ROMA – Rendere pubbliche le carte che portano la firma del colonnello Stefano Giovannone, capocentro del Sismi in Libano dal 1973 al 1982 che nei giorni prima della strage di Ustica del 27 giugno 1980 avvertiva il governo italiano degli imminenti pericoli che correva il nostro Paese soprattutto per mano del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, arrecherebbe «un grave pregiudizio agli interessi della Repubblica».
È questa, riporta La Stampa, la risposta che Palazzo Chigi ha dato a Giuliana Cavazza, presidente onoraria dell’associazione “Verità per Ustica” e figlia di una delle 81 persone morte nella strage, che chiedeva copia di quei documenti.
La lettera che Palazzo Chigi ha indirizzato alla Cavazza, scrive La Stampa, «ripercorre brevemente la storia: il colonnello Giovannone oppose il segreto di Stato durante l’inchiesta sulla scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo.
Era il 1984 quando l’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, confermò il segreto di Stato e ciò impedì anche ai magistrati di visionare il dossier. Da quel momento sulle informazioni di Giovannone si è stesa una coltre impenetrabile che è durata fino al 2014. E quanto prescrive la legge: il segreto di Stato può durare al massimo trent’anni. Immediatamente dopo, però, sulle sue carte è subentrata la classifica di “segretissimo”. Significa che ora almeno i magistrati potrebbero leggere questi documenti, ma con tanti vincoli, e non è dato sapere quali procure li hanno visionati».
Subito dopo il quotidiano di Torino spiega: «Il segreto riguarda una serie di telegrammi cifrati sui rapporti occulti tra Italia e palestinesi, l’Olp, la formazione al-Fatah di Yasser Arafat, la formazione ancor più estremistica Fplp di George Habbash, altri servizi segreti arabi, i libici. Nel plico ci sono gli allarmi che Giovannone faceva rimbalzare a Roma.
L’escalation nel corso del 1979 e 1980 di minacce contro gli italiani da parte del gruppo terroristico Fplp dopo che furono sequestrati ad Ortona, in Abruzzo, alcuni missili terra-aria di fabbricazione sovietica che stavano portando attraverso l’Italia. Oppure i riferimenti al super-terrorista Carlos, sanguinario e folle, che era al soldo del Patto di Varsavia, ma anche di Gheddafi o di Saddam Hussein».
C’è, poi, un documento che “impressiona più di tutti”, scrive ancora La Stampa: «Un cablo arrivato a Roma il 27 giugno 1980, proprio il giorno in cui sarebbe precipitato il Dc9 dell’Itavia con 81persone a bordo, nel quale il colonnello del Sismi avvisava che l’Fplp dichiarava superato il Lodo Moro.
Da quel momento per il gruppo di Habbash non vigeva più l’accordo che era stato stipulato sei o sette anni prima e che garantiva di tenere fuori l’Italia da atti terroristici. In cambio, ci eravamo impegnati a favorire i palestinesi in molti modi. Soprattutto sul piano diplomatico: avremmo aiutato l’Olp ad ottenere il riconoscimento dalla Comunità economica europea. Riconoscimento che venne il 14 giugno con una famosa, all’epoca, Dichiarazione di Venezia. Presidente del Consiglio era Francesco Cossiga». E se oggi quel passaggio «è negletto – conclude il quotidiano –, occorre ricordare che per impedire la Dichiarazione di Venezia si mossero forze potenti. Saddam, Gheddafi e Assad erano come impazziti contro Sadat (che sarebbe stato assassinato l’anno dopo) e Arafat, considerati traditori della causa.
La settimana seguente, tra il 22 e il 23 giugno, Venezia ospitò anche una riunione del G7 con il presidente Carter. L’ex ambasciatore Richard Gardner nelle memorie accenna all’incubo di un attentato contro il suo presidente. Francesco Cossiga insomma fu il mattatore dell’estate ’80. Le stragi sono collegabili a quegli eventi? Le carte di Giovannone per il momento non ci aiuteranno». (adnkronos)