ISTANBUL (Turchia) – Dopo che i brand britannici dell’abbigliamento, Marks&Spencer e Asos, sono finiti al centro delle polemiche a causa di un’inchiesta della Bbc, che ha svelato che minori siriani sono impiegati nella fase di produzione dei capi di vestiario nelle fabbriche in Turchia, è arrivata la reazione piccata delle autorità turche.
Il presidente della Camera degli esportatori di capi di abbigliamento della Turchia (Ihkb), Hikmet Tanriverdi, ha infatti definito le immagini mandate in onda dalla Bbc “una manipolazione”, con i minori filmati “di nascosto”.
“Condanniamo con forza questa forma di giornalismo, e smentisco che i brand menzionati siano coinvolti”, ha detto Tanriverdi, prima di aggiungere che, vero fine dell’inchiesta è quello di “infangare l’industria tessile turca”.
Tanriverdi ha poi definito “traditori”, coloro che impiegano minori nei laboratori tessili, confermando che sia i brand stranieri, sia le autorità turche, applicano controlli stretti nelle fabbriche, per far rispettare il divieto di lavoro minorile vigente nel Paese, per poi invitare chiunque sappia dell’impiego di bambini, a darne notizia alle autorità competenti. “Invitiamo i rappresentanti della Bbc a visitare, a una a una, le fabbriche del Paese, scelgano loro i tempi. Se trovano anche solo un minore ne affronteremo le conseguenze”.
La protesta è stata portata avanti anche da Abdurrahman Bilgic, ambasciatore turco a Londra, che ha scritto alla direzione della Bbc, ricordando le riforme in ambito del mercato del lavoro effettuate nel Paese e ricordando “il divieto assoluto” di lavoro minorile vigente in Turchia, in armonia con le norme derivanti da convenzioni internazionali.
In base all’inchiesta di Bbc Panorama, le condizioni di lavoro di ragazzini e bambini con meno di 15 anni, prevedono turni di lavoro di anche 12 ore e paghe ridottissime, in pratica uno sfruttamento in piena regola, con l’utilizzo di coloranti chimici senza l’utilizzo di adeguate protezioni.
Secondo quanto poi aggiunto dai media turchi, l’inchiesta della Bbc coinvolgerebbe anche marchi come Zara e Mango. (Agi)