ANKARA (Turchia) – Gridare in una manifestazione di protesta “Erdogan dittatore!” in Turchia costa 14 mesi di carcere: un “prezzo” ora sancito dalla Corte Suprema di Ankara, che conferma la condanna inflitta ad uno studente di 23 anni che aveva scandito questo slogan nell’estate 2012 insieme ad altre decine di migliaia di ragazzi durante le grandi proteste di Gezi Park.
Aykutalp Avsar, uno studente di ingegneria di Kayseri, è finito in manette venerdì. Questo mentre dagli Usa arriva un nuovo allarme per il degrado della situazione della democrazia nel paese della mezzaluna. Sotto la guida del presidente islamico Recep Tayyip Erdogan, avverte in un editoriale il New York Times, la Turchia è diventata un paese “sempre più autoritario” e si allontana dai valori della Nato.
Per l’autorevole quotidiano Usa, “l’impegno della Turchia verso l’Alleanza Atlantica non è mai sembrato così ambivalente”: “è chiaro che si allontana da un’alleanza il cui trattato afferma che è fondata sui principi della democrazia”.
La linea ambigua di Erdogan sulla lotta ai terroristi islamici dell’Isis, che Ankara è accusata di avere aiutato con l’ossessione di fare cadere Bashar al-Assad, alimenta la sfiducia americana. Finora Ankara è rimasta ai margini della coalizione anti-isis, e secondo il capo dell’intelligence Usa, James Calpper, “ha altre priorità e altri interessi”.
Una riluttanza, per il Nyt, dovuta anche al fatto che il governo Erdogan, in un paese sunnita, è caratterizzato da “un conservativismo religioso non favorevole a un attacco contro un gruppo sunnita, per quanto crudele sia”.
Da dicembre, intanto, non passa giorno senza che si abbia notizia di arresti o incriminazioni per presunte “offese” a Erdogan. Capo dello Stato da agosto, il “sultano” ha rispolverato una legge mai usata dai suoi predecessori che prevede fino a 4 anni di carcere per chi “offenda” il presidente.
Decine di giornalisti, intellettuali, studenti, anche quattordicenni, e perfino una ex-miss turchia sono stati incriminati per tweet, dichiarazioni, slogan o striscioni critici con il presidente.
L’opposizione, il cui leader Kemal Kilicdaroglu – ma ha l’immunità – lo ha chiamato pure lui “dittatore”, lo accusa di imprimere una stretta autoritaria e islamica al paese. E di usare la norma sulle “offese” per intimidire e mettere a tacere ogni voce critica prima delle cruciali politiche di giugno.
Erdogan ha lanciato appelli agli elettori perché diano al suo partito islamico Akp una maggioranza assoluta sufficiente per cambiare la costituzione e istituire un regime super-presidenziale forte, che concentri nelle sue mani praticamente tutti i poteri. ma i sondaggi danno al Akp per ora meno del 40%, contro il 50% delle politiche del 2011.
Una situazione che suscita nervosismo nel partito islamico, mentre l’opposizione lancia già l’allarme brogli. “Gli elettori facciano la guardia alle urne in tutto il paese” ha esortato oggi il notista di Hurriyet, Yalcin Dogan, citando l’esempio del distretto rurale di Viransehir: qui nel 2010 tutti i 10mila elettori – non ne è mancato uno solo – sono risultati avere votato, e tutti senza eccezione per l’Akp. (Ansa)
Il New York Times denuncia con preoccupazione: “Paese sempre più autoritario”