ROMA – Libération, il famoso quotidiano di riferimento della sinistra francese fondato nel febbraio del 1973 da Jean-Paul Sartre, diretto oggi da Dov Alfon, già redattore capo del quotidiano israeliano Haaretz e succeduto a Laurent Joffrin, e che i lettori parigini chiamano molto più semplicemente “Libé”, si è occupato ieri della vendita all’asta di uno dei volantini storici delle Brigate Rosse sul sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
Vicenda sollevata, ricordiamo, dal presidente dei Cronisti Romani, Pierluigi Franz, che è anche consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, e su questo nei giorni scorsi ha scritto un esposto denuncia al Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma, Antonio Mura, chiedendo che la vendita del volantino delle BR venisse quanto meno sospesa.
Pierluigi Franz, nel suo esposto pubblico, poneva allo stesso Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma alcuni interrogativi anche pesanti. «In proposito – sottolineava il giornalista – non sarebbe, forse, ravvisabile la violazione sia dell’art. 21 della Costituzione in tema di stampati illegali, sia dell’art. 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 – Disposizioni sulla stampa?».
Quest’ultima norma intitolata “Pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante”, si legge nella denuncia di Pierluigi Franz al Pg Antonio Mura – prevede che «le disposizioni dell’art. 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti. Peraltro la pubblicità di tale volantino, amplificata dalla possibilità di vederlo sul computer e stamparlo online moltiplicandone così la sua diffusione non può forse integrare il reato di apologia di delitti con finalità di terrorismo: banco di prova per la tenuta dei principi fondamentali dell’ordinamento penale cui fanno riferimento gli artt. 414, terzo comma, c.p., che punisce con la reclusione da uno a cinque anni “chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti” e l’art. 270 bis c.p., che prevede il reato di associazione con finalità di terrorismo».
Le reazioni che sono seguite a questa presa di posizione del presidente dei Cronisti Romani, che per altro come inviato del Corriere della Sera aveva seguito nel 1978 le fasi più delicate e angosciose del sequestro Moro, sono state di vario genere, ma non sufficienti evidentemente a bloccare l’asta in corso. Ne fa espresso riferimento nel suo reportage anche l’inviato di Libération, Eric Jozsef, attuale corrispondente del giornale parigino a Roma.
Ma torniamo a Libération. Questo il titolo del reportage dall’Italia: “Caso Moro, in Italia è controversa l’asta di un volantino delle Brigate Rosse”. Nell’occhiello, invece, si legge: «Una copia d’epoca di un documento del gruppo terroristico che rivendica il rapimento del leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro il 16 marzo 1978 sarà in vendita il 27 gennaio. Un’iniziativa che divide il Paese e interroga la memoria collettiva».
La vendita all’asta è rimasta, dunque, tutta in piedi. L’unica novità sostanziale ce la dà proprio Libération che annuncia uno spostamento di data della chiusura d’asta al prossimo 27 gennaio. Uno slittamento di quasi dieci giorni rispetto ai programmi iniziali, ma non è ancora per niente chiaro quale sia il vero motivo alla base di questa decisione. «Noi come casa d’aste – ripete il titolare Giuseppe Bertolami – facciamo semplicemente il nostro lavoro, non speculiamo su nulla. Questo è comunque un pezzo di storia italiana. Se fosse stato un pezzo di storia gloriosa, nessuno ne avrebbe parlato. Ma visto che tratta di un pezzo triste, tutti ne parlano».
L’asta sarà battuta il 27 gennaio 2022, a partire dalle ore 15, nella sede di Bertolami Fine Arts S.r.l. in Piazza Lovatelli, 1 – a Roma. Sono previste – precisa una nota ufficiale della Sala d’Aste – le seguenti modalità di partecipazione: di persona presso i locali in cui l’asta sarà battuta, telefonica, online previa registrazione sul nostro sito www.bertolamifineart.com o sui portali partner (vedi elenco sotto riportato), tramite offerta scritta fatta pervenire entro le 12 CET di giovedì 27 gennaio». Ma ancora questa mattina, sul sito della Casa d’Aste Bertolami Fineart, leggiamo testualmente le caratteristiche base della vendita all’asta: «Stima: 1.300,00/1.700,00 €; Base d’asta: 600,00 EUR; Offerta attuale: 13.000,00 EUR; Numero delle offerte pervenute: 39; titolo, MORO, Aldo (Maglie, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978); Volantino rapimento Moro, Brigate Rosse».
La Bertolami Fineart parla espressamente di un volantino originale distribuito all’indomani del rapimento di Aldo Moro, ad opera delle Brigate Rosse: «Questo fu il primo di una serie di comunicati che seguirono fino all’epilogo con la soluzione finale della vicenda Moro. Drammatico testo di propaganda, redatto e fatto pervenire alle organizzazioni giornalistiche perché divulgassero le motivazioni del rapimento, e le ragioni politiche di lotta di classe che spingevano la rivoluzione brigatista negli anni ’70 ad essere così violenta. Il volantino con intestazione Brigate Rosse e la stella a cinque punte all’interno di un cerchio, inizia recitando «giovedì 16 marzo un nucleo armato delle brigate rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, 16/3/78, firmato “Per il comunismo Brigate Rosse”.
Il volantino ciclostilato su carta, misura circa cm. 33×22, con 80 righe di testo scritte su entrambe le facciate, presenta lievi strappi ai bordi, foglio piegato in quattro che lascia leggere pieghe centrali ma in complesso è in condizioni molto buone. Misura circa cm. 33×22, lievi strappi ai bordi, pieghe centrali, in condizioni molto buone».
Nel reportage dedicato a questa vicenda Libération fa espresso riferimento alla reazione negativa della storica italiana Ilaria Moroni, autorevolissimo direttore dell’Archivio Flamigni, l’associazione costituita il 4 ottobre 2005 con lo scopo di catalogare, inventariare e rendere disponibile la vasta documentazione acquisita e conservata dal sen. Sergio Flamigni in oltre sessanta anni di lavoro politico, attività parlamentare e ricerca storica, in particolare strettamente legata al suo impegno quale membro delle Commissioni Parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, sulla P2, e sulla mafia.
– Dottoressa Moroni è stata persino interpellata dal quotidiano francese Libération…
«Come ho fatto presente a Libération, purtroppo, non è questa l’unica copia del volantino di quel giorno. Pensi che nel processo Moro di questo volantino ce ne sono 41 esemplari che sono tutti originali e identici. La prima cosa che ho fatto, quindi, è stata quella di sollecitare il Ministero della Cultura affinché predisponesse un sequestro. Se fosse un documento originale l’unico titolato ad avere il diritto di prelazione sarebbe il Ministero della Cultura. Questo, naturalmente, una volta accertato che si trattasse di un documento storico originale e una volta esperita l’asta».
– Lei sa che siamo arrivati ad un’offerta di 13 mila euro?
«Sono veramente stupita della somma a cui oggi è arrivata l’asta, 13-14 mila euro per un volantino stampato magari in mille copie. Noi in realtà non sappiamo in quante copie è stato stampato questo ciclostilato. Sicuramente ho spiegato al giornalista di Libération che la Procura, essendoci ancora un processo aperto sul Caso Moro, avrebbe potuto predisporre un sequestro, anche perché è un documento che a tutti gli effetti, essendoci un processo ancora aperto, potrebbe essere tranquillamente sequestrato dalla magistratura. Detto ciò, è ovvio che noi che conserviamo documentazione anche di privati che mettono a disposizione quello che hanno perché tutti ne possono avere libero accesso, per me è assolutamente inappropriato che si possa lucrare su un documento del genere».
– Perché dice tutto questo?
«Perché credo sia un po’ antistorico tutto questo. Soprattutto perché, tra l’altro, stiamo parlando di una delle vicende più dolorose del nostro Paese, quindi secondo me la speculazione è strettamente legata al Caso Moro. È già successo in passato che qualcuno acquistò dei volantini delle Brigate Rosse, non devo ricordarglielo io».
– Cosa si sarebbe dovuto fare allora?
«La cosa più corretta da fare, da parte del privato che l’ha dato alla Casa d’Asta, avrebbe dovuto essere consegnarlo all’Archivio di Stato o a un archivio privato, o comunque a chi conserva documenti storici per la comunità scientifica di tutto il mondo. Capisco che la Casa d’Aste fa il suo lavoro, loro ci guadagnano e ci mancherebbe altro. Sarebbe anche ridicolo, però, che il Ministero della Cultura pagasse questa cifra enorme per comprare una copia, perché di questo si tratta».
– In che senso dottoressa Moroni?
«Non dimentichi che questo volantino fu trovato in diverse scuole di Roma, ma veniva distribuito nelle cabine telefoniche, davanti ai cassonetti della spazzatura, insomma dovunque passasse gente e potesse leggerlo, e questo vuol dire che nessuno realmente sa quante copie ci sono in giro di questo documento».
– Come giudica questa vicenda?
«A Libération ho detto con estrema chiarezza che questo è puro feticismo, feticismo della storia, quando, invece, dovrebbe esserci una cultura della memoria che poi il nostro Paese cura molto. Il culto della memoria in Italia è molto sviluppato, e tutta questa vicenda stride ancora di più con la nostra migliore tradizione italiana. Pensi che il giornalista francese si stupiva per come in Italia possa ancora succedere una cosa del genere».
– Le risulta di un sopralluogo tecnico da parte del MIC alla Casa d’aste?
«Assolutamente sì. Le confermo che il Ministero della Cultura ha dato incarico ad un mio collega, Michele Di Sivo, che ha fatto un sopralluogo alla Casa d’Aste. Ho anche parlato subito dopo con lui e lui mi ha detto che anche nei volantini conservati e acquisiti dal processo Moro Uno ci sono delle piccole differenze tra un ciclostilato e l’altro. Ciò vuol dire anche che un’indagine o un’inchiesta in tal senso non è mai stata fatta, e forse andrebbe fatta».
– Differenze? Quindi potrebbero essere stati ciclostilati in varie fasi?
«Esatto. Assolutamente sì. Più che altro stampati in varie sedi diverse. Con varie stampanti diverse. Perché il testo era certamente unico per ogni documento, uscito dal covo principale nello stesso momento, ma magari lo stesso documento veniva poi stampato in luoghi diversi per depistare le indagini o per evitare che il sequestro di una stampante potesse in qualche modo pregiudicare la diffusione del documento strategico stesso. Questi dettagli sono importantissimi, fondamentali, e il perito del Ministero è andato proprio a verificare la esatta corrispondenza del documento messo in vendita. Mi ha anche detto che avrebbe fatto uno studio più attento per capire che differenze questo volantino messo in vendita avesse con gli originali acquisiti dal processo Moro».
– Lei ha ancora qualche dubbio?
«Sulla originalità del documento non esiste alcun dubbio. Siamo in presenza di un reperto originale del 1978, ma non credo che lo Stato possa per questo permettersi il lusso di spendere 13-14 mila euro per comprarlo. Sarebbe francamente un esborso enorme. Però è vero pure che quando si tratta di questo tipo di argomenti, legati a quegli anni, l’attenzione rimane alta».
– Possiamo dire che la vendita o meno è un problema di sensibilità?
«Direi meglio, un problema di etica. Qui parliamo di un documento che dovrebbe appartenere a tutti, alla storia del Paese. La cosa che, invece, più mi meraviglia è cercare di capire chi sono queste persone che spendono una cifra così enorme per un ciclostilato di questo tipo. Dico di più, è il primo volantino delle BR che rivendica l’uccisione degli agenti della scorta di Moro, e forse questo ne fa un reperto ancora più interessante».
– Si aspettava la reazione che c’è stata?
«Francamente questa levata di scudi di cui lei parla io non l’ho avvertita. Anche in questa vicenda è calato uno strano silenzio generale. Nessun partito politico e nessun leader politico è sceso in campo per parlare della vicenda. Ma neanche la Procura ha pensato di intervenire mi pare».
– Un giudizio determinato il suo, dottoressa Moroni…
«Sa cosa ho detto al giornalista di Libération? Sul Caso Moro ha agito sempre la non azione della politica, che è la stessa cosa che dice Giovanni Moro nel suo libro Anni ’70. Il non agire è essa stessa un’azione, perché tu decidi di non fare una determinata cosa che invece ti compete. Purtroppo, questo in questo nostro Paese è accaduto mille volte. La sola voce vera che si è sentita in queste ore è quella di Giovanni Ricci, il figlio dell’autista di Aldo Moro, l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci. Ha scritto sui social una reazione forte accompagnato dal figlio di Raffaele Iozzino che era uno dei poliziotti della scorta di Moro, ma non hanno avuto nessuna eco».
– L’Archivio Flamigni che lei dirige potrebbe essere interessato al volantino?
«Se non costasse così tanto ce lo saremmo comprato, ma noi siamo un archivio privato e non possiamo permetterci di pagare tutti questi soldi. Non lo farei mai, non potrei permettermelo mai». (giornalistitalia.it)
Pino Nano