MILANO – Chi rappresenta davvero la Federazione nazionale della stampa? E quale “diritto” hanno i suoi dirigenti, eletti democraticamente in base alle regole elaborate in 105 anni di vita, di sottoscrivere contratti in nome e per conto dei giornalisti italiani? Queste due domande, che sono non solo legittime, ma anche molto rilevanti, sono state poste più volte, nei giorni scorsi, soprattutto da parte di chi solleva critiche al rinnovo del Cnlg firmato il 24 giugno tra Fnsi e Fieg. Proviamo, dunque, a far parlare i dati, che sono certo meno “caldi” e seducenti di slogan evocativi e retorica da demagoghi. Ma hanno il vantaggio di essere “neutri”, quindi oggettivi, e a disposizione di tutti.
Tra i circa 110 mila italiani iscritti all’Ordine dei giornalisti (meno di 29 mila professionisti, oltre 75 mila pubblicisti, il resto relativo all’elenco speciale, in base i dati al novembre 2013), quelli che hanno una posizione aperta all’Inpgi, tra gestione principale e separata, sono in tutto nemmeno 55 mila, tra contrattualizzati, collaboratori (variamente inquadrati) e pensionati. L’iscrizione all’Inpgi per chi esercita attività giornalistica a qualsiasi livello e in qualsiasi forma, com’è noto, è un obbligo di legge: poiché sarebbe calunnioso sostenere che decine di migliaia di colleghi pubblicisti siano degli evasori contributivi, bisogna dare per scontato che quasi 50 mila iscritti all’Ordine non esercitino la professione di giornalista, neppure sporadicamente, e per definizione non possano essere compresi nei calcoli di rappresentanza di un sindacato dei lavoratori giornalisti (qualunque esso sia).
Scomponendo il numero dei circa 31 mila giornalisti con posizione all’Inpgi 1, la gestione principale (al netto delle oltre 2.100 posizioni per pensioni ai superstiti), si scopre che i colleghi dipendenti (con diversi contratti: Fieg, Aeranti-Corallo e altri con obbligo di contribuzione all’Istituto di previdenza) sono 16.717 (di cui 1.499 in solidarietà), 638 sono in cassa integrazione, 1.977 ricevono il sussidio di disoccupazione, altri 5.800 sono pensionati, il resto è senza un posto di lavoro dipendente e privo di ammortizzatori sociali.
Gli iscritti alla gestione separata sono invece circa 39 mila, di cui 15.600 iscritti anche alla gestione principale, ma 8.700 colleghi hanno sospeso la loro posizione, cioè non risultano in attività: oltre il 22% del totale. Spalmando in maniera direttamente proporzionale quest’ultimo dato tra le due popolazioni di iscritti all’Inpgi 2 (chi ha la sola gestione separata e chi è iscritto anche all’Inpgi 1), i giornalisti parasubordinati (cococo) e freelance in reale attività sono in tutto poco più di 18 mila.
Consideriamo ora i dati sugli iscritti alla Fnsi, a fine 2013. Sono in tutto 21.923: 15.947 sono professionali (tutti i professionisti di definizione ordinistica e i pubblicisti inquadrati come dipendenti o che abbiano reddito da attività giornalisti superiore a 18.600 euro lordi l’anno); 5.976 sono invece collaboratori, ovvero pubblicisti propriamente detti (con altra attività prevalente) oppure con reddito da attività giornalistica inferiore a 18.600 euro lordi l’anno. Scomponendo ancora i numeri, tra i professionali 8.373 sono contrattualizzati, 3.224 sono pensionati (Inpgi o di altro ente), mentre 4.350 non hanno un contratto.
Dati certi alla mano, qual è dunque il “peso” della rappresentanza della Fnsi all’interno della categoria? Parliamo ovviamente della categoria vera, che esercita il giornalismo come propria attività e che prova a vivere (a volte, sopravvivere) con questa professione. Tra i contrattualizzati, la percentuale di rappresentanza è al 50,1%. E tra i pensionati arriva al 52%. Ma, a sorpresa per chi esprime giudizi prima di leggere le carte e spesso piega qualsiasi argomento esclusivamente ai propri obiettivi, anche tra i precari intesi in senso ampio, ovvero colleghi (professionisti o pubblicisti) iscritti all’Inpgi 1 e 2 senza un contratto, perché collaboratori oppure per aver perso un posto di lavoro, la quota di iscritti alla Fnsi raggiunge una percentuale significativa. Anche supponendo che la metà dei collaboratori aderenti al Sindacato sia un pubblicista che attualmente non esercita attività giornalistica (ma la percentuale è sicuramente inferiore), considerando quindi 3 mila iscritti collaboratori e sommandoli ai 4.350 colleghi professionali senza contratto, abbiamo un totale di 7.350 giornalisti: la percentuale di iscritti alla Fnsi risulta dunque pari al 28,3% dei circa 26 mila che hanno una posizione attiva alla sola Inpgi 2 (18 mila) oppure hanno l’Inpgi 1 ma sono attualmente senza lavoro (circa 8 mila).
Quasi un terzo dei giornalisti “precari” italiani ha insomma affidato la propria rappresentanza alla Fnsi, insieme alla metà e oltre di dipendenti e pensionati.
Tanto per avere un’idea, le norme sottoscritte dalle Confederazioni sindacali perché una sigla abbia diritto di sedere a un tavolo prevedono una soglia minima del 5%. La Cgil rappresenta in totale il 9% dei circa 30 milioni di lavoratori italiani (compresi disoccupati e atipici-precari) e il 18% dei 16,5 milioni di pensionati, la Cisl rispettivamente il 7,7% e il 12,2%, la Uil il 4,5% e il 3,5%. Esaminando per esempio i numeri di un settore particolare, quello dell’industria metalmeccanica, che conta 1,6 milioni di lavoratori, la Fiom ha una rappresentanza di quasi il 22%, la Fim di circa il 14%, la Uilm del 5,6%.
E le Federazioni che, all’interno di Cgil, Cisl e Uil, sono nate per raccogliere i 3,3 milioni di lavoratori atipici e precari italiani? Hanno percentuali decisamente lontane dal 5% necessario per essere considerate minimamente rappresentative. La Uiltem.p@, che conta più iscritti di tutti (70.528 a fine 2013), è al 2,1%. La Felsa-Cisl ne ha 43.796 (1,3%). E al 2% con 67.632 aderenti arriva la Nidil-Cgil, che pure si arroga il diritto di elaborare e diffondere analisi fortemente critiche sugli accordi sottoscritti dalla Federazione nazionale della stampa.
Daniela Stigliano
Vicesegretario nazionale Fnsi