HONG KONG (Cina) – A Hong Kong, ex colonia britannica sempre più nell’orbita di Pechino, una giornalista è stata dichiarata colpevole in tribunale con l’accusa di aver dichiarato il falso per avere accesso ad un database online di targhe di auto durante un’inchiesta della Rthk, Radio Television Hong Kong, relativa a un attacco contro i manifestanti pro-democrazia nel corso delle proteste del 2019.
Secondo la stessa emittente, a Bao Choy è stata inflitta una multa di 6.000 dollari di Hong Kong (l’equivalente di circa 640 euro), ma ha rischiato una condanna fino a sei mesi di carcere.
Oggi, ha detto la reporter in dichiarazioni riportate dalla Rthk, «è un giorno nero per tutti i giornalisti di Hong Kong».
Il caso è relativo a “7.21: Who Owns the Truth”, episodio del documentario Hong Kong Connection, trasmesso nel luglio dello scorso anno dalla Rthk, un’inchiesta sull’attacco del 21 luglio 2019 nel distretto di Yuen Long quando un centinaio di persone si accanirono contro i manifestanti che si apprestavano a tornare a casa, in metropolitana, dopo una protesta. In decine rimasero feriti, anche una donna incinta. La polizia venne criticata, accusata di essere arrivata tardi sul posto. Secondo Hkfp, “Who Owns the Truth” è stato visto 1,5 milioni di volte su YouTube.
Stando alla Rthk, la produzione ha passato al setaccio moltissime informazioni e video di sorveglianza per individuare le persone che si ritiene abbiano preso parte agli attacchi.
Per il tribunale di West Kowloon, ha riferito Hkfp, la 37enne Bao Choy ha “dichiarato il falso” sapendo che le informazioni prese dal database sarebbero state utilizzate per l’inchiesta mentre è consentito usare i dati sulla proprietà dei veicoli per l’acquisto di mezzi, per questioni “legali” o legate ai trasporti e al traffico.
Per il documentario, stando alla Hkfp, sono state usate immagini di telecamere a circuito chiuso vicino ai negozi per identificare chi avesse preso parte agli attacchi.
Ieri alla Rthk è stato assegnato il prestigioso Kam Yiu-yu Press Freedom Award per il documentario, anche se la direzione non ha accettato il premio parlando di un periodo di “transizione”. Reporters Sans Frontières ha accusato il governo di una campagna di intimidazioni contro l’emittente.
Lo scorso febbraio, inoltre, il direttore della Rthk, Leung Ka-wing, è stato sostituito con un funzionario senza esperienza nei media e da allora, sottolinea il Washington Post rilevando come sia la prima volta che un giornalista finisce sotto accusa a Hong Kong per il lavoro di cronaca, l’emittente ha iniziato a spostarsi verso il modello dei media ufficiali cinesi.
Rientra tutto – ha commentato al giornale Antony Dapiran, avvocato e scrittore a Hong Kong – “nella continua strategia del governo sull’uso del sistema legale per mettere a tacere il dissenso”, una strategia che “ora include chiunque, anche i reporter del giornalismo investigativo, tenti di contestare la narrativa ufficiale del governo”.
Bao Choy, che era stata arrestata a novembre con l’accusa di aver violato la legge sull’accesso a un database pubblico delle immatricolazioni delle auto, dopo il verdetto si è abbassata la mascherina per asciugarsi le lacrime. Per lei, che nega ogni addebito, la sentenza rappresenta – ha riportato la Rthk – una “limitazione sproporzionata e irragionevole alla libertà di stampa”, ed è “una sentenza sul giornalismo a Hong Kong”.
«Il tribunale – ha detto la giornalista – ha stabilito che non è più consentito a Hong Kong cercare informazioni pubbliche o accedere a dati pubblici».
Per il presidente dell’Associazione dei giornalisti, Chris Yeung, la giornata di oggi «verrà ricordata e dovrà essere ricordata nella storia». Di qui, l’allarme: «A Hong Kong sta morendo la libertà di stampa».
Nel World Press Freedom Index l’ex colonia britannica, dove nel luglio dello scorso anno Pechino ha imposto la contestata legge sulla “sicurezza nazionale”, è all’80esimo posto su 180 Paesi (nel 2002 era al 18esimo posto). (adnkronos)