TORINO – Premio al giornalista Ettore Mo, storico inviato del Corriere della Sera. Lo ha deliberato l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte per i suoi 50 anni d’iscrizione all’albo.
Mo, 87 anni, non ha potuto ritirare l’attestato, che gli è stato spedito a casa, in attesa di organizzare una cerimonia pubblica nella città in cui vive, Arona, sul lago Maggiore.
Si tratta del riconoscimento per una carriera passata a rincorrere le notizie. Ettore Mo è stato, infatti, il protagonista di un’informazione che si è andata modificando di anno in anno. Alcuni cambiamenti sono stati vere e proprie rivoluzioni.
Come? Dalle macchine per scrivere all’introduzione dei primi computer. Dalla ricerca di un telefono pubblico appeso ad un muro ai cellulari satellitari.
Ettore Mo, nato a Borgomanero, nel cuore della provincia di Novara, il 1 aprile 1932, non pensava di fare il giornalista.
All’inizio ha svolto tutti i lavori possibili ed immaginabili, anche quelli più umili, compreso il lavapiatti a Parigi (prima) e a Stoccolma (poi), barista nelle isole della Manica.
E poi bibliotecario ad Amburgo, insegnante di francese a Madrid e infermiere a Londra. Lì, casualmente, ha iniziato la sua collaborazione con il Corriere della Sera che consisteva nel telefonare e dettare gli articoli a Milano.
I primi servizi in Afghanistan con l’intervista a Ahmad Shah, un personaggio inavvicinabile ma, grazie a un giornalista del territorio, è stato possibile incontrarlo e rivolgergli delle domande.
Il giornalismo, allora, specialmente all’estero, viveva di avventura. «Un episodio – racconta Mo – difficile da dimenticare: eravamo su una macchina, io e un giornalista afghano. Dopo pochi chilometri, ci siamo trovati ad un posto di blocco. I militari hanno di forza strappato il giovane giornalista, si sono allontanati e, dopo qualche minuto, ho sentito gli spari. La motivazione? Aveva scritto particolari poco graditi a Massud. Lì ho capito che anche per me poteva essere finita. Fortunatamente non è stato così».
Complicato trasmettere le notizie e spostarsi in zone di guerra. «Una volta abbiamo barattato l’orologio con un vecchio furgone scassato. Dopo due giorni di viaggio, finalmente un telefono per trasmettere il servizio. Il caposervizio era imbufalito perché erano otto giorni che non mandavo notizie. Pensavano che fossi morto».
Per incontrare Madre Teresa di Calcutta nel suo convento in India Ettore Mo ha chiesto ripetutamente un appuntamento. La risposta era che occorreva pagare pegno: lavare i piatti e spazzare a terra per qualche giorno. Per lui, che in gioventù aveva fatto proprio quello, non rappresentava un problema. Così il Corriere della Sera ha avuto un reportage assolutamente straordinario. (giornalistitalia.it)
Riconoscimento dell’Odg Piemonte per i 50 anni d’iscrizione all’albo dello storico cronista