ROMA – Un altro grave lutto a Repubblica. È morta Marina Garbesi, storica firma della cronaca nazionale. La malattia se l’è portata via in pochi mesi e che si trattasse di una cosa grave se n’era accorta subito scrivendo ai colleghi della redazione nel luglio scorso: «Ho bisogno di voi, di tutti voi, siete la mia forza. Mancherò per un po’, devo curarmi, ho la pelle dura, non mi arrendo, tornerò presto». Purtroppo, così non è stato e, all’età di 62 anni, è morta la notte di Pasqua a Roma.
Nata a Imola, in provincia di Bologna, il 30 settembre 1958, Marina Garbesi Scheda era appena andata in pensione. Fino al 31 ottobre aveva, infatti, lavorato a Repubblica, dove era stata assunta come praticante il 1° aprile 1987. Giornalista professionista iscritta all’Ordine del Lazio dal 10 dicembre 1987, «aveva fatto parte – ricorda il collega Walter Fuochi – del nucleo storico che aveva avviato la redazione bolognese di Repubblica, assunta da Luca Savonuzzi e poi valorizzata da Antonio Ramenghi, mettendola per qualità ed accuratezza del suo lavoro in città nella condizione di poter scegliere se trasferirsi a Roma, per cambiar passo alla propria carriera. Lei andò, e fece benissimo. Ne aveva stoffa, talento, volontà. Sul lavoro era risoluta e tenace, incapace prima per carattere, poi per metodo, di fare sconti, anzitutto a se stessa».
Nella sua Imola aveva cominciato a scrivere sul settimanale “Sabato sera” occupandosi di teatro, ma approdata a “Repubblica” tirò subito fuori la sua vocazione per la cronaca, «sul campo, cercando e scavando, scarpinando e inseguendo fatti e persone, con l’ostinazione anche ruvida di cui era capace, senza sconti, e una qualità di scrittura generata da studi seri, con cui dettagliare e in qualche modo nobilitare ciò che la bruta cronaca metteva ogni giorno sui tavoli delle nostre cucine professionali.
Così – ricorda ancora Fuochi – si fece strada in città, e così entrò nel novero dei giovani cronisti promettenti che Eugenio Scalfari da Roma teneva d’occhio, per una redazione che il successo e le vendite via via ingrossavano, perché il giornale nato corsaro s’allargava in modo anche tumultuoso, infoltiva le fila con nuove assunzioni oppure con quelle promozioni che ai “provinciali” migliori prima o poi arrivavano, a cambiarne carriere e orizzonti».
«Fu così che nel 1989 Marina scese a Roma, continuò con la sua amata cronaca, prima a scriverne, fra stragi e servizi deviati, mafia e massoneria, sequestri e omicidi avvolti nel mistero: una delle firme di punta della cronaca. Ed entrò poi, per stare accanto al figlio Ludovico, nello staff direttivo della sezione, che ha orari non meno pesanti, ma almeno più prevedibili, di quelli che si praticano nei settori di prima linea dei quotidiani».
«Oggi che l’abbiamo perduta, – scrive, dal canto suo la collega Maria Novella De Luca – alla fine di una indomita resistenza per guadagnare anche un solo giorno di vita, questi nove mesi di infinite conversazioni durante i ricoveri in clinica, di pranzi al ristorante di via della Lungara e di passeggiate per Trastevere, restano il suo ultimo dono di amicizia e condivisione. Marina non aveva mai disattivato la “chat” della cronaca nazionale, formidabile contenitore di battute, perché, diceva, “leggere quello che vi scrivete mi mette allegria, mi fa sentire vicina al giornale”.
E c’è tutta la vita di Marina Garbesi a Repubblica in questa frase, “il giornale”, pensiero costante, passione, quasi ossessione di una generazione approdata a Piazza Indipendenza alla fine degli anni Ottanta e diventata adulta nell’irripetibile esperienza della “scuola” di Eugenio Scalfari. Marina è morta ieri, a 62 anni, nella quiete della sua casa romana accanto all’orto botanico, mano nella mano al padre di suo figlio».
«È stata – sottolinea De Luca – una delle più brave croniste di Repubblica»: «Tenace, determinatissima, sorretta da una scrittura alta, colta, quanto affilata nel dettaglio, Marina quando seguiva un servizio giocava per vincere. L’anonima sarda dei rapimenti che terrorizzavano la Costa Smeralda o la massoneria deviata, l’omicidio di Marta Russo o giallo di via Poma, le stragi di mafia o la camera ardente di Federico Fellini, il processo contro Vincenzo Muccioli o i misteri del mostro di Firenze, non c’è grande fatto di cronaca che non porti in quegli anni la firma di Marina Garbesi.
Poteva essere uno scoop, l’intervista a Silvia Olivetti, unica superstite di tre amiche aggredite sulla Maiella da un pastore macedone (“mi ero chiusa in un bagno dell’ospedale”, mi raccontò), il colloquio con un pentito o il racconto dell’alba nella villa del piccolo Farouk Kassam appena liberato, lei sola e il bimbo cui avevano tagliato un orecchio, Marina “portava a casa” (così diceva Ceccarini) qualcosa in più. E il “buco” per la concorrenza era probabile, anzi sicuro».
Marina – ricorda Maria Novella De Luca – «coltivava il ragionamento, lo sguardo che s’allunga dietro le cose, nei fatti cercava la trama nascosta, il risvolto oltre l’apparenza, studiava testardamente il doppiofondo opaco dei misteri d’Italia. C’è un pezzo, del 1994, “E il giornalista scomodo tacque per sempre” in cui “Garbo” riscostruisce l’omicidio di Mino Pecorelli, dipanando con un racconto esemplare la ragnatela di trame in cui si mescolavano pezzi della Dc e Tommaso Buscetta, la banda della Magliana e i servizi deviati. Bisogna rileggerlo per capire».
«Nel 1998 nasce Ludovico, il suo amore più grande. Per Ludovico detto “Ico” Marina nel 2001 fa una scelta sofferta: lascia la scrittura e passa al desk. Ico ha bisogno di lei e i ritmi di un bambino non si conciliano con la cronaca militante. Il desk è stata per lei lunga stagione non sempre fatta di giornate di sole ma di cui non si era mai pentita, in cui aveva fatto parte del Comitato di redazione, dedicandosi intensamente alle battaglie sindacali». Marina Garbesi è stata, infatti, vice segretaria dell’Associazione Stampa Romana e componente (di opposizione) della Giunta Esecutiva Fnsi.
«Dopo Luca Villoresi – ricorda, infine, un altro collega di Repubblica, Carlo Picozza – anche Marina Garbesi ci ha lasciati più soli e smarriti. È stata una Pasqua segnata dal dolore per la perdita di due amici leali e buoni, persone dolci ma con la forza e la tenacia dei giusti. Marina e Luca, sono stati grandi colleghi che ricorderò con l’amicizia, l’intesa e la complicità che hanno accompagnato il nostro rapporto». (giornalistitalia.it)
Franco Siddi: “Leale, sensibile e sempre rispettosa delle idee degli altri”
Mi spiace molto. Ha fatto parte di una mia Giunta esecutiva Fnsi con grande lealtà. Eletta da quella che era una componente dell’opposizione, non ha mai agito per impulso di schieramento.
Ha sempre voluto, anche minuziosamente, interrogarsi verificare a fondo (stessa cifra del suo essere giornalista) ogni problema, ogni progetto di soluzione, proiettando nel dibattito il suo libero convincimento finale. Senza mancare di rispetto al gruppo di elezione, ma sempre privilegiando valore del confronto, verifica degli esiti, trasparenza nelle scelte.
Una risorsa preziosa, allora, per la Fnsi e per i coordinamenti dei comitati di redazione di quello che era il Gruppo L’Espresso-Repubblica-Finegil. E al fondo una sensibilità umana anche nei momenti più delicati di un voto su un documento o un contratto, per decidere sempre secondo la propria coscienza, sempre pronta a assumerdene responsabilità e conseguenze. Il suo impegno nell’attività associativa di categoria si può dire che è stato connotato dagli stessi caratteri e dalla stessa forza della sua testimonianza e del suo impegno professionale.
La vita per lei si è interrotta troppo presto. Al figlio Ludovico, a Giommaria, padre di suo figlio, ai parenti tutti e alla sua affezionata compagnia di lavoro della redazione di Repubblica le più sentite condoglianze. (giornalistitalia.it)
Franco Siddi
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