Il ruolo del giornalista evidenziato nella sentenza pubblicata il 24 da Giornalisti Italia

Vatileaks, decisiva la testimonianza di Paolo Mieli

Paolo Mieli

Paolo Mieli

CITTA’ DEL VATICANO – Nelle motivazioni della sentenza del processo Vatileaks due i giudici vaticani sottolineano che, i fatti addebitati ai giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi “non collegandosi agli accadimenti eventualmente compiuti nello Stato e non costituendo, per se stessi, delitto, non radicano la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria dello Stato Città del Vaticano”. Inoltre, “il senso del comportamento delineato dagli imputati Fittipaldi e Nuzzi, la cui giustificabilità operativa è agganciata alla coerenza con una corretta attività giornalistica, riceve una conferma dalla deposizione resa nell’udienza del 7 maggio 2016 dal teste, il giornalista Paolo Mieli”. Questo passaggio sembra il più importante del testo (87 pagine) diffuso nel primo pomeriggio del 24 dicembre e pubblicato integralmente da Giornalisti Italia.
Nonostante l’enorme impegno della Gendarmeria Pontificia – rievocato nella sentenza – sono caduti, infatti, i reati relativi alla divulgazione dei documenti e anche l’associazione a delinquere, teorema su cui si è basato di fatto il processo concluso il sette luglio scorso col proscioglimento dei due giornalisti per difetto di giurisdizione, ma anche nel merito, e con le condanne, anche se più lievi delle richieste, per monsignor Lucio Angel Vallejo Balda (18 mesi per divulgazione di documenti riservati) a Francesca Immacolata Chaouqui (10 mesi per concorso in divulgazione di documenti con pena sospesa per cinque anni).
VaticanoIl reato di associazione criminale tra gli imputati, ipotizzato dalla pubblica accusa, è escluso poiché, nei messaggi tra Vallejo e Chaouqui “al di là dei toni a volte accattivanti e a volte aggressivi e, oltre a frequenti allusioni in un lessico difficilmente comprensibile per chi non ha parte nella abitualità della relazione comunicativa, si ha un linguaggio che si evidenzia – almeno per i non iniziati – non adatto a fornire elementi anche soltanto indiziari di una qualche consistenza”, e la loro comunicazione via mail o whatsapp “mette a fuoco, tra i medesimi imputati, una condivisione di progetti e di sogni – grandi o piccoli che fossero – ma non offre, neppure in via indiziaria alcuna solida prospettiva in un’ottica ermeneuticamente decifrabile, tanto meno di natura criminosa”.
Queste le determinazioni del collegio giudicante, presieduto dal professor Giuseppe Dalla Torre. Proprio nei giorni immediatamente precedenti a Natale, “considerato che monsignor Vallejo Balda ha già scontato oltre la metà della pena, il Santo Padre Francesco gli ha concesso il beneficio della liberazione condizionale. Si tratta di un provvedimento di clemenza che gli permette di riacquistare la libertà. La pena non è estinta, ma egli gode di libertà condizionale”.
Quanto all’ultimo imputato, Nicola Maio, collaboratore di monsignor Vallejo, i giudici vaticani hanno ritenuto che la sua posizione, in relazione ai fatti criminosi dei quali si discute, si evidenzia dagli atti di causa come sostanzialmente marginale”. (agi)

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