Ho appreso dell’inchino al boss della statua della Madonna delle Grazie a Oppido Mamertina a Milano, dove mi trovavo per problemi di famiglia che mi hanno assorbito totalmente per diversi giorni. Questa vicenda è una ferita dolorosa per ogni credente, per ogni calabrese che ami la propria terra.
Il fatto che l’icona della Madre di Dio venga usata come atto di sudditanza e venerazione verso chi platealmente ignora le leggi divine (oltre a quelle dello Stato) e perpetra violenze e soprusi per i propri tornaconti dovrebbe far ribollire il sangue a ogni cattolico.
Il più sintetico e incisivo messaggio lasciatoci dal Cristo è: «Io sono la Via, la Verità e la Vita». La via del Cristo è fatta di carità e amore, non ammette menzogne, né ammazzamenti vari. L’unica forma di trasporto che un credente possa esperire verso chi si è macchiato di crimini contro il suo prossimo è quello della preghiera per la sua conversione e del perdono, quale spinta possibile perché cambi il cuore di chi ha commesso il male.
Fu San Giovanni Paolo II nel celebre discorso di Agrigento nel 1993, quando lanciò il famoso anatema contro i mafiosi a chiarirlo: «Che sia concordia!
Dio ha detto una volta: non uccidere!
Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione… mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!».
Parole con le quali si pongono in stretta continuità quelle pronunciate nel corso della sua recente visita a Cassano da papa Francesco: «Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati».
Dopo questa “scomunica” 200 detenuti a Larino si sono rifiutati di partecipare alla Messa, chi dice per ritorsione, chi per comprendere se debbano ormai ritenersi fuori dalla Chiesa. La Misericordia divina, come ricorda sempre lo stesso papa Bergoglio, è sempre aperta per chi abbandona con sincero pentimento la strada del male. Ma chi la continua a percorrere o la protegge o la legittima anche soltanto col proprio silenzio o con assoggettamenti di vario genere non può certo essere in comunione con Dio. Anzi è pienamente condivisibile quanto ha scritto l’Osservatore Romano sulle forme di «pervertimento religioso» assimilabili all’episodio di Oppido Mamertino, che permettono ai boss di ostentare il proprio potere strumentalizzando la Chiesa, quasi fossero benedetti dal Signore, addirittura riveriti dalla Madre Celeste nel loro operare.
Non possiamo tuttora essere certi dell’esatta dinamica alla base dell’indegno, anzi blasfemo, inchino della statua della Madonna delle Grazie. La moglie del boss direttamente coinvolto nella vicenda descrive suo marito come un uomo ormai ridotto a un vegetale, nega l’omaggio e parla di sosta “tradizionale” in un punto tuttavia lontano dalla loro abitazione. La figlia manifesta collera per gli attacchi contro la propria famiglia. Ma qui non è in gioco il rispetto dei loro sentimenti, c’è qualcosa di molto più vasto.
Se un maresciallo dei carabinieri ha deciso di abbandonare la processione dopo che i portantini hanno piegato la statua in posa riverente, rivolta verso la dimora del boss, se il procuratore Cafiero de Raho ha deciso di aprire un’inchiesta su quest’episodio, è segno che sia la coscienza civile sia quella religiosa debbano mobilitarsi e impedire con ogni mezzo artificiose benedizioni che poi istigano a quel silenzio e a quegli assoggettamenti su cui si regge la sovranità territoriale della malavita.
In questo senso sono particolarmente apprezzabili e importanti gli interventi del segretario generale della Cei, vescovo di Cassano, monsignor Nunzio Galantino e del presidente della Cec, arcivescovo di Cosenza, monsignor Salvatore Nunnari. Il primo ha richiamato la necessità di rompere il silenzio e formare le coscienze, il secondo, che a suo tempo dopo l’anatema di Giovanni Paolo II, aveva pubblicato una coraggiosissima lettera aperta-denuncia ai mafiosi, non ha esitato ad auspicare che i vescovi sospendano le processioni nel caso ci sia anche solo un’ombra di certe strumentalizzazioni “pro ’ndrangheta”.
Non si può far finta di nulla, né tollerare atteggiamenti come quello del parroco della Madonna delle Grazie di Oppido Mamertino che si è spinto a istigare i fedeli contro il collega Lucio Musolino, “reo” soltanto di essere lì a seguire la vicenda dell’inchino per Il Fatto Quotidiano.
Questo sacerdote ha chiesto ai fedeli di prenderlo a schiaffi, ma i ceffoni li meriterebbe lui. Come merita senza dubbio la sanzione della Chiesa: ha tradito il suo voto, la ragione prima della sua vocazione perché nulla avrebbe dovuto spingerlo, fra l’altro nella Casa del Signore, a simili, inaccettabili esortazioni; ha disobbedito platealmente agli insegnamenti del pontefice, alle stesse indicazioni dei vescovi calabresi come emerse nel documento di Catanzaro lo scorso aprile, quando si sottolineò l’importanza di una stampa coraggiosa per scuotere quell’omertà che purtroppo a volte coinvolge anche ministri di Dio; infine ha violato la nostra Costituzione, che tutela la libera manifestazione del pensiero nell’articolo 21, nato dall’incubo della barbarie fascista che imbavagliò l’informazione rendendola serva del regime.
È un regime anche quello che si consuma in Calabria nell’indifferenza, il regime della prepotenza, il regime delle commistioni, delle diaboliche confusioni. Quel sacerdote avrebbe preferito certo il silenzio, perché così non avrebbe dovuto spiegare il perché si è rivolto a quei portantini così ossequiosi (non della Madonna) per la processione, o perché dallo stesso pulpito dal quale ha invitato a percuotere un ottimo giornalista, non abbia mai invitato la sua comunità parrocchiale a prendere le distanze dai boss, da uomini che come ha detto papa Francesco «non sono in comunione con Dio».
Le violenza, la rabbiosa voglia di soffocare i giornalisti che non si piegano, che credono nel valore formativo della libera informazione sta dando segnali di sempre più inquietante recrudiscenza nella nostra terra e noi dell’Ora ne abbiamo vissuto personalmente gli effetti devastanti, anche dal punto di vista di quelle omertà e di quelle confusioni mendaci alle quali accennavo poc’anzi. Per questo è importante levare ancora più forte la voce, serrare le fila tra tutti i giornalisti che sperano ancora in una Calabria diversa. Mi fanno ridere (d’amarezza) coloro i quali simulano indignazione perché si parlerebbe della nostra regione solo per denunciare vicende penose come quella di Oppido Mamertina.
I mali si affrontano guardandoli in faccia, non abbiamo bisogno di illusioni o di favole, solo la realtà senza edulcorazioni può spingerci a cambiare sul serio le cose. Il resto è aria stantia, maleodorante, da sepolcri imbiancati. Il sorriso è ancora più amaro per certe prese di posizione opportunistiche come quelle di Peppe Scopelliti che si sdegna per la processione della Madonna delle Grazie e si auto-ascrive il ruolo di profeta inascoltato contro questo tipo di commistioni tra la religione e la malavita.
L’ex presidente della Regione dovrebbe ricordare che la cultura che c’è dietro all’inchino permesso e taciuto è molto simile a quella che porta un governatore della Calabria a non esternare la solidarietà a un giornale gravemente colpito dalla censura cinghialesca come ha fatto lui o quella che permette, col suo avallo, di lasciare al suo posto a presidente di Fincalabra Umberto De Rose, che minacciava al telefono ritorsioni da parte di suini inferociti se non avessimo tolto la notizia relativa al figlio del senatore Tonino Gentile, e poi addirittura di ricandidarlo ai vertici della stessa finanziaria regionale nonostante il rinvio a giudizio per violenza privata dopo l’Oragate.
Tutta la mia solidarietà e la mia ammirazione per Musolino, per tutti i colleghi che lanciano sassi nello stagno calabro con la speranza che questi sassi non precipitino nel fondo fangoso, ma continuino ad amplificare i loro cerchi ripulendo la superficie.
Luciano Regolo sul sacerdote di Oppido: “I ceffoni li meriterebbe lui, non Musolino”