SANAA (Yemen) – Il giornalista americano Luke Somers, rapito oltre un anno fa nello Yemen, e un altro ostaggio, l’insegnante sudafricano Pierre Korkie, sono stati uccisi dai terroristi di al-Qaeda, nel corso dell’operazione condotta dalle Forze speciali statunitensi per liberarli. La notizia è stata resa nota dal governo yemenita e confermata dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Chuck Hagel.
L’operazione, nel corso della quale sarebbero stati uccisi almeno atri dieci miliziani, è stata autorizzata dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e tentata da unità paracadutate nella regione yemenita del Wadi Abdan Al Daqqar, nel sud del paese. Testimoni riferiscono di scontri a Nusab, roccaforte di Al Qaeda nella penisola arabica.
Pierre Korkie, invece, insegnante da quattro anni nello Yemen, era stato rapito nel maggio 2003 insieme alla sua compagna, Yolande, rilasciata a gennaio scorso grazie alla mediazione della Ong Gift. “L’uomo doveva essere rilasciato domani”, afferma l’ong Gift che stava negoziando il suo rilascio.
“La mia vita è in pericolo, aiutatemi”, aveva detto Luke Somers in un drammatico appello il fotoreporter in un video pubblicato giovedì scorso dall’Aqap, il ramo yemenita-saudita di al Qaida. Immagini in cui i suoi sequestratori lanciavano un ultimatum a Barack Obama: il presidente Usa ha “tre giorni” per soddisfare le richieste del gruppo, poi Somers “conoscerà il suo destino inevitabile”.
L’appello di Somers, nato in Gran Bretagna e poi divenuto cittadino Usa, era preceduto dalle dichiarazioni di Nasser bin Ali al-Ansi, un comandante locale dell’Aqap, che attaccava gli Usa per i “crimini contro i musulmani” commessi “con i suoi aerei e i suoi droni” in Somalia, Yemen, Iraq, Siria fino in Sinai e Pakistan. Ed è stato proprio un raid oggi, in cui sono rimasti rimasti uccisi anche 10 sospetti membri di al Qaida, a mettere fine drammaticamente alla vicenda.
Solo ieri il disperato appello della famiglia ai rapitori: “Abbiamo notato che avete avuto buona cura di Luke e lui sembra essere in buona salute. Vi ringraziamo per questo”, diceva la mamma chiedendo di “mostrare pietà: per favore, permetteteci di vederlo ancora. E’ tutto ciò che abbiamo”, le sue accorate parole. Mentre il fratello di Luke spiegava: “E’ solo un fotoreporter, non è responsabile per nessuna delle azioni intraprese dal governo Usa”. La famiglia assicurava di non sapere dei tentativi per liberarlo. Perché oltre a quello finito tragicamente stanotte – in cui sarebbe morto anche un altro ostaggio straniero, l’insegnante sudafricano Pierre Korkie – ce ne era stato almeno un altro, fallito, il 25 novembre, che aveva fatto infuriare i leader di Aqap.
Il ministero della Difesa di Sanaa aveva poco prima annunciato sul proprio sito web che Somers era stato liberato, mentre la stampa americana affermava che l’uomo ucciso. La conferma dell’uccisione dei due ostaggi è stata data dal segretario alla Difesa Usa, Chuck Hagel, durante la sua visita a Kabul, spiegando che il raid è stato effettuato perché la vita del reporter statunitense sembrava in “imminente pericolo”. Entrambi i prigionieri erano nelle mani dei terroristi da oltre un anno.
Hagel ha anche sottolineato la “devastazione emozionale e psicologica della moglie di Korkie, Yolande, anche lei sequestrata insieme al marito a maggio 2013 ma poi rilasciata, dal momento che le erano state date garanzie che suo marito sarebbe stato rilasciato a breve.
Il presidente Usa, Barack Obama, nel condannare il “barbaro assassinio” di Luke Somers, spiega che “all’inizio della settimana un video dei terroristi annunciava che Luke Somers sarebbe stato ucciso nel giro di 72 ore e altre indicazioni davano la sua vita in imminente pericolo. Basandomi su queste informazioni – sostiene – ho autorizzato ieri un’operazione di salvataggio”.
“Queste operazioni – ha detto ancora Obama – dimostrano che gli Usa non risparmiano sforzi nell’utilizzare tutta la oro forza militare, l’intelligence e le capacità diplomatiche per riportare a casa in sicurezza i suoi cittadini, ovunque si trovino. I terroristi che cercano di danneggiare i nostri connazionali se la dovranno vedere con la giustizia americana”.
Il fotoreporter vittima della rappresaglia di al-Qaeda al blitz autorizzato da Obama