L’Authority della Calabria sul caso di un undicenne figlio di uno ‘ndranghetista

Tutela dei minori: il Garante richiama i giornalisti

Marilina Intrieri

Marilina Intrieri

REGGIO CALABRIA – È indirizzata ai vertici della Regione Calabria, alla Direzione antimafia, all’Ordine dei giornalisti, alla Federazione nazionale della stampa italiana e alla Federazione degli editori, la nota diramata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Calabria, avente per oggetto la “diffusione di notizie a mezzo stampa e web su minore di 11 anni, figlio di collaboratrice di giustizia e di un esponente di ‘ndrangheta. Violazione dei suoi diritti e grave esposizione a rischio dell’incolumità psicofisica del minore predetto”.
Un richiamo dell’Authority al rispetto dell’etica e delle carte deontologiche del giornalista in materia di tutela dei minori, con riferimento al caso specifico, che riportiamo integralmente:

In ordine alla proliferazione di notizie concernenti la vicenda di un minore, figlio di una collaboratrice di giustizia e di un esponente della ‘ndrangheta, che ha fornito alla magistratura importanti informazioni sulle attività illecite in cui il padre ed altri appartenenti alla criminalità organizzata sono coinvolti, che in questi giorni sono comparse sulle pagine dei giornali e su un portale di informazioni, nonché in ordine al dibattito che è seguito a detta diffusione di notizie, si evidenzia quanto segue:
– Molte delle notizie riportate non rivestono carattere di essenzialità e enfatizzano un sensazionalismo che non appare strumentale alla realizzazione dell’interesse del minore.
– Sul portale web dagospia del 28 settembre 2015 alle ore 13.02 è apparso un articolo a firma di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti per la Repubblica dal titolo “Nella piana di Gioia Tauro c’è un bambino di 11 anni che fa tremare mafiosi e potenti”, al quale sono abbinate immagini di repertorio particolarmente forti che mostrano minori in atti di aggressività (volto incappucciato, pistole in mano, aria minacciosa etc.) non solo idonee ad essere emulate, ma di certo non rispettose della dignità e della tutela del minore coinvolto nella vicenda giudiziaria in corso.
– Una lettura d’insieme delle notizie fornisce una serie di particolari che consentono di identificare il minore (nome e cognome del padre), a scapito della sua sicurezza e di quella dei fratelli e della madre, ora collaboratrice di giustizia.
– La diffusione, quasi ossessiva, di tali notizie accentua l’attenzione sull’evento impedendo al minore di intraprendere, in totale anonimato, silenzio e diritto all’oblio, il difficile percorso che lo attende. In tal modo non si fa altro che fomentare dibattiti e reazioni ad uso e consumo del mercato dell’informazione, senza tener conto delle delicate e fondamentali esigenze del minore coinvolto nella vicenda e dei suoi familiari.
– Tutto ciò appare utile solo a prestare il fianco a strumentalizzazioni finalizzate a sollevare querelles sulle scelte giudiziarie, dimenticando peraltro che il luogo in cui si svolge la drammatica vicenda è uno dei più sensibili ed attenti alla relazione giustizia-rispetto della personalità del minore. Di questa documentata sensibilità nessuna testata giornalistica fa doverosa menzione, nonostante sin dal 2013 il Distretto della Corte d’Appello di Reggio Calabria abbia siglato un protocollo d’intesa volto a concordare le modalità operative che gli Uffici giudiziari del distretto di Corte d’Appello sono chiamati ad attuare nel caso, tra gli altri, dei cc.dd. minori di mafia e dei nuclei familiari sottoposti a misure di protezione.
– Il protocollo è prova della puntuale attuazione di una giustizia child friendly, attenta anche alla tutela psicologica del minore e protesa alla riduzione, o attenuazione, di ogni danno che il minore possa patire nelle ipotesi in cui sia coinvolto in un procedimento giudiziario.
– La diffusione delle notizie, ed il tenore con cui esse vengono riportate, non solo lede gli interessi del minore coinvolto, esponendolo al rischio di gravi e pericolose ritorsioni da parte della criminalità organizzata, ma offre un quadro dello stesso lesivo della sua immagine, descrivendolo come “educato alla mafia, abituato a maneggiare pistole sin da quando era piccolo piccolo, sa bene cos’è la droga e come si chiede il pizzo”, con ciò rischiando di ostacolare quell’azione di rieducazione e reinserimento che faticosamente le Autorità impegnate in questa complessa azione di recupero sociale tentano di realizzare. Si deve rammentare, infatti, che il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che da più tempo ha avviato la difficile battaglia della rieducazione dei figli delle famiglie di mafia, si pone come obiettivo quello di donare un futuro diverso a ragazzi altrimenti destinati alla violenza e alla sopraffazione, all’uccidere o all’essere uccisi.
E questa battaglia non può essere compromessa da un giornalismo che, pur di saziare il consumo dell’informazione, non esita a conferire uno stigma sociale forte e indelebile ad un bambino di soli 11 anni che si sta misurando con una prova durissima, sotto il profilo psicologico, affettivo, relazionale e personale: la trasformazione della sua giovane esistenza, già segnata dalla crudeltà e dalla brutalità dei codici che la criminalità organizzata non risparmia neppure ai bambini.

CONSIDERATO

– che l’art. 3 della suddetta Carta dispone che debba essere “… evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare all’identificazione del soggetto minore d’età, quali le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati…”;
– che l’articolo 21 della Costituzione repubblicana sancisce la libertà di stampa;
– che la legge professionale n. 69/1963 riconosce la libertà di informazione dei giornalisti, ma ad essa appone il limite della tutela della personalità altrui;
– che, quindi, pur essendo i diritti di libertà d’informazione e di critica diritti insopprimibili, essi non possono travalicare il limite del rispetto della persona umana;
– che, all’uopo, nella Carta di Treviso l’Ordine dei Giornalisti esplicita che l’informazione deve ispirarsi al principio secondo cui: “il valore supremo dell’esperienza statuale e comunitaria è la persona umana con i suoi inviolabili diritti che devono essere non solo garantiti, ma anche sviluppati, aiutando ogni essere umano a superare quelle condizioni negative che impediscono di fatto il pieno esplicarsi della propria personalità”;
– che la medesima Carta di Treviso, in punto di disciplina dei rapporti tra dovere di cronaca e tutela minorile impone al giornalista di non pubblicare elementi che, anche indirettamente, possano condurre all’identificazione dei minori coinvolti in casi di cronaca ed impone il dovere di evitare possibili strumentalizzazioni da parte degli adulti del fatto di cronaca. Prescrive, inoltre, di valutare se la diffusione della notizia
relativa al minore giovi effettivamente all’interesse del minore stesso;
– che l’art. 3 della suddetta Carta dispone che debba essere “… evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare all’identificazione del soggetto minore d’età, quali le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati…”;
– che l’articolo 7 del “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica recita “al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”;
– che la Legge 122/2004 inoltre sancisce che è “vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni;
– che la Corte costituzionale ha vincolato i giornalisti (sent. n. 112/1993), tra l’altro, al rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori;
– che la Convenzione di New York sancisce il divieto di interferenze arbitrarie nella vita dei minori;
– le disposizioni che tutelano la riservatezza dei minori si fondano sul presupposto che la rappresentazione dei loro fatti di vita possa arrecare danno alla loro personalità;
– che nel bilanciamento dei valori rappresentati dal diritto di cronaca e dalla tutela minorile, intesa quale tutela della dignità e dell’integrità psico-fisica del minore, “il principio costituzionale della tutela della dignità della persona prevale sul diritto ‘insopprimibile’ di cronaca”, come rilevato nel 2007 dal medesimo consiglio dell’ordine dei giornalisti;
– che la notizia è stata diffusa senza mettere in atto tutte le doverose garanzie di tutela verso il minore, nonostante l’Autorità Giudiziaria abbia proceduto attivando ogni presidio utile, sia nella modalità di raccolta delle dichiarazioni rese dal bambino, sia nell’attivare immediatamente il programma di protezione a tutela della madre e degli altri figli;
– che simili modalità di divulgazione della notizia minacciano gravemente la riuscita dell’azione giudiziaria, finalizzata a proteggere il minore dall’esposizione quotidiana e costante a sollecitazioni alla violenza ed alla sopraffazione, nonché al ripristino del suo diritto a ricevere un’educazione improntata ai valori della legalità, solidarietà e dignità umana perché possa – come chiede la Convenzione di New York – integrarsi nella comunità sociale e coltivare un sogno di futuro degno di essere perseguito;
– che deve rammentarsi sul punto, infatti – anche ai professionisti dell’informazione, dell’editoria e della stampa – che, già da qualche anno, i magistrati del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria hanno dato avvio ad un nuova e pregevole interpretazione dell’art. 330 c.c., a mente del quale si perviene alla declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale nelle ipotesi in cui si accerti che il genitore o i genitori appartenenti alla criminalità organizzata educhino i figli all’adesione cieca e acritica ai disvalori su cui la ‘ndrangheta si regge: sopraffazione, vendetta, violenza, negazione dello Stato in favore del riconoscimento esclusivo delle leggi del clan;
– che i provvedimenti di allontanamento dalla famiglia d’origine disposti dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria – tra i quali rientra anche quello riguardante il minore coinvolto nella vicenda in esame – sono importanti strumenti di tutela minorile, il cui scopo è da rintracciarsi nel tentativo di proteggere i bambini dai danni, già accertati ed emersi in sede processuale, scaturenti dalla cultura mafiosa dell’ambiente di appartenenza;
– che non è accettabile che la cattiva gestione delle informazioni e l’assenza di doverose cautele nella diffusione delle notizie intralci percorsi di tal fatta, specie se si osservi che i primi esiti del nuovo corso inaugurato dai giudici reggini sono decisamente confortanti: alcuni dei minori allontanati hanno intrapreso percorsi professionali lontani dall’ambiente mafioso di provenienza e hanno risposto con successo all’offerta di emancipazione e libertà che è arrivata dallo Stato;
– che l’ordinamento, nel bilanciamento degli interessi minorili, tra il diritto del fanciullo a crescere nella propria famiglia nella quale è stato violato il dovere genitoriale di trasmissione dei valori individuati nel preambolo della Convenzione di New York del 1989, attraverso l’indottrinamento mafioso, e il diritto ad una educazione scevra da assoggettamenti alla criminalità mafiosa – a cui hanno diritto tutti i fanciulli per avere la stessa possibilità degli altri ad una vita normale – nel superiore interesse del minore, ha fatto prevalere quest’ultimo;

per quanto sopra esposto si

SEGNALA

a) L’eco suscitata dalla notizia rischia di incidere negativamente sulla crescita psicofisica (già provata dalla situazione familiare e dagli eventi), sulla sicurezza e sul diritto alla vita del minore, nonché sulla riuscita dell’intervento complesso messo in atto alle Istituzioni a tutela del minore e del suo nucleo;
b) La violazione del diritto alla privacy del minore, della madre e dei suoi fratellini più piccoli;
c) La violazione delle norme concernenti i minori coinvolti in fatti di cronaca;
d) La strumentalizzazione della notizia, ma, soprattutto, il forte rischio a cui si espone il minore qualora dette attività dovessero continuare.

INVITA

Per il bene e la sicurezza psico-fisica del minore coinvolto, le Autorità in indirizzo, ciascuna per le proprie competenze, ad assumere ogni atto necessario o semplicemente utile alla tutela della minore volto a far cessare la diffusione di notizie contrastanti con il suo interesse; invita altresì stampa, provider ed ogni altro soggetto che risulti anche indirettamente o potenzialmente coinvolto nella vicenda, a far cessare ed astenersi da ulteriori atti di divulgazione della notizia o dal compiere atti di strumentalizzazione tramite il clamore suscitato dal fatto di cronaca.

On. Marilina Intrieri
Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Calabria

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