REGGIO CALABRIA – “Stay Human”, (“Restiamo Umani”): poneva queste due parole in fondo a tutti i suoi scritti dalla striscia di Gaza, dove nel 2008 era tornato per documentare la storia di un’ingiustizia che ancora perdura. Due parole per esprimere un autentico invito a non dimenticare ciò che essenzialmente siamo. Un richiamo saldo e fermo alla nostra coscienza. Due parole, poste in fondo, non per chiudere, ma per aprire alla speranza di costruire un nuovo inizio, per scavare dentro, per resistere.
A scriverle era Vik, come gli amici chiamavano Vittorio Arrigoni, attivista dell’organizzazione non governativa International Solidarity Movement, giornalista e scrittore italiano ucciso a Gaza nel 2011, all’età di appena 36 anni.
I Radiodervish, quartetto italo-palestinese dedito ad un originale cantautorato mediterraneo, in concerto a Reggio Calabria nella cornice del Parco Ecolandia nell’ambito dell’Horcynus Festival, hanno ricordato Vittorio Arrigoni, intonando la canzone scritta per lui, dopo la sua morte, per ricordare la sua vita e il suo impegno per la Pace e la Giustizia.
«Passa dentro i tunnel di Rafah l’oro dei narghilè.
Vedo profughi che portano lontano il limite,
mentre dico al cuore: “Tu resta umano, presto finirà”».
Inizia così la canzone “Stay Human”, ultima traccia dell’album “Human” pubblicato dai Radiodervish nel 2013, richiamando quell’invito che oggi sovente ricorre e che fu il giovane cooperante e giornalista italiano ad aver coniato per primo.
Nel 2009, con i caratteri di Manifesto Libri, fu dato alle stampe anche il libro intitolato proprio “Gaza Restiamo Umani”, che raccoglieva i reportage da Gaza di Vittorio Arrigoni. Il volume fu tradotto in inglese, spagnolo, francese e tedesco e arabo, con postfazione dello storico israeliano Ilan Pappé.
La memoria e la guerra, la speranza e la libertà, il dolore e le ingiustizie si intrecciano profondamente nella poetica musicale dei Radiodevish, il cui viaggio musicale percorre strade che, attraversando il Mediterraneo, dall’Occidente all’Oriente, arrivano fino a Gerusalemme, Beirut, Istanbul e Gaza. Questa canzone è traccia viva di questi intrecci, di queste strade e delle storie che custodiscono.
Nabil Salameh (voce, buzuki e percussioni), Michele Lobaccaro (chitarra, basso e cori), Alessandro Pipino (tastiere, fisarmonica e cori) e Pippo Ark D’Ambrosio (percussioni), da oltre vent’anni generano musica e alimentano un’idea di cultura forte di una vocazione mediterranea e della volontà di costruire un inedito umanesimo e di contribuire, con la musica, ad un mondo libero e plurale.
In questa ottica la scelta di vita di Vittorio Arrigoni, che da giovanissimo partì per servire gli ultimi, fermandosi poi in uno dei luoghi più pericolosi della terra per documentare le ingiustizie subite da un popolo indifeso, fu per i Radiodervish di grande ispirazione.
«Apprezzavamo l’impegno e il lavoro di Vittorio, il suo stare dentro i fatti, accanto al dolore e alle persone che subivano la guerra. Ci colpiva la sua volontà di attraversare, accanto a loro, la miseria, quel varco oscuro e quel punto di non ritorno, senza oltrepassare i quali non è possibile trovarsi dentro ciò che si vuole raccontare», ha commentato il cantante Nabil Salameh, musicista di origini palestinesi, cittadino italiano dal 2007 e impegnato con i Radiodevish nella riscoperta di un Umanesimo necessario per una convivenza pacifica.
«Bisogna guardare in faccia la guerra per costruire la pace. Una lezione dolorosa ma necessaria. Essa ti fa conoscere la disperazione e il dolore di chi subisce ingiustizie, ti segna, ti cambia, ti scava dentro, ti costringe a concentrarti sull’essenza, senza lasciarti distrarre, e ad avere una coscienza critica e vigile. Ciò accade, però, solo se affronti la guerra, se la guardi. L’indifferenza, la dimenticanza e la rimozione sono il peggiore dei mali. La questione palestinese resta una ferita aperta che io continuo a vivere e a sentire, anche a distanza, e credo che uomini e donne libere del mondo debbano aderire eticamente alla causa di ogni popolo che subisca ingiustizie», ha concluso Nabil Salameh.
Vittorio Arrigoni aveva guardato in faccia la guerra e non aveva solo aderito eticamente alla causa palestinese. Lui, convinto attivista non violento e pacifista, era sceso in campo per raccontare e denunciare il massacro dei civili, le bombe sulla popolazione palestinese inerme.
Dopo un lungo viaggio interiore alla ricerca del senso della sua vita, egli aveva trovato questo senso nella lotta non violenta contro le ingiustizie, nella resistenza delle parole e della testimonianza, nel senso spiccato di uguaglianza dei diritti, patrimonio universale di ogni popolo. Di ogni popolo, nessuno escluso. Non lo spaventava quella direzione pericolosa, ostinata e contraria che era necessario seguire. Lo chiamavano Utopia, proprio per il suo irriducibile senso di giustizia.
Reporter per Il manifesto, PeaceReporter, Radio 2 (programma Caterpillar) e Radio Popolare, egli era essenzialmente un cooperante con taccuino e penna. Dopo il Perù, l’Est Europa, l’Africa, si recò in Medioriente: andò in Israele dove nel 2005 venne arrestato a Tel Aviv, imprigionato in isolamento, picchiato e poi espulso, in Cisgiordania, in Libano e infine sulla Striscia di Gaza per sostenere la soluzione dello Stato Unico unico o binazionale come strumento di risoluzione del conflitto israeliano-palestinese. Il suo attivismo, la sua dedizione alla causa palestinese lo avevano reso un testimone tanto prezioso quanto scomodo, che avrebbe potuto dire quella verità che ancora oggi si nega. Cittadino onorario palestinese, nella lista nera dello Stato di Israele, Vittorio Arrigoni fu rapito e ucciso da jihadisti salafiti, gruppo radicale palestinese, nell’aprile del 2011.
Andò incontro al suo destino su una striscia di terra che da sola incarna il male di un mondo che non si ascolta, che non vuole trovare una lingua comune che, nel rispetto delle diversità, favorisca il dialogo invece di impedirlo. I Radiodervish, con il loro stile profondamente caratterizzato dall’accurata scelta delle parole, portatrici di significato e musicalità, e di testi colti che intrecciano lingue diverse – molto italiano, perché l’esperienza ha avuto inizio in Italia, ma anche arabo, francese, spagnolo e inglese – riconoscono nel perseguimento del dialogo tra mondi diversi una direttrice fondamentale del loro lavoro musicale.
«Call my name
En la oscuridad
De los lugares de tu dolor
When the lights could be so far
You’ll find the way into your heart
Stay human, stay human
Ogni giorno c’è Guernica in Gaza»
L’intreccio linguistico e il richiamo a Guernica – cittadina spagnola che il 26 aprile 1937 fu teatro di una sanguinosa incursione aerea nella Spagna dilaniata dalla guerra civile e alla quale si ispirò Picasso per un suo celere quadro – così pregno di rimandi alla storia, alla pittura, impreziosiscono il verso della canzone. Un bombardamento come tanti altri ce ne furono nella storia che seguì. Come quelli che si abbatterono sulla Striscia di Gaza durante l’operazione Piombo Fuso, campagna militare lanciata dall’esercito israeliano contro Hamas, iniziata il 27 dicembre 2008 e protrattasi fino al gennaio 2009.
Vittorio Arrigoni era lì per documentare e raccontare sulle colonne del Manifesto sul suo blog Guerrilla Radio quegli attacchi su civili inermi. Oltre mille morti. Tra loro, centinaia di bambini. Vik era l’unico cronista sul campo, pronto a denunciare i raid israeliani e anche le minacce che venivano dalle frange dei salafiti islamici più radicali.
Irriducibile, come la sua spinta ideale, in ogni circostanza fu il suo adagio “Restiamo Umani”, un appello irrinunciabile a ritrovare il contatto con il proprio essere e la propria coscienza, lasciata a languire e a soccombere sotto la violenza, la guerra, la barbarie che sempre uccidono per primi gli innocenti.
«(…) saper vivere una vita come Etty Hillesum
condividere l’inferno con incerta umanità
e ripeto al cuore mio: “Resta umano, presto cambierà”».
Per scrivere questa canzone, le rotte dei Radiodervish sono passate anche per Amsterdam, dirette al numero 6 della Gabriel Metsustraat. Qui la giovane Etty Hillesum, vittima della Shoah e deportata ad Auschwitz dove neppure trentenne morì nel novembre del 1943, aveva iniziato a scrivere il suo diario. Una testimonianza vibrante di un altro dramma in cui quello che sarebbe stato il richiamo alla coscienza di Vittorio Arrigoni, “Restiamo Umani” già rimaneva sepolto sotto le ceneri dell’odio razziale, del delirio di onnipotenza e dell’indifferenza.
Il richiamo ad Etty, alla sua capacità di vivere camminando sull’orlo di un baratro mentre l’umanità, dimentica di sé stessa, erodeva tutto intorno, rafforza il messaggio sotteso al racconto in note della storia di Vik: le parole sono strumento di verità, pace e libertà, la memoria è esercizio di civiltà e cittadinanza, rivoluzionario può essere il gesto di scrivere un diario come un articolo per ricordare che “Restare Umani” è l’unica via possibile per la Pace. (giornalistitalia.it)
Anna Foti