e costruttivo, pur non condividendo l'impianto del provvedimento in molti aspetti. Tornerò su un paio di questioni. Ce ne sono tante che riguardano il finanziamento all'editoria, il fondo unico che viene costituito, i criteri francamente opinabili che, a mio avviso, non garantiscono quel sostegno all'innovazione e all'occupazione nel mondo dell'informazione. Si eludono questioni fondamentali.

Oggi parliamo del provvedimento sull'editoria, ma in realtà bisognerebbe chiedersi cosa accade nel campo dell'informazione, in cui la crisi, in particolare dei giornali, deriva dal fatto che sulla rete si trova, ormai gratuitamente, pressoché tutto: notizie, informazioni, immagini, video. Gli stessi giornali, paradossalmente, fanno concorrenza a se stessi, modernizzando e rendendo sempre più efficienti i vari siti. È vero, tentano di far pagare alcuni servizi e alcuni articoli, ma ciò che le persone trovano gratuitamente soddisfa più che abbondantemente la richiesta di conoscenza e di sapere.

Poi vi è, naturalmente, la televisione free, libera, che si è moltiplicata grazie alle riforme che abbiamo fatto. Quante critiche al digitale terrestre e oggi, anche se uno non ha la televisione satellitare o un abbonamento alla televisione a pagamento, ha a disposizione centinaia di canali e ha una possibilità di scelta ampia perché, grazie alle innovazioni e alle riforme che ha fatto il centrodestra, si è aumentato il pluralismo e l'offerta.

Tutto ciò determina, ovviamente, come tutti i processi di modernizzazione, positività e negatività, per cui il giornale classico, una fondamentale forma di conoscenza e di approfondimento, il giornale cartaceo di cui prima parlavano i colleghi, ha una difficoltà. Gli interventi legislativi cercano quindi di agevolare l'editoria classica e, ovviamente, le parti on line, che spesso sostituiscono parzialmente o addirittura totalmente l'informazione cartacea, in quanto ci sono testate che si sono trasferite totalmente o che rinascono direttamente sul web.

La legge in esame non si occupa solo di queste cose e ne trascura molte. Vi è, ad esempio, un problema non risolto: la tassazione dei grandi operatori della rete, gli over the top. Questo tema ogni tanto affiora e poi scompare e bisognerà affrontarlo. Noi siamo in un mondo strano. Anche in quest'Aula ci siamo occupati recentemente (e torneremo ad occuparci) dei balneari e dei venditori ambulanti. Direte voi: che c'entrano i balneari con l'editoria? Siamo in una costruzione europea che pretende di fare le gare per un poveraccio che deve alzarsi alle 4 di mattina per vendere le scarpe nel mercato itinerante o per quello che affitta ombrelloni e sdraio. Bisogna fare una gara mondiale, europea, internazionale, quel sito deve essere contendibile da chiunque. Dopo di che, nel campo dell'editoria ci sono tutti i grandi operatori, i vari Google, Amazon e simili, dei potentati che decidono cosa si vende e cosa no, perché ormai il commercio on line cresce. Hanno il profilo di ciascuno di noi: sanno cosa leggiamo e cosa eventualmente compriamo, sono banche dati che conoscono meglio dell'anagrafe o di una forza di polizia le propensioni, le abitudini, le letture, le curiosità, in pratica le opinioni di ciascuno di noi.

Lì la tassazione langue e quindi abbiamo delle realtà... Poi si fanno degli accordi, anche Renzi ha fatto degli accordi, poi abbiamo scoperto che la grande società internazionale, le start up che faceva a Napoli prevedevano poi lavoro gratuito, non posti di lavoro.

Quindi io credo che noi dovremo prima o poi affrontare questo tema, non con gli accordi diretti. Anche la FIEG ha fatto un accordo con alcuni grandi operatori della rete ed ha avuto qualche soldo. Ma noi dobbiamo mettere tutti in condizione di parità, perché, se dobbiamo far fare a quelli che vendono le scarpe una gara europea e a chi sulla rete ci dà l'informazione o ci vende prodotti non gli facciamo pagare nessuna tassa, a fronte di guadagni giganteschi, le cose non possono funzionare. Quindi questo disegno di legge elude questi temi.

Dopodiché, esso introduce due questioni: una riforma dell'ordine dei giornalisti e un pezzetto della riforma a tappe della RAI. Sull'ordine dei giornalisti, io difendo l'esistenza dell'ordine dei giornalisti. Gli ordini professionali sono lodati, criticati, ne aggiungiamo alcuni, né vorremmo sopprimere altri. Io difendo gli ordini professionali e sono contento - lo dico per inciso - che pochi minuti fa le casse previdenziali degli ordini professionali si siano sottratte all'ennesimo ricatto del Governo Renzi (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII e del senatore Volpi), che aveva convocato le casse professionali dei giornalisti, dei commercialisti e degli avvocati, per dire loro di investire nel Monte Paschi di Siena. Viene da ridere. Pensate se uno di voi, cari colleghi legislatori, entrasse in banca e l'agente della banca gli dicesse: «Guardi, senatore, investa nel Monte dei Paschi di Siena». Uno risponderebbe male all'agente della banca, cambierebbe banca (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII), direbbe: «Guardi, piuttosto comprerei le azioni del Senato, se esistessero, che è un ente pure questo precario, ma forse almeno l'immobile sta messo meglio del Monte dei Paschi». Le casse professionali si sono rifiutate, perché devono difendere i versamenti contributivi

Tra l'altro, l'ente previdenziale dell'ordine dei giornalisti, a cui appartengo, già ha dovuto subire sperperi da parte di vari personaggi, vedremo se colpevoli o meno. Alcuni si chiamano i fratelli Magnoni. Quindi il mio ente, l'INPGI, li poteva anche accogliere; quelli si chiamano Magnoni e che fanno? Non lo so, avevano già nel cognome una mission. E allora noi dobbiamo difendere anche la previdenza versata e i contributi dei professionisti. Renzi aveva detto: «Dateci 500 milioni per il Monte dei Paschi». Gli hanno risposto di no. Poi sarebbe meglio se gli enti previdenziali evitassero anche i fratelli Magnoni, oltre che il Monte dei Paschi, e che investissero bene, perché quelli sono i soldi dei loro associati che versano i contributi.

Dopodiché voi volete fare questa riforma. In Commissione abbiamo cambiato alcune cose. Si era detto che il Consiglio dell'ordine, oggi pletorico con 160-170 persone, deve essere formato da 36 persone. Mi dolgo di una cosa e ringrazio la senatrice Finocchiaro, come Presidente della 1a Commissione, per aver corretto un'impostazione che non ho capito dov'era nata. Erano stati infatti auditi solo alcuni ordini regionali, forse quelli che l'avevano chiesto; poi abbiamo allargato a tutti. (Commenti della senatrice Finocchiaro). Eh, lo so, presidente Finocchiaro, però, se si sentono gli ordini regionali dei giornalisti, è poi strano sentire quello della Lombardia e non sentire quello di un'altra Regione (forse alcuni erano favorevoli a un certo impianto ed altri no). Poi li abbiamo sentiti tutti, in una logica federalista e di rispetto del territorio.

La riforma dell'ordine dei giornalisti la si deve fare da molto tempo. Ora la si fa in ritardo e con un emendamento; questo è un modo sbagliato di fare la riforma. Abbiamo convenuto che il numero non deve essere più di 36, ne do atto. Noi proponevamo 72, ora sono 60. Lo dico poi anche da giornalista professionista, che ha superato l'esame di Stato ahimè molto tempo fa. Stiamo creando un sistema per cui i professionisti, che sono una minoranza dell'ordine, esprimeranno i due terzi degli eletti e i pubblicisti, che sono tanti... Alcuni forse non sono praticanti della professione come fatto primario; ma ci sono molti pubblicisti che nei giornali fanno il lavoro dei giornalisti professionisti, perché gli editori li sfruttano, gli editori li sottopagano, gli editori li fanno lavorare in prima linea. Però noi facciamo una riforma per cui i giornalisti professionisti... Parlo contro la mia appartenenza, perché sono un professionista, mentre mi pare che il sottosegretario Giacomelli, pure lui giornalista, sia pubblicista. Paradossalmente, io difendo le ragioni dei pubblicisti, mentre il Governo dà ai professionisti il potere di esprimere, essendo una minoranza, i due terzi degli eletti. Questo è sbagliato e antidemocratico.

Dopodiché abbiamo almeno portato a 60 ed abbiamo introdotto le minoranze linguistiche. Io non ce l'ho con le minoranze linguistiche e le rispetto. Tuttavia non si capisce perché le minoranze linguistiche debbano avere i posti assicurati nel Consiglio dell'ordine dei giornalisti, non debbano averlo, a questo punto, nelle altre professioni. I notai che esercitano a Bolzano devono essere bilingui, sennò non possono fare il notaio. Che fanno, arriva un cliente e non si capiscono? È ovvio, stanno lì e devono operare con un patentino, con un'abilitazione; sennò non lo puoi fare.

Allora c'è anche questa contraddizione. Io ritengo quindi che questa riforma sia fatta male.

Per quanto riguarda la RAI, abbiamo inserito all'ultimo un emendamento all'articolo 6 che introduce una procedura di legge per rinnovare la Convenzione. Non è il rinnovo della Convenzione ma solo un documento che specifica come si rinnova la Convenzione tra la RAI e lo Stato. Di fatto si dice anche che sarà la RAI a gestire il servizio pubblico. In Commissione ho anche specificato che quest'ultimo passaggio è abbastanza logico, lo dico dai banchi del centro-destra. Io non sono mai stato a favore della gara. La facciamo, secondo l'Europa, per chi vende le scarpe alle quattro di mattina, per i mercati, che è una cosa un po' assurda, o per le spiagge e non la facciamo per il canone perché chi parteciperebbe? La RAI stessa. Poi se partecipasse il principale operatore privato si direbbe che è conflitto di interesse. Figuratevi se Mediaset partecipasse alla gara del canone, garantisse le prestazioni (notiziari, informazione regionale, previsioni del tempo, informazione religiosa, informazione per le minoranze e quant'altro) e vincesse la gara e quindi anche il canone. Chissà cosa succederebbe! Altre emittenti o hanno azionariati esteri, e francamente non si capisce perché dovrebbero prendersi il canone, o non hanno nemmeno la copertura dell'illuminazione televisiva sufficiente. Quindi è giusto, lo ripeto, che il servizio pubblico lo faccia la RAI, ma lo deve fare, sottosegretario Giacomelli, una RAI pluralista. Avete fatto una riforma a tappe della RAI: qui mettete l'articolo 6. Quando avete fatto la leggina che da tutti i poteri al Direttore generale avete violato la Costituzione e le sentenze della Corte costituzionale perché la RAI deve essere espressione del Parlamento e del pluralismo. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

Abbiamo visto a cosa serviva: forse l'eterogenesi dei fini, sottosegretario Giacomelli, non era quello che voleva lei. Oggi abbiamo un direttore generale che fa nomine monocolori, oggi Fabio Martini su «La Stampa», cito letteralmente un giornalista qualificato e non certo ascrivibile alla galassia del centro-destra, libero ma non della nostra parte, ha detto che mai si è visto un monocolore governativo come quello che esce fuori delle nomine fatte nelle reti e le nomine annunciate nelle testate giornalistiche di cui si dovrebbe discutere. Questo lo dice Fabio Martini su «La Stampa». Un monocolore renziano per normalizzare il tutto in vista del referendum, a questo serviva la leggina per dare al direttore generale il potere di fare ogni nomina. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

Dopo di che avete fatto, in questa riforma a tappe, il canone obbligatorio in bolletta per cui prima il canone era obbligatorio da pagare però non era in bolletta e quindi c'era una certa evasione, giustificata o meno, adesso è in bolletta, tutti devono pagare con la bolletta elettrica il canone, e pagheremo il monocolore renziano del direttore generale incapace e perfino il giornale «La Stampa» lo scrive. Peraltro, «La Stampa» adesso sposa «la Repubblica»: rispetteranno i tetti antitrust in questo supercartello? Non credo.

Noi abbiamo contestato questa scelta a suo tempo. Ora l'articolo 6, direte, tipizza solo le procedure per la Convenzione ma che ce ne facciamo della Convenzione Stato-RAI se poi, e lo dico dopo aver difeso la funzione di servizio pubblico della RAI, non è il servizio pubblico ma il servizio privato di Renzi? Renzi aveva detto fuori i partiti dalla RAI, certo lo dicevo alla Leopolda: fuori i partiti degli altri dalla RAI per far rimanere solo la sua corrente di partito nella RAI, nemmeno tutto il suo partito. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

Infatti ho letto alcune dichiarazioni pluraliste e ho visto immolata una direttrice che evidentemente non era allineata al nuovo corso e l'hanno sostituita con uno che sarà bravissimo, non lo conosco, però nel curriculum ha un litigio con Giannini. Anche a me Giannini è antipatico, ma cacciarlo perché è antipatico a Renzi me l'ha fatto diventare simpatico. Guardate un po' come sono strane le cose della vita. (Applausi della senatrice Rizzotti).

E allora io credo che, insomma, questa legge debba anche introdurre un tetto alle retribuzioni. Lo dico anche a lei, Presidente di turno: noi abbiamo già votato nella Commissione parlamentare di vigilanza, alcuni mesi fa, una proposta di parere riformulata dal relatore e approvata dalla Commissione. L'11 novembre 2015, quindi non cento anni fa, la Commissione di parlamentare di vigilanza RAI ha approvato all'unanimità, qui ci sono altri colleghi che fanno parte della Commissione, un parere in cui si dice: «in relazione alla disposizione che si propone di introdurre al comma 3 dell'articolo 1, si raccomanda che nello Statuto della RAI si stabilisca quanto previsto dall'articolo 13, comma 1 del citato decreto-legge che determina in euro 240.000 il limite massimo dei compensi e delle retribuzioni spettanti agli amministratori con deleghe e ai propri dipendenti».

Questa non è una legge, ma un parere. La Commissione di vigilanza dovrebbe vigilare e ha votato a novembre il rispetto di quel tetto. Io ho presentato - mi pare che anche altri Gruppi lo abbiano fatto - con la senatrice Bernini un emendamento, che tutto il Gruppo ha sottoscritto, per dire che introduciamo in legge il tetto dei 240.000 euro. Campo Dall'orto ne prende 650.000 per fare il lottizzatore per conto di Renzi. Potrebbe pagare direttamente Renzi con il codice IBAN di Campo Dall'Orto. (Applausi della senatrice Rizzotti). Costui dice che si può fare perché la RAI ha emesso dei bond e le società pubbliche che emettono dei bond si sottraggono a questo dovere del tetto, ma il nostro emendamento specifica che questo può valere per le società che hanno un'attività finanziaria prevalente e per cui emettere bond e investire sul mercato azionario è la vocazione primaria. La RAI può incidentalmente emettere dei bond, ma produce informazione, cultura e sapere. Noi abbiamo presentato un emendamento che restringe il campo delle società pubbliche che possono sforare il tetto dei 240.000 euro retributivi. Campo Dall'Orto ha anche mentito alla Commissione di vigilanza perché ci ha detto che non ha chiesto nulla e che appena è arrivato alla RAI gli hanno offerto 650.000 euro, che ha preso. Il suo predecessore Gubitosi, invece, si era adeguato, con dolore immagino, alla riduzione a 240.000 euro, con cui si campa. Noi che siamo la casta delle caste e siamo, quindi, vituperati, a torto o a ragione, prendiamo di meno e siamo sicuramente al di sopra della media della popolazione italiana e, quindi, dobbiamo auto limitarci e non alimentarci. Anche considerando le bugie del direttore generale della RAI perché il suo predecessore si era uniformato ai 240.000 euro, vogliamo che si tenga conto dell'emendamento. Quando ci arriveremo credo che parleremo in tanti. C'è la risoluzione della Commissione di vigilanza. Colleghi che avete presentato gli emendamenti, ve ne darò copia perché sull'archivio degli atti parlamentari in materia radiotelevisiva sono abbastanza fornito per consuetudine e attenzione alla materia. Chi non ce l'avesse, forniamo la fotocopia del parere che all'unanimità abbiamo votato. Era l'equivalente dell'emendamento che in molti abbiamo presentato. Il parere può essere eluso e lo hanno eluso, l'emendamento non può essere eluso. Per quanto riguarda l'artista ci sarà l'eccezione. Noi parliamo di dirigenti e dipendenti. Se Raffaella Carrà - cito un nome datato - la assumi, diventa un dipendente. Se un artista fa delle prestazioni stagionali, sarà il mercato a dettare le regole.

Questa discussione è importante perché il tema dell'equità retributiva, della trasparenza e di come funziona la RAI è centrale. Il canone non è molto elevato come tassa: sono un centinaio di euro. Ogni volta, però, che si fanno le indagini statistiche è il più impopolare dei balzelli. La gente non lo ama; vorrebbe che sparisse, però poi ci sono gli equilibri, la pubblicità, i giornali. Io conosco le regole del sistema e capisco. Il canone, benché ci siano tasse più elevate, alla gente sta sul gozzo. Presidente, si può dire «sul gozzo»? Il senatore D'Anna l'altra settimana ha innovato il linguaggio; invece «gozzo» si può dire. Noi insisteremo su queste proposte. Non apprezziamo il modo incidentale con cui si è fatta la riforma dell'ordine dei giornalisti. Le audizioni preordinate di alcuni facevano capire quale fosse il piattino. Apprezziamo - questo lo dico perché non ho remore - che ci sia stato un po' di ascolto modificando i numeri da 36 a 60. Noi avevamo proposto 72. Per rispondere a chi dice che i numeri sono pletorici, vorrei dire che non paga lo Stato i membri del consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. Se oggi sono 170 e diventeranno 60 o se fossero diventati 72, ci sarebbe comunque stato il dimezzamento. Non li paga lo Stato. Sia chiaro. Noi invece dobbiamo ritornarci dimezzarci e triturarci.

Caro Presidente, la ringrazio dunque anche per la tolleranza sui tempi.

L'esame di merito di questo provvedimento ci consentirà di affrontare molti temi, tra cui quello della modernizzazione dell'informazione e quello delle impunità fiscali dei grandi giganti della rete che saccheggiano le risorse di tutti, mentre al povero scarparo o bagnino facciamo fare la gara mondiale con i cinesi e con gli americani come se fosse un monopolista dell'ombrellone. Il provvedimento ci darà modo di parlare anche di RAI, della riforma a pezzettini mal fatta, e credo che qualcuno si sia anche pentito, perché poi, come dire, il campo dell'orto è pieno solo degli amici dell'ortolano Renzi e questo non va bene. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mucchetti. Ne ha facoltà.

MUCCHETTI (PD). Signor Presidente, colleghi, il disegno di legge che stiamo discutendo ha lo scopo di sussidiare un settore dell'economia come altri provvedimenti sussidiano altri settori. Il settore dell'editoria tuttavia merita a parere del legislatore, da tanti anni, un particolare sostegno, perché garantisce uno dei fondamenti della democrazia che è l'informazione libera e pluralista, dove la libertà si misura nel confronto di orientamenti, procedure e tecniche diversificate, non certo nell'adesione di ogni testata alle idee che ciascuno di noi può prediligere.

Sussidiare significa correggere i meccanismi del mercato e correggere anche gli esiti che il mero esercizio della libera concorrenza può generare. Questo è un punto che da qualche anno in altri Paesi, più avanti di noi su questa materia, sia dal punto di vista tecnologico, che dal punto di vista ordinamentale e delle storie aziendali - mi riferisco agli Stati Uniti d'America - è materia di approfondita discussione, perché il settore dei media, specialmente dei giornali quotidiani e della televisione generalista, sta affrontando una crisi strutturale, qualcuno dice una crisi epocale.

Ricorderò a quest'Aula che qualche anno fa il settimanale «The Economist» si pose il problema di quale sarebbe stato l'ultimo giornale a chiudere nel 2043. Dato l'andamento delle cose, temo che in Italia non bisognerà aspettare il 2043 per assistere ad una recrudescenza ancora più cattiva della crisi in atto.

Tuttavia, questo disegno di legge, che origina da un'idea giusta, ha uno svolgimento che, a mio parere, è largamente inferiore a quello che sarebbe dovuto. Si propone di essere una misura di tipo ordinamentale, ma, in realtà, finisce con il concentrare le risorse oggi disperse e ricollocate in capo a più Ministeri nelle mani di un unico ente erogatore, la Presidenza del Consiglio. La stessa Presidenza del Consiglio, attraverso questo disegno di legge, avoca a sé tutti i poteri in materia.

Bene ha fatto il relatore Cociancich ad introdurre un emendamento che quantomeno sottopone al parere rafforzato delle Commissioni parlamentari competenti i criteri di assegnazione dei sussidi e tuttavia questo, a mio giudizio, non basta, perché il parere rafforzato conta, ma, alla fine, il messaggio che arriva è che i gruppi editoriali in difficoltà - siano essi le televisioni locali, la stampa di tendenza, le iniziative editoriali di tipo culturale, ma, aggiungo, anche molti dei grandi gruppi «normali» - dovranno andare a Palazzo Chigi col cappello in mano a chiedere soccorso.

Questo, a mio parere, non va bene; non starò ad annoiarvi citando i padri della Patria del pensiero sulla libertà di stampa, cioè Luigi Einaudi, ma non è un bel giorno per la democrazia quello nel quale un giornale, per vivere in un contesto che è quello che abbiamo indicato prima, ha bisogno della benevolenza discrezionale del principe. Se sussidi ci devono essere, ed io ritengo che siano per certi aspetti inevitabili, questi devono essere finanziati in modo credibile - e dirò qualcosa al riguardo - ed erogati secondo meccanismi i più automatici possibili, con un grado di discrezionalità ridotto al minimo indispensabile.

Vengo quindi a fare qualche considerazione sulle norme specifiche di questo provvedimento. Esso raggruppa finanziamenti già decisi da norme precedenti per circa 200 milioni, a valere sull'anno 2016, e per 170 milioni circa per i due anni successivi. Poi aggiunge due fonti di finanziamento in modo secondo me discutibile. Dice che fino a 100 milioni si potrà pescare dall'extragettito che verrà dal canone RAI riscosso attraverso le bollette dell'energia elettrica. Perché non mettere anche un minimo ove si parla degli eventuali? Lasciamo ancora una volta la più totale discrezionalità anche nello stabilire il quantum.

Secondariamente, si inventa - e qualche collega ne ha già fatto cenno in precedenza - un contributo di solidarietà a carico delle concessionarie di pubblicità dei centri media, quasi che la materia pubblicitaria abbia in sé un qualche piccolo peccato da scontare rispetto ad altre fonti di reddito del settore editoriale e quindi sia chiamata essa, e non altre fonti, a pagare un contributo di solidarietà; quando noi sappiamo che tutte le fonti di reddito hanno pari dignità da questo punto di vista. Mi pare un residuato di antiche culture, di un mondo dal quale anch'io provengo, quello della sinistra, che sono state superate ormai da decenni nella loro attualità.

Ma quel che più colpisce di questa norma è il gettito. Coloro i quali la propongono non ci dicono quanti denari pensano di ricavare. Ho fatto questo esercizio perché è facile da fare: basta prendere i bilanci degli ultimi tre anni delle società chiamate a dare questo contributo di solidarietà e si scopre che, se va bene, arriviamo a 1,5 milioni di euro, ma più probabilmente a meno. Stiamo parlando di una sciocchezza, per fare la quale si dimentica di fare cenno alla più grande società operatrice del settore pubblicitario che esista al mondo, la seconda in Italia, che si chiama Google, la quale vive di pubblicità. Solo che la fattura da Dublino e noi ce ne dimentichiamo; e ciò per fare una normetta. Quindi, quasi quasi, consolidiamo questo stato di cose.

Ci sono altre tre cose - chiedo un po' di grazia alla Presidenza - sulle quali vorrei fare alcune rapide osservazioni.

Passo alla prima osservazione. Se è vero che l'intero settore dell'editoria è in difficoltà, credo sia compito di una norma di questo genere garantire quel minimo di sostegno che, anche negli altri settori, viene garantito alle ristrutturazioni aziendali, se non altro a quelle che sono già state in qualche misura autorizzate dallo stesso Governo attraverso la richiesta di prepensionamenti depositati presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Si dice che questo costa dei denari. Certo, costa dei denari, ma non tantissimi e, comunque, si può andare a incidere su quel monte già finanziato che ho ricordato all'inizio dell'intervento. In questo modo la Presidenza del Consiglio avrebbe qualche margine di discrezionalità in meno. È così grave?

Passo al secondo aspetto. La pubblicità serve non soltanto a coloro i quali la realizzano, la pubblicano e la mandano in onda per avere una fonte di ricavi, ma anche agli inserzionisti per promuovere la vendita dei propri prodotti. Meritoriamente, il disegno di legge in esame stabilisce che la Presidenza del Consiglio debba pensare a una qualche forma di incentivazione della pubblicità aggiuntiva rispetto a quella fatta negli ultimi tempi, perché questo produrrebbe anche un beneficio sull'andamento dei consumi e sull'economia in generale. Perché non indicare, come è possibile fare, le modalità, dare un po' di certezza e degli obiettivi in questa materia e mettere nero su bianco una cifra che dia l'idea di cosa vogliamo fare? Ancora una volta, si preferisce lasciare tutto questo alla scelta discrezionale del principe.

Concludo con un'osservazione su un passaggio del tutto marginale, che però indica come tante volte, dovendo far passare una norma che concentra il potere in una materia così delicata nelle mani del Governo, si vuol pagare un tributo all'opinione pubblica benpensante e politicamente corretta. Mi riferisco - seguitemi bene - a quella breve norma che esclude dai sussidi i soggetti che pubblicano inserzioni pubblicitarie lesive dell'immagine del corpo della donna. Chi mi conosce sa quanto sia alto il mio rispetto per il genere femminile e come abbia condiviso tutte le battaglie che sono state fatte in quest'Assemblea e, prima ancora, sui giornali. Ho praticato queste cose nella mia vita e non ne ho solo chiacchierato.

Tuttavia, vi invito a fare una breve riflessione. Ma perché noi legislatori pensiamo di colpire le immagini pubblicitarie lesive e non anche - giacché ci siamo - dei filmati, dei video, delle fotografie, dei testi e dei titoli? Si tratta di una cosa abbastanza ridicola. Si colpisce una cosa marginale come, ad esempio, Oliviero Toscani, e si lascia andare serenamente il sito YouPorn, che non chiede i contributi. La pubblicità di Oliviero Toscani può essere pubblicata anche dai quotidiani «il manifesto» o «Avvenire».

PRESIDENTE.Senatore Mucchetti, le ho concesso quattro minuti di tempo in più. Ora la invito a concludere.

MUCCHETTI (PD). Sì, signor Presidente.

Chi sarà - poi - il soggetto che escluderà dai contributi? Palazzo Chigi? Stiamo riaprendo la commissione di censura? Per pagare un contributo al politicamente corretto e rendere più digeribile un provvedimento mal costruito ci accingiamo a varare questa norma, che avrà un unico pregio, ossia il non essere mai applicata.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Sull'ordine dei lavori

LUCIDI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIDI (M5S). Signor Presidente, chiedo un attimo l'attenzione dell'Assemblea. Come tutti voi avrete saputo, finalmente la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ha concluso i propri lavori e quindi adesso abbiamo la possibilità, finalmente, di concretizzare quello che abbiamo chiesto ormai da giorni e giorni. Riteniamo che l'Assemblea debba dare un segnale forte, contro un fatto che non è neanche paragonabile, ad esempio, a quello di un ex senatore, tal Dell'Utri, che nel suo pedigree aveva un' accusa per concorso esterno per associazione mafiosa.

PRESIDENTE. Senatore Lucidi, mi deve dire la sua richiesta sull'ordine dei lavori e non entrare nel merito.

LUCIDI (M5S). La mia richiesta è la seguente: stante la conclusione dei lavori della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentare, ai sensi dell'articolo 56, comma 3, del Regolamento del Senato - le sto per consegnare il foglio di richiesta con le otto firme richieste - chiedo l'inversione della trattazione degli argomenti iscritti all'ordine del giorno e quindi la sospensione dell'esame del provvedimento, in questo momento, per iniziare immediatamente la discussione relativa alla relazione della Giunta, che prevede la richiesta di arresto per il senatore Caridi, e alla fine di questo punto, riprendere con l'ordine del giorno così come è stato preannunciato. Questa è la mia richiesta: sospensione immediata del provvedimento in esame e inizio immediato della discussione sulla relazione appena fatta dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. (Commenti del senatore Buemi).

PRESIDENTE. Senatore Buemi, consenta alla Presidenza di rispondere.

Senatore Lucidi, mi ascolti per cortesia. Quello che lei mi chiede è possibile se si potesse modificare il nostro Regolamento. Quello che lei chiede è un inversione della trattazione degli argomenti iscritti all'ordine del giorno, perché quello che ha chiesto è già calendarizzato nell'ordine del giorno. L'inversione dei punti all'ordine del giorno si può chiedere o ad inizio seduta o quando si passa da un argomento all'altro e non quando ci si trova a metà di un provvedimento, come sta facendo in questo momento. Quindi la sua richiesta è respinta.

CRIMI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Le ricordo che non ci sono repliche sulle decisioni della Presidenza.

CRIMI (M5S). La mia non è una replica, signor Presidente, ma ci sono stati parecchi esempi, anche se ovviamente non abbiamo a disposizione tutti i testi...

PRESIDENTE. Senatore Crimi, sono le ore 18,47: domani mattina all'inizio della seduta potrà legittimamente fare la medesima richiesta. All'inizio della seduta e non quando un argomento è in trattazione.

CRIMI (M5S). Ci sono fior fior di precedenti in cui, nell'intervallo trae la discussione generale e l'inizio del voto degli emendamenti, su richiesta dei Capigruppo probabilmente della maggioranza, quindi assecondati dalla Presidenza, è stato dato il consenso a questa inversione. Li troverò prima della fine della seduta e contesterò la sua decisione.

PRESIDENTE. Io applico il Regolamento e non decisioni politiche e quindi procedo con l'esame del disegno di legge.

Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn.
2271 , 282 , 453 , 454 e 1236 (ore 18,47)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore.

COCIANCICH, relatore.Signor Presidente, ringraziando lei e tutti i colleghi che sono intervenuti, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIACOMELLI, sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, non potrei discostarmi dalla linea suggerita dal relatore e rinuncio anch'io alla replica.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuto alla Presidenza - ed è in distribuzione - il parere espresso dalla 5a Commissione permanente sul disegno di legge in esame e sugli emendamenti, che verrà pubblicato in allegato al Resoconto della seduta odierna.

Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge n. 2271, nel testo proposto dalla Commissione.

Procediamo all'esame dell'articolo 1, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

MAZZONI (AL-A). Signor Presidente, illustro gli emendamenti 1.21 e 1.53. L'emendamento 1.21 prevede che il Fondo di sostegno sia alimentato, tra l'altro, con una percentuale sugli utili degli operatori del settore della pubblicità.

A tal proposito, merita osservare che si tratta di un incremento oggettivo della imposizione diretta e perciò di un provvedimento non in linea con le esigenze, manifestate da più parti, di ridurre questo tipo di imposizioni.

La norma introduce, poi, una disparità di trattamento ai danni degli operatori nel settore della pubblicità, che rischiava si essere lesiva del principio di uguaglianza.

Per quanto riguarda l'emendamento 1.53, è una norma che attribuisce poteri discrezionali al Governo nella ripartizione del fondo e appare in contrasto con l'esigenza di riconoscere un diritto soggettivo agli editori e all'esigenza di garantire l'indipendenza della informazione.

In assenza di qualsiasi certezza sui fondi, anzi in una oggettiva incertezza, in quanto le decisioni vengono rimandate anno per anno al Governo di turno, diventa impossibile, per le imprese editoriali, programmare la propria attività anche con diretto riferimento agli elementi qualificanti previsti da questa riforma, come per esempio l'assunzione di giornalisti con contratto a tempo indeterminato e l'innovazione di processi e di prodotto, individuati dal disegno di legge come strumenti idonei a trovare un nuovo modello di sostenibilità dell'informazione autonoma sul mercato.

Quindi, per questa ragione sarebbe essenziale che la legge, nell'ambito della delega al Governo, garantisse che una quota delle risorse disponibili venisse comunque destinata alle imprese qualificate per la capacità di produrre informazione autonoma e indipendente.

AIROLA (M5S). Signor Presidente, illustro l'emendamento 1.306, che recita: «al comma 2, sopprimere la lettera c)».

In pratica, serve per evitare uno scippo fino a 100 milioni di euro, per il periodo 2016-2018, a quello viene chiamato extra gettito eventuale del canone RAI.

Sinceramente, alla RAI veramente abbiamo già imposto troppo. Una Maggioni e un Dall'Orto e una pletora di gente pagata una barca di soldi. Abbiamo fatto vendere le antenne di RAI Way e l'abbiamo costretta a una serie di tagli. Adesso le andiamo a togliere anche quello che, essendo in teoria un extragettito, doveva servire a rilanciare l'azienda per buttarlo in un calderone e andare a spargerlo in mille rivoli.

Secondo me ciò è ingiusto e illegittimo, come altri scippi fatti alla RAI. Ci terrei, quindi, che si sopprimesse questa norma.

MALAN (FI-PdL XVII). Signor Presidente, desidero illustrare alcuni emendamenti, dei quali sono tra i primi firmatari.

Segnatamente, l'emendamento 1.22 chiede di sopprimere la lettera d), al comma 2. Qui, per dare delle provvidenze, che, peraltro, nell'insieme sono assai modeste, si istituisce una nuova imposta in settori che già sono in difficoltà. Ecco perché noi proponiamo di sopprimere la lettera d).

Con l'emendamento 1.33 proponiamo delle modifiche per evitare di incidere su settori che già si trovano in un periodo non facile e per trovare nuove risorse.

Voglio però sottolineare soprattutto l'emendamento 1.34. Siccome temo che questa nuova tassa verrà approvata e che così si aggiungerà al lungo elenco delle nuove tasse istituite da questo Governo (che le taglia solo a parole, ma non nella pratica), volevamo appunto fare una sottolineatura con questo emendamento 1.34.

Con l'emendamento 1.34 sottolineiamo che questa tassa dovrebbe colpire anche la raccolta di pubblicità svolta attraverso la rete Internet anche da aziende con sede all'estero. Internet è una cosa molto particolare, è una rete globale, ma ci troviamo nella situazione paradossale che quelli che oggi sono assolutamente i più grandi colossi dell'industria, le più grandi aziende del mondo, sono proprio quelle di Internet, più di tutto ciò che produce cose più concrete e visibili. Ebbene, queste imprese si scelgono delle sedi di comodo in Paesi che sono piccoli rifugi fiscali e comunque non in Italia; il risultato è che la pubblicità di prodotti italiani, fatta su siti italiani, di cose prodotte in Italia e destinate a essere vendute in Italia pagano le tasse in Irlanda, negli Stati Uniti d'America o chissà dove. Pertanto, prevediamo questo, se vogliamo contribuire, è inutile andare a colpire piccole o medie aziende di casa nostra e poi lasciare intatte aziende che valgono centinaia di miliardi nelle quotazioni azionarie. Dobbiamo quindi stabilire se si sta con i più forti, specie se sono stranieri, o se si sta anche un po' con i piccoli, specie se italiani.

Lo stesso viene proposto con l'emendamento 1.35, mentre l'emendamento 1.61 prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che deve stabilire annualmente la destinazione delle risorse abbia almeno qualche vincolo, per esempio garantisca che almeno l'80 per cento di queste risorse venga destinato a misure a sostegno dell'editoria previste dall'articolo 3 della legge n. 250 del 1990, che è ciò su cui si interviene. Altrimenti abbiamo una delega in bianco, che peraltro sarebbe di dubbia costituzionalità perché si dà al Governo la totale discrezionalità nello stabilire una destinazione di questi fondi, che nell'idea di tutti noi dovrebbero essere dedicati al sostegno all'editoria e invece possono andare ad altri scopi. Vedo che anche altri hanno presentato proposte di questo genere, pertanto credo che sia un aspetto importante. Non è possibile, non è serio, vuol dire rinunciare a una prerogativa che assolutamente deve essere del Parlamento, stabilire che, mentre le finalità delle spese vengono stabilite nei dettagli dalla legge, poi però le entità delle somme vengono stabilite arbitrariamente il Governo. È qualcosa di totalmente inaccettabile e auspico l'approvazione di questo emendamento, nonché di quello che propone che coloro che si avvalgono di attività con sede in Italia per prodotti destinati al mercato italiano paghino le tasse in Italia; visto che non pagano le altre, almeno questo prelievo dello 0,1 per cento lo paghino Italia.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, io vorrei a mia volta commentare alcuni degli emendamenti di cui sono prima firmataria, scusandomi perché abbiamo ricevuto il fascicolo molto di recente, quindi chiederò al Presidente di aiutarmi con la numerazione.

Con l'emendamento soppressivo 1.22, come anticipava il collega Malan, noi vogliamo eliminare quello che è stato con molto garbo (molto spesso il diavolo sta nei dettagli) definito contributo di solidarietà, ma mi permetterei di definire questa solidarietà come una solidarietà un po' pelosa. Si tratta in realtà di una tassa dello 0,1 per cento del reddito complessivo derivante dalla raccolta pubblicitaria su stampa quotidiana e periodica e su mezzi di comunicazione radiotelevisivi e digitali.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo tutti stigmatizzato nei nostri interventi - certo, non abbiamo ascoltato molti interventi della maggioranza, purtroppo - la crisi del settore. Siamo in sede di illustrazione degli emendamenti e, al netto di qualsiasi valutazione polemica, francamente non ci sembra opportuno inserire un'ennesima, ulteriore tassa, l'ennesimo balzello. Siamo, anzi, in una fase - mi sembra di ricordare, nell'attività promozionale del Governo - di forte riduzione delle tasse, che noi non vediamo ma che forse da qualche parte sta. Sicuramente non qui.

Noi chiediamo - lo abbiamo già fatto in Commissione e lo ripetiamo in Aula, evocando i nostri interventi precedenti - l'eliminazione di questa che è una nuova tassa a tutti gli effetti, che colpisce le concessionarie, quelle aziende che svolgono direttamente la raccolta pubblicitaria, ma anche quelle che eventualmente si avvalgono di intermediari. Si tratta di un comparto già in crisi: cerchiamo di aiutarlo e di non sottoporlo a ulteriori gravami.

È evidente che, trattandosi di un contributo dello 0,1 per cento, già in sede di prima lettura alla Camera si è detto che una gabella così ridotta può e deve essere accettata senza drammi eccessivi. In realtà, lo 0,1 di qualcosa è sempre uno 0,1, quindi non sottovalutiamo la crisi del settore, perché a forza di 0,1 si impoveriscono le casse di imprese già fortemente indebolite.

L'emendamento 1.33 corrisponde, nella sostanza, alle stesse finalità del precedente. Riteniamo che risulti iniquo e di dubbia costituzionalità il contributo di solidarietà dalle concessionarie pubblicitarie. Si tratta, colleghi, di un contributo forzoso, che non vogliamo e non possiamo avallare. Abbiamo detto prima che tutto questo provvedimento si basa su un faticoso equilibrio, che però dobbiamo raggiungere, conseguire e conservare, tra le esigenze di chi, meritevolmente, deve esercitare un'attività, che enuclea il diritto all'informazione, e le regole del libero mercato. Attenzione, perché l'imposizione di regole e di regole inique sbilanciano fortemente questo equilibrio, che già noi non ravvisiamo come esistente in alcune parti di queste disposizioni, ma che certamente questi disposti alterano profondamente.

L'emendamento 1.34 sottende alle stesse finalità. Poiché nel testo che avversiamo si includono altri strumenti di comunicazione e telecomunicazione multimediale e crossmediale, la riformulazione che proponiamo è che il pagamento del contributo anche da parte dei nuovi operatori Internet over the top sia esteso anche a quelli con sede all'estero, attualmente non soggetti al quadro normativo applicato ai fornitori di servizi di media audiovisivi, ma che attingono ingenti e sempre crescenti risorse pubblicitarie dallo stesso mercato in cui operano editori e broadcaster tradizionali. Il riferimento della sede «anche all'estero» è inserito per assicurare l'effettività della norma, al fine di non creare discriminazioni per gli operatori nazionali e di non determinare elementi di svantaggio competitivo per l'attività pubblicitaria sulla stampa e sulle emittenti radiotelevisive.

Signor Presidente, anche l'emendamento 1.35 corrisponde agli stessi obiettivi, mentre l'emendamento 1.37 modifica il testo nella parte che non consente ancora, secondo noi, di identificare in modo univoco il soggetto dal quale pretendere il contributo di solidarietà; proponiamo quindi il testo come da nostra indicazione.

Per quanto mi riguarda, per l'illustrazione degli emendamenti è sufficiente così.

Su un punto mi riservo di intervenire in occasione dell'esame dell'articolo 2; per il resto, mi ritengo soddisfatta.

BARANI (AL-A). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARANI (AL-A). Signor Presidente, vorrei aggiungere la mia firma all'emendamento 1.65, a prima firma del senatore Mazzoni.

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati. Invito il relatore e il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

COCIANCICH, relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario su tutti gli emendamenti, ad eccezione dell'emendamento 1.20, del quale suggerisco una trasformazione in ordine del giorno, altrimenti il parere è contrario.

GIACOMELLI, sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Esprimo parere conforme a quello del relatore.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 1.1, presentato dal senatore Crimi e da altri senatori.

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.2.

ENDRIZZI (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENDRIZZI (M5S). Signor Presidente, questo emendamento propone sostanzialmente l'abrogazione dell'ordine professionale dei giornalisti. Ricordo appena il fatto che è stato istituito con una legge del 1963, a partire da un albo istituito da Mussolini. Era un albo controllato dal Governo e messo sotto la tutela del Ministero della giustizia; esso serviva appunto ad imbavagliare la libertà di stampa.

Oggi questo organismo di controllo sostanzialmente cementa una corporazione che limita l'accesso alla professione di giornalista da parte di chi vuole contribuire alla pluralità delle voci che intervengono nell'informazione italiana. Da questo punto di vista, non si vede come una legge che mira appunto alla pluralità, possa non contenere questa semplice misura. Va detto che siamo gli unici, in Italia, ad avere un ordine così concepito e forse non è un caso che l'Italia, ancora quest'anno, sia scesa ulteriormente al 77° posto nella classifica dei Paesi per libertà di stampa, dietro il Botswana.

Di questo albo ricordo che Einaudi scrisse: «L'albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha e non deve avere, cioè alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell'albo obbligatorio sarebbe un resuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non‑conformisti».

Quanto all'ordine dei giornalisti, Berlinguer aggiunse: «Io sono contrario al requisito di qualsiasi titolo di studio per la professione di giornalista, perché considero questo come una discriminazione assurda, una discriminazione di classe, contraria alla libertà di stampa e alla libera espressione delle proprie opinioni» (che la nostra Costituzione tutela).

Allora l'informazione è libera e l'ordine dei giornalisti limita la libertà di informazione. Chiunque deve potere scrivere senza vincoli se non quelli previsti per chiunque dalla legge. La principale giustificazione teorica per gli ordini è che darebbero una garanzia di qualità ai cittadini. Ma qual è la qualità garantita dall'ordine dei giornalisti? Se io parlo di un medico posso capire che l'ordine verifichi la sussistenza dei titoli di studio ma qual è il titolo di studio per un giornalista? Abbiamo altre caratteristiche da valorizzare: la capacità di fare domande scomode e non esprimere meramente opinioni, di andare a cercare i fatti. Abbiamo una testata che ha scelto questo nome perché mancano i fatti e siamo inondati di opinioni e propaganda.

In questo disegno di legge non può mancare l'abolizione dell'ordine dei giornalisti. Solo così avremo una misura fondamentale per la libertà di informazione per tutti i cittadini italiani.

SIBILIA (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIBILIA (FI-PdL XVII). Chiediamo che le votazioni vengano effettuate a scrutinio simultaneo mediante procedimento elettronico.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.2, presentato dal senatore Crimi e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.3.

ENDRIZZI (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENDRIZZI (M5S). Signor Presidente, questo emendamento mira a sopprimere il finanziamento pubblico ai giornali. Anche in questo caso abbiamo una misura introdotta dal fascismo, inizialmente con l'Ente nazionale cellulosa e carta la cui attività tendeva allo sviluppo autarchico del mercato interno delle materie prime. Poi, nel 1994 questo ente è stato soppresso. Sono stati comunque erogati ancora finanziamenti: dal 2003 al 2015 sono stati stanziati 1,5 miliardi di euro a favore degli editori. Questa misura doveva concludersi per iniziativa del Governo Monti nel 2014 ma che cosa ha fatto il Governo Renzi? Ha introdotto il fondo straordinario a sostegno dell'editoria che riservava 50, 40 e 30 milioni dal 2014 al 2016. Allora, io forse ho la memoria troppo lunga ma ricordo Matteo Renzi che quando doveva scalare la segreteria del partito per arrivare dov'è ora, diceva che voleva abolire questi finanziamenti e destinarli agli asili nido. (Applausi dal Gruppo M5S).

Oggi si rimangia tutto e il motivo è anche abbastanza chiaro. Perché questa legge arriva oggi, alla vigilia della campagna referendaria che per lui è la battaglia campale? Perché in questo modo - si tratta di una legge delega - il Governo avrà uno strumento di ricatto in più per condizionare la stampa che già recentemente ha taciuto sul referendum contro le trivellazioni in mare. (Applausi del senatore Puglia).

Abbiamo visto quanto la stampa sia succube del Governo e la spiegazione sta in questo disegno di legge e nel fatto che il Governo eserciterà un potere di ricatto, un bavaglio implicito. Il finanziamento all'editoria, che sia pubblico o che sia privato, è sempre un condizionamento e va ridotto al minimo essenziale, non va lasciato alla discrezione del Presidente del Consiglio dei ministri stabilire chi deve avere e chi non deve perché questo vuol dire che noi impediamo ai cittadini di sapere le cose rispettando il principio della verità, dell'onestà intellettuale e della trasparenza nell'accesso alle informazioni.

Presidente, noi chiediamo di sopprimere la quantità di rivoli che oggi va ad inquinare la nostra libertà di stampa, di sopprimerli una buona volta per tutte e sottrarre la vita politica di questo Paese al dubbio che sia influenzata da questi poteri che nulla hanno a che fare con la democrazia.

PRESIDENTE. Senatore Endrizzi, mi risponda anche sui successivi. Intendete metterli ai voti anche se c'è il parere contrario ai sensi dell'articolo 81?

ENDRIZZI (M5S). No, Presidente, ci limitiamo a illustrare gli essenziali.

PRESIDENTE. Chiedevo se insisterete per la votazione degli emendamenti su cui c'è il parere contrario ai sensi dell'articolo 81.

ENDRIZZI (M5S). Signor Presidente, è intento ostruzionistico.

PRESIDENTE. Li volete votare lo stesso anche se c'è il parere contrario ex articolo 81? Sì o no?

ENDRIZZI (M5S). Presidente, se si tratterà di emendamenti essenziali, lo faremo.

PRESIDENTE. Questo lo votiamo?

ENDRIZZI (M5S). Presidente, certo.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.3, presentato dal senatore Endrizzi e da altri senatori, fino alle parole «di garantire».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risulta pertanto preclusa la restante parte dell'emendamento.

Passiamo all'emendamento 1.4, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione. Senatore Endrizzi, insiste per la votazione?

ENDRIZZI (M5S). Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

ENDRIZZI (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENDRIZZI (M5S). Il Movimento 5 Stelle ha presentato alla Camera la prima proposta di disegno scritta dai cittadini per abolire il finanziamento pubblico all'editoria. È stato il primo esperimento di democrazia diretta on line nella storia della Repubblica. L'impianto di questa proposta è stato elaborato dai nostri componenti della 7a Commissione ed è stato sottoposto al contributo delle persone iscritte alla piattaforma LEX del Movimento 5 Stelle. Ci sono stati 4.456 interventi, di cui 3.269 erano i suggerimenti, 639 le integrazioni, 137 le modifiche, 258 le obiezioni e 57 i vizi di forma sollevati.

È stata una partecipazione straordinaria che si è tradotta in questi punti principali: abrogazione di tutte le disposizioni che prevedono finanziamenti all'editoria, ad eccezione di quella per i contributi di natura prevalentemente sociale; dirottare gli 80 milioni di euro Renzi si lamentava.

PRESIDENTE. Senatore Endrizzi, per un mio errore, non le ho segnalato che anche l'emendamento 1.4 è precluso dalla bocciatura della prima parte dell'emendamento 1.3.

Vive l'emendamento 1.5 fino alla parola «disposizioni».

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.5, presentato dal senatore Crimi e da altri senatori, fino alle parole «seguenti disposizioni».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e l'emendamento 1.6.

Passiamo all'emendamento 1.300, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, ritiro l'emendamento.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.301, presentato dai senatori Gasparri e Bernini.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.7, presentato dalla senatrice De Petris.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.8, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.302, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, ritiro gli emendamenti 1.302 e 1.303.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.10, presentato dalla senatrice Bisinella e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.304, presentato dai senatori Gasparri e Bernini, fino alle parole «la lettera».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e gli emendamenti 1.305 e 1.306.

Passiamo all'emendamento 1.13, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.13, presentato dalla senatrice De Petris.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

L'emendamento 1.15 è stato ritirato.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.16, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.16, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.17.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, lo ritiro.

PRESIDENTE. Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, gli emendamenti 1.18 e 1.19 sono improcedibili.

Senatore Endrizzi, in relazione all'emendamento 1.20 il relatore aveva proposto una riformulazione e la trasformazione in ordine del giorno. Accoglie tale proposta?

ENDRIZZI (M5S). Accetto la riformulazione e la trasformazione in ordine del giorno. Chiedo comunque di poterlo mettere in votazione e lo illustro brevemente. Si chiede l'impegno al Governo a valutare l'ampliamento della platea delle persone e delle famiglie esentate dal pagamento del canone RAI, che attualmente è previsto per le persone sopra i 75 anni e con reddito inferiore ad 8.000 euro. Dobbiamo estendere tale esenzione a tutte le famiglie e alle persone che abbiano reddito sotto i 13.000 euro e ai pensionati. Attenzione alle famiglie numerose e a quelle che abbiano minori o persone non autosufficienti, e diamo possibilità di accesso totalmente gratuito a quello che in tante famiglie è l'unico strumento di acculturazione. (Applausi del senatore Puglia).

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'ordine del giorno G1.20, presentato dal senatore Endrizzi e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.21, presentato dal senatore Mazzoni, fino alle parole «lettera d)».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e gli emendamenti 1.22 e 1.307.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.23, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

L'emendamento 1.27 è stato ritirato.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.24, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.28, identico all'emendamento 1.30.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, vorrei dichiarare il voto favorevole a questi emendamenti identici che riprendono un tema che avevo illustrato nell'intervento precedente, perché nella ricerca di risorse si fa cenno alle attività della Rete Internet e si fa riferimento anche ai soggetti che hanno un fatturato complessivo superiore ai 100 milioni di euro. Quindi è un intento giusto far sì che chi ha ampie risorse e opera sulla rete possa pagare.

Questo tema, colleghi, e lo dico soprattutto a quanti non hanno avuto modo di seguire il dibattito e la discussione generale precedente, è importante perché oggi abbiamo un problema di colossi della rete che operano nel mondo dell'informazione facendo una concorrenza impari a giornali ed attività che noi poi cerchiamo di sostenere con interventi, fondi unici, sussidi di varia natura, e che però poi vengono travolti. Questo perché il consumo di informazioni, di conoscenze e di notizie avviene sempre più sulla rete tramite i cosiddetti OTT (over the top), ossia i grandi protagonisti sulla scena informatica, che sono anche grado di orientare i consumi. Infatti non c'è solo l'informazione che viene veicolata da questi grandi operatori come Google, Amazon e tutti gli altri: c'è anche l'attività del commercio online, attività senz'altro importante e per molti versi apprezzabile, spesso anche conveniente, perché i costi di intermediazione diminuiscono e quindi l'acquirente finale può trarne anche dei vantaggi. Certo, ci sono anche delle ripercussioni sulle reti commerciali tradizionali che ne possono soffrire, ma questa è anche la concorrenza dovuta all'evoluzione tecnologica.

Ma nel campo dell'informazione questo tema si pone con grande attualità. Vediamo che talvolta si fanno degli accordi. Nel mio intervento in discussione generale ho citato ad esempio l'intesa che la FIEG, la federazione degli editori, ha fatto con uno dei principali operatori della Rete, garantendo agli editori un provento di alcuni milioni di euro. La stessa cosa era stata fatta anni fa in Francia, ma sono intese episodiche, sono degli accordi privati.

Oppure abbiamo visto che anche l'attuale Governo si è vantato del fatto che alcuni grandi operatori della rete - alcuni di questi OTT - hanno deciso di fare investimenti in Italia, a Napoli. Abbiamo anche visto che molte di queste attività sono di formazione e non creano del lavoro. Per carità, ben venga tutto ciò che smuove le acque in un'epoca così incerta, tuttavia rimane il problema di come regolare i colossi della rete ed evitare fenomeni di evasione ed elusione fiscale. In un'Europa che impone le gare addirittura per i balneari e i venditori ambulanti e le gare mondiali per qualsiasi attività, non credo sia giusto vedere una libertà di azione totale per questi protagonisti.

Comprendo che non si debba alimentare una sorta di oscurantismo fiscale. Noi siamo un movimento di stampo liberale e ovviamente vogliamo incoraggiare tutte le innovazioni, però proprio un principio liberale di concorrenza leale non può vedere alcuni soggetti esentati nell'ambito di una miriade di costi e tassazioni, anche nel campo dell'editoria, per qualsiasi attività e per tutti i lavoratori dipendenti. Anche l'acquisto di carta è gravato da tasse (pensiamo ai giornali cartacei). Tutto quello che è nel ciclo produttivo - dalle prestazioni di natura culturale e intellettuale dei giornalisti, alle prestazioni dei dipendenti addetti alla stampa, all'acquisto dei macchinari - è gravato da una serie di tasse. Nel campo dell'informazione tecnologica c'è una libertà fiscale eccessiva. Quindi, riteniamo che sia assolutamente giusto alimentare questi fondi, come proposto dai due emendamenti in esame.

Per questo motivo, il Gruppo Forza Italia, per un principio di equità fiscale e di concorrenza più leale, condivide gli identici emendamenti 1.28 e 1.30, presentati dai colleghi Bisinella, Munerato, Bellot e Mazzoni.

Disegni di legge, nuova assegnazione
Commissioni permanenti, autorizzazione alla convocazione

PRESIDENTE. Comunico che è stata disposta la nuova assegnazione in sede deliberante alla Commissione 12a del disegno di legge n. 998-B, recante: «Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie», già approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati.

Fermo restando i pareri già richiesti, la Commissione è autorizzata a convocarsi.

Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn.
2271 , 282 , 453 , 454 e 1236 (ore 19,28)

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.28, presentato dalla senatrice Bisinella e da altri senatori, identico all'emendamento 1.30, presentato dal senatore Mazzoni.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.32, presentato dalla senatrice De Petris.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.309, presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.33, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.34.

MALAN (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Signor Presidente, ancorché con riferimento alla sola prima parte, noi ovviamente voteremo a favore dell'emendamento 1.34, anche per evitare di precluderci l'esame dell'emendamento successivo.

L'emendamento in esame chiede che - guarda un po' - vengano tassate le più potenti aziende del mondo e questa è forse la ragione per cui c'è una certa ritrosia ad approvarlo. Le più potenti e grandi aziende del mondo, oggi, sono quelle che gestiscono la pubblicità su Internet. Basta vedere i dati della capitalizzazione in borsa delle grandissime aziende. Loro fanno il loro mestiere - benissimo - ma è giusto che paghino le tasse e che, per attività che fanno in Italia, le versino nel nostro Paese. Ciò è stato detto anche dal Presidente della Commissione bilancio della Camera, onorevole Boccia, che fa parte - anzi, ne è personaggio importante - del Partito Democratico. È il momento di mettere in pratica quanto detto.

Il provvedimento introduce una nuova tassa e prevede che vengano esentati dal pagamento i soggetti più grossi che, in ambito italiano, hanno un fatturato enorme, ma non pagano le tasse nel nostro Paese. Facciamo almeno pagare loro questa tassa. Sappiamo benissimo che una delle ragioni principali della crisi dell'editoria è che sia i lettori, che gli inserzionisti tendono a spostarsi dalla carta stampata a Internet.

Non possiamo opporci all'evoluzione tecnologica, dei gusti, della sensibilità e degli usi dei cittadini, ma non possiamo neanche punire chi usa i cosiddetti vecchi media e salvaguardare invece da qualsiasi tipo di tassazione i potentissimi - che probabilmente sono tali anche politicamente, ed ecco perché c'è la contrarietà ad approvare l'emendamento in esame - collettori, raccoglitori e diffusori di pubblicità su Internet, inclusi, come scriviamo nel nostro emendamento, i motori di ricerca e così via. Qui abbiamo veramente una prova. Stiamo con le grandissime aziende, con capitalizzazione da 300, 400 o 500 miliardi, o stiamo con la piccola stampa italiana? Noi stiamo con le aziende di informazione italiane, dai piccoli ai grandi giornali: anche le più grandi di queste aziende sono infatti dei nanetti rispetto a questi colossi, che la formulazione della norma esenta anche da questa tassa, dopo che già pagano le altre imposte nei ripari o rifugi fiscali, che per una cattiva traduzione vengono definiti «paradisi fiscali». Qui c'è la riprova. Volete aiutare le grandi aziende, esentandole dalle tasse, e massacrare le aziende italiane? Fatelo, ma vi suggerisco di votare invece a favore dell'emendamento in esame.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della prima parte dell'emendamento 1.34, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori, fino alle parole «le seguenti».

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Risultano pertanto preclusi la restante parte e gli emendamenti da 1.35 a 1.39.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.310 presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.311, presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

L'emendamento 1.40 è stato ritirato.

MALAN (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Faccio mio l'emendamento 1.40 e sottolineo che apprezzo l'iniziativa dei colleghi del Gruppo per le Autonomie che lo hanno presentato e non apprezzo invece la decisione di averlo ritirato. L'argomento è simile a quello dell'emendamento precedente: se non si vuole esentare da questa tassazione i colossi del web, allora dovreste votare questo emendamento, già presentato dai senatori Zeller e Berger e ora fatto mio. Mi dispiace che gli stimati colleghi rinuncino ad un emendamento pienamente sensato, giusto, a difesa di tutti e in favore dell'eguaglianza. Non vogliamo colpire e punire i colossi - per carità! - ma vorremmo almeno che venissero trattati come gli altri e non che il povero giornale di provincia, che raccoglie 5.000 euro di pubblicità, debba pagare le tasse, mentre i colossi da 500 miliardi di capitalizzazione non debbano pagare niente. A quanto pare c'è invece la tendenza a difendere i colossi e a massacrare i piccoli.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GALIMBERTI (FI-PdL XVII). Chiedo di aggiungere la firma all'emendamento 1.40.

PRESIDENTE. La Presidenza ne prende atto.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.40, presentato dal senatore Zeller e da altri senatori, ritirato e successivamente fatto proprio dai senatori Malan e Galimberti.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.67, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.41.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, si tratta di un emendamento della collega De Petris, che affronta una vexata quaestio. Ogni volta che discutiamo della legge di stabilità parliamo del Fondo per la emittenza locale, un tema che anche il sottosegretario Giacomelli, insieme a molto colleghi in quest'Aula, conosce bene. Anche negli anni passati ricordiamo che, soprattutto alcune associazioni dell'emittenza locale, collegavano ai proventi del canone il diritto delle emittenti locali a ricevere degli stanziamenti. Per la verità, l'emittenza locale è sempre stata destinataria di contributi pubblici e nel passato in maniera più cospicua.

Anche perché l'emittenza locale ha svolto, e svolge, una funzione importante di equilibrio territoriale nel mondo dell'informazione, dando voce alle vite dei territori delle città, della politica locale e della vita sociale delle varie realtà italiane.

Nell'emittenza locale spesso sono cresciute, e stanno crescendo, aziende di dimensioni importanti. Questo emendamento chiede di destinare, in maniera molto ragionevole, una cifra adeguata, quantificata in 50 milioni di euro, all'emittenza locale, in ragione dei maggiori incassi che il canone dovrebbe registrare con la sua introduzione nella bolletta elettrica. Peraltro, il sottosegretario Giacomelli sa che questo tema è stato oggetto di discussione. E c'è anche un orientamento favorevole del Governo in questa direzione.

L'emendamento è quindi utile per fotografare una realtà, indicando la cifra da destinare a tale scopo in almeno 50 milioni, tratti dalle eventuali maggiori entrate dal canone. Si immagina, infatti, che il canone in bolletta determinerà maggiori introiti per il Tesoro, che lo incassa e poi lo deve dirottare al servizio pubblico radiotelevisivo esercitato dalla RAI.

Di questo abbiamo discusso nelle Commissioni parlamentari, anche recentemente, e c'è questo orientamento. Dico ai colleghi che l'occasione di questo emendamento 1.41 è appunto di stabilire che almeno 50 milioni di questi maggiori proventi vadano all'emittenza locale. Avremo così una sorta di minimo garantito.

Quanti colleghi, infatti, che pur non si occupano di questo tema durante l'anno, quando arriva la legge di stabilità vengono giustamente sollecitati dalle emittenti locali e dalle diverse associazioni che, legittimamente, chiedono un sostegno.

Poiché entreranno più soldi nelle casse dello Stato, a goderne non sia solo la Rai ma anche la democrazia dei territori, la molteplicità delle voci, in un settore che sta subendo anche una forte selezione e si sta riducendo di numeri, con una selezione, a volte, anche dolorosa.

Questo minimo garantito può dunque determinare una maggiore sicurezza. C'è infatti occupazione, c'è sviluppo, c'è formazione professionale nell'ambito della emittenza locale. Quindi, l'emendamento è assolutamente ragionevole e giusto e il Gruppo di Forza Italia, per questo motivo, lo voterà.

BENCINI (Misto-Idv). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENCINI (Misto-Idv). Signor Presidente, chiedo innanzitutto alla senatrice De Petris di poter sottoscrivere l'emendamento 1.41 a nome del Gruppo dell'Italia dei valori.

Aggiungo, poi, che questo emendamento segue la linea di quanto votammo in legge di stabilità. Lì, infatti, decidemmo la destinazione dell'extragettito del canone. Ora, vedremo se già a luglio, nella prima rata, ci sarà una maggiore entrata ma, in tutti i casi, parte di quella maggiore entrata dovrà andare alle emittenti locali e parte ad ampliare la platea degli esonerati dal pagamento il canone.

Quindi, un minimo comune economico come 50 milioni è una cifra equa, perché si suppone che questo extragettito supererà questi 50 milioni.

CIAMPOLILLO (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIAMPOLILLO (M5S). Signor Presidente, chiedo la rimozione delle schede corrispondenti ai tanti senatori assenti. (Proteste).

PRESIDENTE. Invito i senatori Segretari a effettuare un controllo e a rimuovere le eventuali tessere laddove non si rilevi la presenza del senatore.

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). Signor Presidente, accetto naturalmente la richiesta della senatrice Bencini. Colgo, però, l'occasione per segnalare alla Presidenza che da questi emendamenti, dei quali io ho qui copia, sono sparite le firme degli altri senatori del Gruppo Misto-Sinistra Italiana.

La rimozione è stata fatta forse d'ufficio.

PRESIDENTE. O magari gli altri firmatari hanno ritirato la firma.

DE PETRIS (Misto-SI-SEL). No, signor Presidente, non è stata ritirata alcuna firma.

D'AMBROSIO LETTIERI (CoR). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'AMBROSIO LETTIERI (CoR). Signor Presidente, chiedo anch'io di poter aggiungere la firma all'emendamento 1.41. Mi viene poi qui ricordato anche il soggetto proponente esterno, il collega Gasparri.

È un soggetto esterno che, però, anche nella scorsa legislatura, ha evidenziato tutte le motivazioni, che non sono di natura privatistica, ma pubblicistica, atteso il fatto che l'emittenza privata ha una finalità di tutela dei principi di democrazia.

Proprio nella pluralità dell'informazione, infatti, noi garantiamo i principi di democrazia.

Su questo emendamento, signor Presidente, lei ricorderà che nella scorsa legislatura abbiamo fatto delle vere e proprie battaglie, non sempre andate a buon fine. Condivido l'impegno della collega De Petris e, come ha ricordato il collega Gasparri, per le medesime motivazioni, che non sto a ribadire perché toglierei tempo, chiedo di aggiungere la mia firma all'emendamento 1.41. (Il senatore Segretario si reca tra i banchi per togliere le tessere a cui non corrisponde l'effettiva presenza di un senatore).

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.41, presentato dalla senatrice De Petris e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.312, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

BERNINI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.312, presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.45, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

Poiché se ne chiede la votazione, invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.45, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.313, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

BERNINI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.313, presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.47, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.49, identico all'emendamento 1.314.

BERNINI (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, vorrei descrivere il senso dell'emendamento 1.49, che riguarda il Fondo che noi vorremmo emendare sotto due profili. Trattandosi di una delega amplissima, il primo è quello di fare chiarezza su un punto che per noi è di una importanza capitale, quello cioè di ridurre quanto possibile il margine di discrezionalità del Governo e quindi di ampliare il margine di prevedibilità delle imprese che anno per anno devono essere in grado di produrre i loro budget.

Evidentemente, un altro tema che noi troviamo alquanto stridente è che, trattandosi di una norma che tutela il principio del pluralismo dell'informazione, è alquanto specioso che sia la maggioranza a decidere i diritti della minoranza. Pertanto, su questo presupposto, su una tutela della minoranza che deve essere scritta sulla carta, per tabulas, oggettiva, si dà il senso dei numeri che noi esprimiamo. Infatti, in assenza di una oggettiva certezza sui fondi (anzi, l'incertezza è oggettiva), le decisioni vengono rimandate di anno in anno dal Governo e si crea una difficoltà programmatoria per quanto riguarda l'attività delle imprese.

Questo è il senso dell'emendamento 1.49 e questa è la ragione per cui riteniamo essenziale che la legge, nell'ambito della delega al Governo, garantisca che una quota delle risorse disponibili venga comunque destinata alle imprese qualificate per la capacità di produrre informazione autonoma e indipendente.

PRESIDENTE. È pervenuto un foglio su cui sarò costretto a effettuare delle perizie calligrafiche rispetto alle sciocchezze che vengono scritte e consegnate al senatore Segretario.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.49, presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori, identico all'emendamento 1.314, presentato dalla senatrice Bisinella e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.51, identico all'emendamento 1.52.

MALAN (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI-PdL XVII). Signor Presidente, uno dei problemi del testo in esame riguarda la ripartizione delle somme specificate al comma 4, frutto, tra le altre cose, dell'introduzione di una nuova tassa, alla quale sono sottoposti tutti coloro che lavorano in un certo settore, a meno che siano dei colossi internazionali con fatturati multimiliardari, caso in cui vengono protetti mentre i piccoli devono pagare. Ebbene, nonostante questa tassa, non c'è nessuna garanzia che le finalità per le quali questo disegno di legge - almeno nominalmente - è fatto, ricevano una quota adeguata delle risorse che vengono raccolte.

Osservo che il titolo del disegno di legge, invece, cita la disciplina per il sostegno pubblico per il settore dell'editoria; poi, però, quando negli emendamenti si chiede di garantire almeno una certa parte all'editoria, questi vengono bocciati.

Gli emendamenti 1.51 e 1.52 chiedono che, almeno per una quota (inferiore, perché così è sempre stato) e almeno per le emittenze radiofoniche e televisive locali (sottolineo, locali), ci sia la garanzia di un certo fondo. Sono aziende in difficoltà, anche loro messe in difficoltà da Internet; c'è il rischio che vengano colpite, per via indiretta, dalla supertassa sulla raccolta pubblicitaria, dalla quale sono esentati i colossi internazionali: almeno garantiamo loro una somma, altrimenti è tutto a pura discrezionalità del Governo, quel Governo che la riforma costituzionale vuole mettere nelle mani di una sola persona senza controllo da nessuna parte. Già vi state portando avanti con il lavoro: ammazzare la piccola editoria, difendere i colossi e dare tutto il potere in mano a una sola persona. Noi non ci stiamo.

FALANGA (AL-A). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FALANGA (AL-A). Signor Presidente, a nome di tutti i componenti del mio Gruppo chiedo di sottoscrivere questi emendamenti.

PRESIDENTE. Fa piacere, perché è a mia prima firma. Non posso rifiutare, non essendo al mio posto in questo momento.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.51, presentato dal senatore Calderoli e da altri senatori, identico all'emendamento 1.52, presentato dalla senatrice Bernini e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.53, presentato dal senatore Mazzoni.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.56, presentato dalla senatrice De Petris.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.57, presentato dai senatori Bruni e Liuzzi.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.315.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, lo ritiro.

PRESIDENTE. Ne prendo atto.

L'emendamento 1.58 è stato ritirato.

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.59, presentato dal senatore Bruni e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.61, identico agli emendamenti 1.63 e 1.65.

BERNINI (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, lei ha già rilevato l'identità degli emendamenti 1.61, 1.63 e 1.65. Per quanto mi riguarda, la ratio è la stessa dell'emendamento 1.49: emarginare, per quanto possibile, la discrezionalità connaturata all'erogazione dei sussidi tratti dal fondo, soprattutto perché questa discrezionalità - non lo si dirà mai abbastanza - danneggia le imprese editoriali. Ce l'hanno detto: ognuno di noi ha avuto contatti, durante la discussione in Commissione e durante le audizioni, con gli operatori del settore, i famosi stakeholder, e tutti ci hanno segnalato la necessità di avere delle certezze, che non dipendessero da un eccesso di opacità annuale nell'erogazione dei fondi, ma rendessero loro possibile fare programmazioni pluriennali.

Il settore è in crisi - anche questo non lo diremo mai abbastanza - e dobbiamo agevolarne la ripresa, non la crisi attraverso norme eccessivamente manichee, che pregiudicano il risultato che originariamente volevano ottenere. Questo è il senso del nostro emendamento: limitare la discrezionalità e soprattutto tamponare l'eccesso di ampiezza della delega, che è una delle più grandi patologie che caratterizzano questo provvedimento: troppa poca discussione del provvedimento nelle Aule parlamentari e troppe deleghe lasciate all'attività del Governo e all'attività di normazione secondaria, anche in questo contesto. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

BARANI (AL-A). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARANI (AL-A). Signor Presidente, l'emendamento 1.65, al quale ho aggiunto la mia firma, è volto a garantire le cronache locali. I nostri giornali, l'editoria, i piccoli editori e soprattutto i cittadini hanno bisogno di avere la cronaca locale, la cronaca cittadina, la cronaca paesana; certe volte, si acquistano i giornali solo per vedere la cronaca locale, che è quella di maggior interesse da parte di chi vive una certa realtà.

Con questo emendamento noi permettiamo ai piccoli editori di poter almeno fare i bilanci. Non ci sfugge infatti che esiste una certa discrezionalità e che vengono attribuiti dei poteri discrezionali al Governo nella ripartizione del fondo. Ciò appare in contrasto sia con l'esigenza di riconoscere un diritto soggettivo agli editori, e quindi di avere una certezza sulla ripartizione dei fondi, anche programma, per fare i bilanci, sia con l'esigenza di garantire l'indipendenza dell'informazione.

Noi quindi crediamo che almeno l'80 per cento delle spese debba essere destinato alle misure a sostegno dell'editoria previste dalla legge n. 250 del 1990 (legge fatta proprio in questi giorni, il 7 agosto, e poco modificata successivamente). Noi riteniamo di poter garantire ai cittadini di avere il sostegno alla piccola editoria e di avere la possibilità, con la cronaca locale, di essere informati su cosa succede nella loro zona, nei loro paesi, nelle loro piccole comunità, per partecipare quindi ‑ noi riteniamo ‑ alla vita sociale e alla vita civica. L'Italia è fatta di tanti piccoli Comuni; sono qualche migliaio quelli sotto i 3.000 abitanti. La cronaca della piccola editoria è proprio rivolta a quei piccoli Comuni; l'informazione viene data un po' come il porta a porta in quei piccoli Comuni. Invitiamo quindi l'Assemblea a sostenere l'emendamento l'1.65, a prima firma Mazzoni, assieme agli altri emendamenti identici.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.61, presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori, identico agli emendamenti 1.63, presentato dalla senatrice Bisinella e da altri senatori, e 1.65, presentato dai senatori Mazzoni e Barani.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.316, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

BERNINI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.316, presentato dal senatore Gasparri e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 1.

(Segue la votazione).

Il Senato approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.0.1, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.0.1, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

Passiamo all'emendamento 1.0.2, su cui la 5a Commissione ha espresso parere contrario ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Ne chiediamo la votazione.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'emendamento 1.0.2, presentato dai senatori Calderoli e Comaroli.

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

GASPARRI (FI-PdL XVII). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPARRI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, dall'editoria legislativa all'editoria pratica: tra qualche minuto è prevista una importante riunione della Commissione parlamentare di vigilanza RAI, con l'audizione dei vertici della RAI - le vicende all'ordine del giorno sono note - quindi vorrei chiedere alla Presidenza di consentire ai numerosi parlamentari che fanno parte della Commissione di partecipare a questa riunione che sta per iniziare e di proseguire in altra seduta l'esame, avviato proficuamente, del provvedimento relativo all'editoria.

PRESIDENTE. Tenuto conto che siamo arrivati a pagina 72 del fascicolo degli emendamenti, quindi abbiamo svolto una buona parte del lavoro, e tenuto conto che la Presidenza aveva indicato la possibilità di tenere Commissioni o giunte quando non si fosse votato, e in questo momento, invece, si dovrebbe procedere al voto, se non vi sono contrarietà da parte dell'Aula, potrei disporre la chiusura della seduta. (BrusIo).

CRIMI (M5S). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRIMI (M5S). Signor Presidente, siamo contrari a questa richiesta per due motivi: in primo luogo perché negli ultimi giorni c'è stata un'accelerazione improvvisa nell'esame di questo provvedimento già in Commissione, lavorando anche in modalità che non sono proprio consone ad un lavoro serio di Commissione. C'è stata un'accelerazione anche questa sera nella calendarizzazione del disegno di legge sull'editoria che si vuole votare, evidentemente, prima dell'estate, per poter annunciare con un tweet che il provvedimento è stato votato.

Inoltre, non mi risulta che ogni qual volta il senatore Airola abbia chiesto una sospensione della seduta per una riunione della Commissione di vigilanza RAI, anche più importante di questa, che tale sospensione sia stata mai concessa. (Applausi dal Gruppo M5S).

Quindi ora ci chiediamo perché alla richiesta di Gasparri tutti acconsentono. Ci opponiamo a questa richiesta. Mi dispiace per i miei colleghi che fanno parte della Commissione di vigilanza RAI però in più di un'occasione è stata richiesta la stessa cosa, anche in situazioni di minore emergenza in cui c'era tempo per poter votare, e non è stato concesso. Per questo ci opponiamo. (Applausi dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. Essendoci un'opposizione, la proposta dovrà essere votata.

Metto ai voti la proposta di rinviare la discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta, avanzata dal senatore Gasparri.

È approvata.

Per la risposta scritta ad un'interrogazione

MATTESINI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTESINI (PD). Signor Presidente, vorrei sollecitare al Ministro dello sviluppo economico la risposta all'interrogazione 4-04004 del 20 maggio 2015 che riguarda una situazione molto delicata. Una cooperativa edilizia di Arezzo, La Perla, nel 2009 ha avuto un accertamento da parte della Guardia di finanza terminato con una sentenza del tribunale di Arezzo che ha condannato il Presidente della cooperativa per tentata estorsione.

Il punto è che il Ministero dello sviluppo economico ha chiesto la liquidazione della cooperativa nel 2010 e ha nominato due ispettori del Ministero che, in modo automatico, nonostante la delicatezza della situazione, prima che scadesse il termine per il deposito della relazione, hanno disposto la liquidazione coatta amministrativa della cooperativa. La situazione adesso è la seguente. Ho più volte sollecitato la mia interrogazione, anche tramite telefonate agli uffici interessati, e la cosa grave è che nel frattempo si è generata una situazione di grande differenziazione tra i soci stessi arrivando, sembra, per alcuni dei soci, a definire contratti riservati. Dunque si è creata una situazione per la quale una parte dei soci, che sono tra l'altro quelli che hanno denunciato la situazione iniziale, si trovano ad aver pagato completamente la casa per circa 300.000 euro e ora rischiano di perdere la casa stessa.

Chiedo quindi al Ministero una risposta per capire se la situazione è proprio quella descritta e per capire anche se c'è la volontà, stanti i liquidatori, di permettere a queste persone di salvare la casa che hanno interamente pagato.

Interventi su argomenti non iscritti all'ordine del giorno

ARRIGONI (LN-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARRIGONI (LN-Aut). Signor Presidente, le nuove norme che introducono la nuova carta di identità elettronica, che supera il documento unificato (carta identità elettronica e tessera sanitaria), hanno individuato ultimamente 199 Comuni pilota e si scoprono dei problemi perché i tempi di rilascio della nuova carta di identità aumentano da uno a sei giorni. I costi da 5,42 euro salgono a 22,21 euro. Il costo cresce di quattro volte per un documento che non è voluttuario, ma obbligatorio. L'apparecchiatura per prelevare le impronte digitali, cosa che la Lega ha chiesto per diversi anni, è posta nel Comune. I disabili e coloro che non si possono spostare come faranno? È questa la semplificazione del Governo Renzi? Questo è l'ennesimo aggravio per i contribuenti. Per questo ho presentato un'interrogazione parlamentare per chiedere al Ministero dell'interno e alla Ministro della pubblica amministrazione se intendono introdurre la gratuità almeno per i minori, come risolveranno il problema del prelievo delle impronte digitali per coloro che non si possono spostare da casa e, infine, di prevedere delle disposizioni per perseguire veramente gli obiettivi di semplificazione, gratuità e di riduzione dei tempi di rilascio della carta d'identità. Si va in direzione opposta rispetto agli auspici dei cittadini italiani.

PRESIDENTE. Speriamo che il progetto pilota serva per correggere la rotta.

CENTINAIO (LN-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CENTINAIO (LN-Aut). Signor Presidente, dopo un anno di lunghe trattative, la Provincia di Pavia - dove c'è un'amministrazione provinciale guidata del Partito Democratico - ha aggiudicato alla società Autoguidovie l'affidamento del servizio di trasporto pubblico locale per la Provincia stessa. Nell'affidamento si parla di 406 dipendenti. È da un anno che la Lega ricorda all'amministrazione provinciale e all'ex senatore Bosone del Partito Democratico che i dipendenti non sono 406, ma 450, oltre ad altri 40 lavoratori in subappalto. All'appello mancano 100 persone e 100 posti di lavoro. Inoltre, è scomparso il progetto riguardante l'utilizzo degli autobus a metano. Ieri il sindacato CUB, insieme alla Lega, ha protestato sotto la sede del Comune di Pavia. Grazie al Partito Democratico in Provincia di Pavia ci sono più inquinamento e meno posti di lavoro. I cittadini pavesi vi ringraziano per l'ultimo regalo del presidente Bosone. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

GRANAIOLA (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRANAIOLA (PD). Signor Presidente, con questo intervento intendo proseguire la staffetta che ci siamo proposti per denunciare la violenza sulle donne.

Oggi a Lucca è morta Vania Vannucchi, 46 anni, operatrice sociosanitaria, bruciata viva dall'ex collega con il quale aveva avuto una storia che lei aveva deciso di troncare. L'ha cosparsa di benzina e le ha dato fuoco. Si tratta di un delitto calcolato, premeditato e orrendo! A Caserta Rosaria Lentini è stata uccisa la scorsa notte a coltellate, con estrema violenza nel corso di una lite! È un altro efferato delitto. Sono oltre 60 le donne uccise in ambito affettivo dall'inizio del 2016 in Italia, oltre 180 da gennaio 2015.

Pertanto, rivolgiamo gli stessi appelli di sempre e un appello alla Ministro per le pari opportunità e a tutto il Governo: si monitorino l'applicazione, i pregi e i limiti della legge n. 119 del 2013 e, soprattutto, si dia piena e accurata attuazione al piano contro la violenza. Ci fa piacere apprendere la notizia che la ministro Elena Boschi ha deciso di convocare a settembre la cabina di regia prevista dal piano. Rivolgiamo anche un appello ai media: a volte nei comunicati si ha la percezione che, in fondo, si giustifichino gli assassini e si colpevolizzino le donne.

Con il delitto passionale o la storia della gelosia spesso si rischia di giustificare; in realtà si tratta di brutalità come alternativa alla parola, per calpestare e per rimarcare il dominio.

Un appello al Paese, uomini e donne: sono centosessanta le donne uccise ogni anno, e non possiamo più accettare questa mattanza. Non si può cedere all'assuefazione, non bisogna mollare, bensì accentuare l'indignazione e continuare a combattere, a denunciare, a pretendere che le leggi siano applicate e, se non bastano, a pretendere che siano modificate. Tutti possono e debbono giocare un ruolo per mettere la parola fine a questa lista degli orrori. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Donno).

CANDIANI (LN-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDIANI (LN-Aut). Signor Presidente, intervengo perché ormai siamo veramente giunti al colmo. Il paradosso è che neppure più i mezzi di informazione danno notizia di quanto sta accadendo nei Comuni. Ho avuto notizia e abbiamo appreso tutti dalle agenzie che è stato arrestato un estremista siriano, residente a Varese; è stato arrestato perché sospettato con prove schiaccianti di stare organizzando attività per la jihad, addirittura per andare a combattere in Siria.

Parallelamente, sono venuto a conoscenza di una cosa assurda: nel Comune di Bettona sono stati portati, senza che neppure il sindaco ne avesse conferma e notizia, ventidue richiedenti asilo, messi in una casa dichiarata inagibile dal Comune, senza neanche i permessi per poter risiedere in quell'edificio, con l'autorità comunale scavalcata. La stessa cosa avviene in Provincia di Varese, a Gazzada Schianno. Il sindaco di Saronno è costretto a prendere i propri agenti di polizia locale per far loro rincorrere i clandestini che girano per il Paese, e che nonostante siano stati respinti, non sono stati riaccompagnati nel Paese d'origine.

È una situazione di sicurezza che ci preoccupa molto, con i sindaci, che sono l'ultima tutela dei cittadini sul territorio, abbandonati a se stessi. Questa è una situazione grave, siamo in un periodo di estrema tensione sociale ed abbiamo bisogno da parte del Ministero di sicurezze e di certezze, non di questo abbandono, non dei prefetti che vanno a mettere i clandestini nei paesi tenendo all'oscuro i sindaci.

Queste sono situazioni gravi, a fronte delle quali chiediamo al Ministero dell'interno una prese di coscienza istantanea. Diversamente, diciamo ai sindaci: ribellatevi, impedite che ci sia questa occupazione e che questa invasione continui nei Comuni con il silenzio complice della stampa. No, questa situazione deve essere fermata. (Applausi del senatore Divina).

Mozioni, interpellanze e interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE. Le mozioni, interpellanze e interrogazioni pervenute alla Presidenza saranno pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ordine del giorno
per la seduta di giovedì 4 agosto 2016

PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica domani, giovedì 4 agosto, alle ore 9,30, con il seguente ordine del giorno:

(Vedi ordine del giorno)

La seduta è tolta (ore 20,08).