ROMA – Riforma parlamentare in vista per l’Inpgi e gli altri enti previdenziali privatizzati con la riduzione degli organi collegiali direttivi, l’eliminazione di interessi clientelari legati alle singole categorie professionali e la riduzione drastica dei costi di gestione per il mantenimento di tali organismi. Lo prevede una Risoluzione alla Camera dei deputati presentata in XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) da Titti Di Salvo ed altri 19 parlamentari del Partito Democratico (Marialuisa Gnecchi, Luisella Albanella, Davide Baruffi, Antonio Boccuzzi, Floriana Casellato, Antonio Cuomo, Cesare Damiano, Anna Giacobbe, Chiara Gribaudo, Antonella Incerti, Patrizia Maestri, Marco Miccoli, Valentina Paris, Giorgio Piccolo, Gessica Rostellato, Alessia Rotta, Elisa Simoni, Irene Tinagli e Giuseppe Zappulla).
Con la risoluzione, i deputati del Pd impegnano il Governo “ad assumere un’iniziativa normativa per la redazione di un testo unificato per il settore degli enti di previdenza privata, al fine di procedere ad una revisione e aggiornamento della legislazione in materia di enti previdenziali privati, che assorba le disposizioni di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996 e le altre norme relative al settore contenute in provvedimenti diversi, al fine di superare le incertezze normative prodottisi dalla stratificazione normativa intervenuta negli ultimi anni; a riaffermare in tale iniziativa la natura di enti privati delle casse professionali, in continuità con le scelte assunte dal legislatore a partire dagli anni Novanta, chiarendo definitivamente che tali enti, per status giuridico e regole di operatività, sono soggetti al regime privatistico, prevedendo la non inclusione delle casse private nell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni e l’applicazione delle regole pubblicistiche che tale inclusione determina e ribadendo il principio che gli enti privatizzati non devono usufruire di finanziamenti pubblici o di altri aiuti di carattere finanziario provenienti dal settore pubblico; a riaffermare nel contempo, che l’esercizio della funzione previdenziale costituisce interesse pubblico rilevante ai sensi dell’articolo n. 38 della Costituzione e che l’attività svolta da tali enti, in quanto concernente i lavoratori appartenenti al settore delle professioni, richiede necessariamente l’esistenza di una serie di controlli e obblighi di natura pubblicistica, finalizzati a garantire la solidità e la trasparenza finanziaria degli stessi enti, onde salvaguardare pienamente i diritti degli iscritti alla percezione delle prestazioni previdenziali”.
In particolare, per quanto riguarda i controlli pubblici, i venti deputati chiedono al Governo di “assumere iniziative per provvedere ad una loro razionalizzazione e semplificazione, finalizzata al rafforzamento degli stessi, in termini di efficienza, pervasività e tempestività facendo sì che i controlli siano affidati ad un unico organismo specializzato, in possesso di elevate competenze di carattere finanziario e che tale organo di vigilanza e controllo si occupi sia delle attività di carattere regolatorio, per quanto concerne il controllo dei principali atti organizzativi, sia delle funzioni ispettive e di vigilanza sulle attività svolte, compresa la possibilità di acquisizione di documenti e di informazioni relative all’attività, sia dell’irrogazione, con tempestività ed efficienza, di eventuali sanzioni in caso di inadempienze accertate”.
La risoluzione impegna, quindi, il Governo “ad assumere iniziative volte a prevedere che con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze siano dettati i criteri di carattere generale ed i limiti qualitativi e quantitativi per la tipologia degli investimenti da parte degli enti previdenziali privati, al fine di garantire la solidità economico-finanziaria degli investimenti e l’equilibrio di gestione degli enti stessi; a favorire l’ulteriore razionalizzazione del settore, promuovendo un processo di accorpamento delle casse, già previsto dal decreto legislativo n. 103 del 1996 e dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 e rendendo il loro numero molto più contenuto rispetto all’attuale, considerando che tale processo presenterebbe numerosi aspetti positivi:
a) la costituzione di una massa patrimoniale di notevoli dimensioni, la cui gestione potrebbe avvenire non solo in maniera più trasparente e controllata, ma anche più conveniente sotto il profilo delle economie di scala;
b) la possibilità di disporre in modo sinergico di risorse necessarie e di strumentazione, anche informatici, per la gestione amministrativa degli enti;
c) la riduzione degli organi collegiali direttivi, con l’eliminazione di interessi clientelari legati alle singole categorie professionali e la riduzione drastica dei costi di gestione per il mantenimento di tali organismi;
d) una maggiore rappresentatività, anche istituzionale, che pochi enti, di grandi dimensioni, potrebbero assumere;
e) la possibilità di svolgere controlli in numero maggiore e più penetranti su pochi enti previdenziali privati, garantendo in tal modo il riscontro più efficace della solidità finanziaria degli enti;
f) il mantenimento delle regole specifiche per ciascun ordine professionale per quanto riguarda la contribuzione e l’entità delle prestazioni erogate”.
Il Governo è, inoltre, impegnato “ad assumere iniziative per prevedere, attesa la rilevanza e l’entità dell’attivo patrimoniale che tali enti gestiscono ed investono sul mercato mobiliare e immobiliare, e l’importanza che per l’economia italiana assume un impiego di tali risorse qualora gli investimenti siano effettuati a favore di istituzioni finanziarie o immobiliari o del territorio nazionale, la definizione di forme innovative per l’impiego, sia in ambito mobiliare che immobiliare, da realizzare su base volontaria e a condizione della remuneratività degli investimenti, attraverso strumenti normativi di incentivazione ovvero esenzioni fiscali, crediti d’imposta o agevolazioni fiscali, di pare dei patrimoni finanziari degli enti; ad assumere iniziative per prevedere che tali misure possano essere applicate per investimenti a sostegno di iniziative finalizzate allo sviluppo dell’economia reale concordate con il settore pubblico, eventualmente assistite dalla garanzia dello Stato, ovvero per la gestione o acquisizione di immobili che contemperino la redditività degli investimenti con il perseguimento di finalità sociali (quali l’housing sociale); ad assumere iniziative per sviluppare ulteriormente le forme di forme di previdenza complementare, con l’obbligo della gestione separata, e forme di tutela sanitaria integrativa, nel rispetto degli equilibri finanziari di ogni singola gestione, da parte degli enti previdenziali privati”.
Il quadro generale del settore degli enti di previdenza privata italiana
ROMA – Il settore degli enti di previdenza privata italiana è stato oggetto di una complessiva rivisitazione normativa nel corso degli anni Novanta; segnatamente, con i decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, gli enti pubblici dediti all’erogazione di prestazioni di previdenza obbligatoria per le categorie di lavoratori appartenenti a categorie professionali disciplinate da ordini e albi, operanti nelle diverse aree economico-sociale, (ad esempio Enpaci, Inpgi, Cnpadc, Cnpr), giuridica (ad esempio Cnn, Cf), sanitaria (ad esempio Enpam, Enpap, Enpapi, Enpav) e delle professioni tecniche (ad esempio Cipag, Eppi, Enpab, Epap, Inarcassa, Enpaia), sono stati trasformati, dal 1o gennaio 1995 e costituiti a partire dal 1996 in enti di diritto privato, senza scopo di lucro, aventi personalità giuridica, nella forma di associazioni o fondazioni;
in particolare, in forza del decreto legislativo n. 509 del 1994 sono state «privatizzate»: la Cassa nazionale del notariato (Cnn); la Cassa italiana di previdenza e assistenza geometri liberi professionisti (Cipag); la Cassa forense (Cf); la Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti (Cnpadc); la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri ed architetti liberi professionisti (Inarcassa); la Cassa nazionale di previdenza a favore dei ragionieri e dei periti commerciali (Cnpr); l’Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (Enasarco); l’Ente nazionale di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro (Enpacl); l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei farmacisti, (Enpaf); l’Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell’agricoltura (Enpaia); l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (Enpam); l’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei veterinari (Enpav); il Fondo agenti spedizionieri e corrieri (Fasc); l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), l’Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (Onaosi); successivamente, in forza di quanto disposto dal decreto legislativo n. 103 del 1996, sono stati costituiti direttamente come enti privati: l’Ente nazionale di previdenza dei periti industriali e dei periti industriali laureati (Eppi); l’Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei Biologi (Enpab); l’Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli psicologi (Enpap); l’Ente nazionale di previdenza e assistenza pluricategoriale (Epap);
da un punto di vista delle prestazioni erogate, il settore è costituito essenzialmente da enti che erogano trattamenti previdenziali obbligatori, in forma sostitutiva rispetto alla previdenza pubblica; fa eccezione l’Enasarco, che eroga prestazioni aventi natura di previdenza complementare e l’Onaosi, che eroga prestazioni di natura assistenziale;
la scelta di politica previdenziale, compiuta dal Parlamento e dal Governo di privatizzare le casse dei professionisti è stata meditata e giustificata da una serie di motivazioni importanti, che mantengono la loro validità. Tra queste si segnalano:
a) in primo luogo, l’esigenza di promuovere un processo di responsabilizzazione di tali enti, secondo un principio di sussidiarietà, per il quale lo Stato ha scelto di affidare il primo pilastro previdenziale direttamente alle categorie professionali, ricevendo in cambio garanzie di una gestione finanziaria equa e soprattutto sostenibile;
b) in secondo luogo, l’intenzione di innescare in tal modo un circolo virtuoso per sgravare la collettività e la finanza pubblica dai rilevanti costi finanziari che il mantenimento della situazione pubblicistica, fino ad allora esistente, avrebbe comportato, soprattutto nel quadro dei vincoli posti dalla crisi della finanza pubblica, che ha interessato il Paese negli ultimi anni, anche alla luce dei vincoli posti dall’Unione europea; l’esigenza finanziaria alla base della privatizzazione di tali enti, in sostanza, è stata quella di delimitare l’area della finanza pubblica, separando dal complesso della previdenza pubblica, una fascia specifica di lavoratori – quelli appartenenti al settore delle professioni – dal complesso dei lavoratori dipendenti, sia del pubblico impiego che del comparto privato, oggi integralmente gestita dall’Inps, alleggerendo in tal modo la pesante situazione finanziaria della previdenza pubblica;
a riprova di tale scelta del legislatore va ricordata la previsione normativa di cui all’articolo del decreto legislativo n. 509 del 1994, che stabilisce che gli enti privatizzati non debbano usufruire di finanziamenti pubblici o di altri aiuti di carattere finanziario provenienti dal settore pubblico;
devono poi essere ricordate le ulteriori tendenze legislative specifiche per tali enti, tra cui quella di cui alla legge 23 agosto 2004, n. 243, per le quali le casse sono state autorizzate a realizzare forme di previdenza complementare, con l’obbligo della gestione separata e forme di tutela sanitaria integrativa, nel rispetto degli equilibri finanziari di ogni singola gestione, nel quadro dell’autonomia gestionale di questi enti, inquadrati come erogatori di forme di welfare innovativo al servizio dei professionisti;
la privatizzazione delle forme giuridiche di operatività di tali enti previdenziali non determina affatto il superamento della finalità pubblica che caratterizza la funzione previdenziale, propria sia del comparto pubblico che di quello privato, volta ad assicurare trattamenti pensionistici alle diverse categorie di lavoratori, alla luce dell’articolo 38, comma secondo, della Costituzione, che sancisce il diritto alle prestazioni previdenziali, atte ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita degli assicurati; ciò è stato chiarito dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 248 del 1997, ha ribadito che la citata privatizzazione degli enti previdenziali ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e di assistenza svolta dagli enti; a tale principio si collegano da un lato, gli obblighi contributivi a carico degli iscritti, dall’altro, la serie di obblighi e di controlli pubblicistici ai quali sono soggetti le casse e gli enti previdenziali privati;
la normativa prevede pertanto per gli enti previdenziali di diritto privato diversi tipi di controlli:
a) la sottoposizione alla vigilanza esercitata dai Ministeri competenti, attraverso una gamma diversificata di strumenti di controllo, previsti dagli articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994, quali:
la nomina di propri rappresentanti nei collegi sindacali, ipotesi, invero, che può concretare una situazione di conflitto di interessi tra soggetti controllori e soggetti controllati;
la trasmissione dei documenti contabili: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di intesa con i Ministeri competenti, possono esprimere motivate osservazioni, con richiesta di riesame, sui bilanci preventivi e i conti consuntivi e sui criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti indicati nel bilancio preventivo;
l’approvazione, non soggetta a termini, delle delibere in materia previdenziale e assistenziale, comprese le delibere in materia di contributi e prestazioni, nonché degli statuti e dei regolamenti; il controllo riguarda altresì le delibere contenenti criteri direttivi generali;
il controllo del principio di equilibrio di bilancio, da assicurare mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico, da redigersi con periodicità almeno triennale;
in caso di disavanzo economico-finanziario, rilevato dai rendiconti annuali e confermato dal bilancio tecnico, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, si può provvedere alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione, con contestuale sospensione di tutti i poteri degli organi di amministrazione delle associazioni e delle fondazioni;
in caso di persistenza dello stato di disavanzo economico e finanziario dopo tre anni dalla nomina del commissario, qualora sia impossibile provvedere al riequilibrio finanziario dell’associazione o della fondazione, la nomina, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, di un commissario liquidatore che esercita i poteri previsti dalla normativa in materia di liquidazione coatta;
nel caso in cui gli organi di amministrazione di rappresentanza si siano resi responsabili di gravi violazioni di legge, afferenti la corretta gestione, la nomina, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, di un commissario straordinario cui affidare il compito di salvaguardare la corretta gestione dell’ente e, entro sei mesi dalla nomina, concludere la procedura per rieleggere gli amministratori dell’ente;
la definizione, con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, del 29 novembre 2007, delle modalità di redazione del bilancio tecnico-attuariale, richiedendosi, in primo luogo, che il bilancio tecnico sviluppi una migliore cognizione dell’andamento delle gestioni nel lungo termine, con proiezioni dei dati estese su periodo di 50 anni; l’orizzonte temporale di 50 anni è stato, stabilito dalla cosiddetta riforma Fornero, che ha richiesto, nel corso del 2012, una verifica straordinaria sulla sostenibilità per lungo periodo degli enti, finalizzata all’adozione di immediati provvedimenti di riequilibrio; tale verifica straordinaria ha determinato l’adozione, da parte di molti enti, di provvedimenti organici di riforma, per garantire una maggiore stabilità delle gestioni nel lungo periodo;
b) il controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie di tali enti, attribuito alla Covip dall’articolo n. 14 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, esercitato anche mediante ispezione presso gli stessi, richiedendo la produzione degli atti e dei documenti necessari; la Covip riferisce ai Ministeri vigilanti le risultanze del controllo, ai fini dell’esercizio dei poteri di cui sopra;
c) l’emanazione, attualmente in via di completamento, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Covip, di un decreto recante disposizioni in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali, dei conflitti di interessi e delle banche depositarie, a somiglianza di quanto previsto per i fondi pensioni dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252;
d) il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l’efficacia dell’azione e gli enti, esercitato dalla Corte dei conti, ai sensi del comma 5 dell’articolo n. 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994; la Corte riferisce annualmente al Parlamento con proprio referto;
e) il controllo esercitato in sede parlamentare dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, che esercita la vigilanza e il controllo su tali enti;
la scelta di privatizzare tali enti, operata dal legislatore, è dunque pienamente compatibile con il perseguimento della finalità pubblica di assicurare la stabilità del comparto previdenziale degli appartenenti agli ordini professionali, senza che ciò implichi un aggravio della finanza pubblica;
fatta salva la necessità di mantenere i controlli di natura pubblicistica sugli enti previdenziali privati, riserva opportuno che sia compiuta dal Governo e dal Parlamento, dopo due decenni di applicazione della normativa di settore, una valutazione circa l’efficacia di tali controlli; in linea generale, come approfondito anche dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla «funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», si deve rimarcare l’estrema complessità e frammentazione del sistema attuale dei controlli, dovuta essenzialmente a due fattori:
a) la pluralità di soggetti chiamati a vigilare (Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero del lavoro delle politiche sociali e altri Ministeri competenti, Covip, Corte dei conti);
b) la divaricazione esistente tra l’ambito dei poteri di vigilanza, esercitati dalla Covip, e poteri sanzionatori, attribuiti invece al comparto ministeriale;
l’esperienza maturata in venti anni di applicazione della normativa di settore mostra come vi sia invece bisogno di una concentrazione dei controlli in capo ad un unico soggetto, che eserciti sia i poteri di vigilanza che quelli sanzionatori, al fine di evitare l’appesantimento delle procedure e rendere più tempestivi i controlli; va ricordato che, secondo l’opinione espressa da molti soggetti istituzionali auditi dalla commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, l’attuale assetto dei controlli presenta una complessità e una sostanziale inefficienza dalla quale discende l’esigenza di una rivisitazione della stessa;
da tali riscontri sul campo emerge l’esigenza di far sì che l’organismo di vigilanza e di controllo disponga di un elevato grado di specializzazione finanziaria, atteso che le attività di investimento dei patrimoni delle casse richiedono scelte di carattere finanziario e considerato che, oltre alla vigilanza sugli enti previdenziali, essenziale controllare adeguatamente l’attività che i gestori professionali operanti sul mercato finanziario, anche per il risparmio non previdenziale, svolgono per conto e su incarico degli ente previdenziali del settore privato; alla luce anche delle risultanze emerse anche in sede parlamentare, particolarmente nelle indagini della commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, che hanno evidenziato la sussistenza di gestioni finanziarie degli investimenti degli enti spesso inadeguate dal punto di vista della solidità finanziaria e che, talvolta, hanno portato all’emersione di rilevanti vicende giudiziarie;
è evidente che il risparmio previdenziale degli enti, che considerato insieme alla previdenza complementare costituisce una massa di risorse finanziarie finalizzate all’erogazione di prestazioni previdenziali, ma che dal punto di vista gestionale costituisce un volume di investimenti pari a circa 170 miliardi di euro, deve essere considerata come una delle forme di risparmio; come tale, deve essere oggetto di controlli finalizzati a garantire la solidità finanziaria degli enti proprietari delle attività, considerata la rilevanza pubblica della funzione previdenziale da assolvere, che costituisce retribuzione differenziata dei lavoratori dei diversi comparti e che deve garantire un rendimento certo e adeguato al mantenimento di prestazioni previdenziali e deve essere tutelata per i profili di gestione finanziaria, alla pari delle altre forme di risparmio;
negli ultimi anni, rispetto a tale quadro normativo, va segnalata una tendenza in senso contrario, tendente alla ripubblicizzazione dello status di tali enti; tale tendenza è ascrivibile, in parte, a scelte legislative motivate essenzialmente da esigenze di controllo della spesa pubblica e di allargamento della base imponibile rilevante per la finanza pubblica, e in parte, a scelte amministrative e decisioni assunte in sede giurisdizionale, che sono suscettibili di vanificare il complesso normativo chiaramente delineato dal legislatore;
nel corso di audizioni presso la commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, la ragioneria generale dello Stato ha affermato che i relativi risultati di bilancio delle casse private presentano effetti sui saldi di finanza pubblica e, in particolare, sull’indebitamento netto della pubblica amministrazione secondo la tesi della ragioneria dello Stato, il rispetto dei limiti imposti dall’articolo 81 della Costituzione in materia di obbligo di copertura finanziaria comporta la necessità che le modifiche di natura regolamentare e statutaria adottate dagli enti debbano necessariamente prevedere, qualora determinino effetti negativi in termini di indebitamento netto per le regole Eurostat, l’adozione contestuale di misure compensative, onde assicurare l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica; ciò anche sulla base di giurisprudenza della Corte di cassazione del 2009 che, nell’individuare i limiti posti dal processo di delegificazione del decreto legislativo n. 509 del 1994 ha chiarito che, al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie, le delibere adottate nell’ambito dell’autonomia degli enti previdenziali di diritto privato devono rispondere ai limiti costituzionali;
centrale nel processo di ripubblicizzazione degli enti previdenziali privati è stata la vicenda dell’inclusione delle casse nell’indice Istat, relativo all’individuazione delle pubbliche amministrazioni; la definizione di pubblica amministrazione, dal punto di vista finanziario, è di competenza dell’Istat, secondo le disposizioni previste dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 95 – Regolamento (CE) n. 2223/96 – paragrafi 2.68 e 2.69); l’Istat ha ritenuto che la richiesta di esclusione delle casse da tale elenco non avesse fondamento, in quanto l’inclusione nel conto consolidato dipende dall’applicazione di criteri di classificazione adottati da Eurostat, che tengono conto anche dell’esercizio di un potere di direzione e controllo da parte dello Stato o di altri enti pubblici; avverso tale se decisione, l’associazione rappresentativa degli enti previdenziali privati (Adepp) e le singole casse hanno presentato ricorso, accolto con sentenza del Tar del Lazio, Sezione III Quater n. 1938/2008; il Consiglio di Stato, con sentenza n. 06014/2012 Reg ha annullato la sentenza del Tar, ritenendo prevalente la natura pubblicistica di tali enti e legittima l’inclusione delle stesse nell’elenco Istat; considerando che «la trasformazione operata dal decreto legislativo 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo»; la predetta sentenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che la vigente normativa, in particolare l’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994, prevede un potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale che costituisce uno dei principali elementi da cui discende, secondo il Consiglio di Stato, la stessa permanenza della natura pubblicistica degli enti in questione;
la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 248 del 1997, ha ribadito che la trasformazione degli enti previdenziali privatizzati, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e di assistenza svolta dagli enti;
in effetti, dalla definizione della natura pubblicistica o privatistica di tali enti, dipende l’applicazione di un regime pubblicistico a tali enti che il legislatore ha privatizzato, tra cui la natura del bilancio, il regime dei controlli, l’applicazione delle normative relative al pubblico impiego, quali la spending review il blocco del turn-over del personale e altro; l’inclusione di tali enti nell’elenco dell’Istat ha comportato, ad esempio;
l’estensione delle norme di cui al decreto-legge n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 in tema di limiti alla retribuzione economica individuale dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche inserite in tale elenco;
l’applicazione del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91 per l’adeguamento e l’armonizzazione dei sistemi contabili applicabili ai documenti contabili delle amministrazioni pubbliche, con l’obbligo di una riclassificazione e una rilettura dei bilanci civilistici adottati e la trasformazione dei dati economico-patrimoniali in dati di natura finanziaria e l’obbligo di predispone un budget economico previsionale, un rendiconto finanziario in termini di liquidità, un conto consuntivo finanziario in termini di cassa e del piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio;
l’applicazione delle misure in materia di spending review, di cui al decreto-legge, n. 98 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 e successive modifiche per la definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato;
l’applicazione delle norme di cui al decreto-legge 52 del 2012 e al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per rendere più stringente il ricorso per le pubbliche amministrazioni a procedure di acquisto centralizzato di beni e servizi, ai fini della riduzione della spesa per consumi intermedi; l’applicazione delle norme per l’acquisto di determinate categorie merceologiche (energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) attraverso le convenzioni o gli accordi-quadro messi a disposizione da Consip spa, ovvero con autonome procedure utilizzando i sistemi telematici di negoziazione sul mercato elettronico;
il divieto di effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media nel 2010 e 2011 per l’acquisto di mobili e arredi, di cui all’articolo 1, comma 141, della legge di stabilità 2013, con l’obbligo di versare, in apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, le somme derivanti dalle riduzioni di spesa;
la materia necessita quindi di un intervento legislativo organico che non può non ribadire la natura privatistica degli enti, da un punto di, vista organizzativo e gestionale, escludendoli definitivamente dagli enti di cui all’elenco Istat, pur ribadendo che la natura privatistica si accompagna allo svolgimento di una funzione pubblicistica; si tratta di ribadire l’operazione di privatizzazione compiuta dal legislatore degli anni Novanta, ma di garantire meglio il rispetto dell’interesse pubblico alla solidità finanziaria di tali enti e l’obbligo di assicurare le prestazioni previdenziali agli iscritti, precisando, in sede normativa, i criteri con i quali tali enti di diritto privato devono operare, e snellendo e razionalizzando i controlli, rendendoli, nel contempo, più efficaci e stringenti sulle gestioni finanziarie;
dal punto di vista delle gestioni finanziarie dei patrimoni degli enti, l’esistenza di una frammentazione tra gli stessi, si tratta di più di venti enti diversi, ognuno con proprie gestioni finanziarie risulta inefficace sia per una complicazione del contesto operativo, con maggiori costi di esercizio (si pensi alla pluralità di organi collegiali esistenti tra tutte le casse e alle conseguenti remunerazioni) ed una minore controllabilità delle attività di investimento dei patrimoni da parte delle autorità pubbliche competenti, sia per l’impossibilità di realizzare economie di scala e gestioni finanziarie più trasparenti; la semplificazione dei soggetti gestori e delle forme di impiego dei patrimoni, salvaguardando le specificità professionali dei vari ordini e delle regole di contribuzione ed iscrizione che sono differenziate tra di loro, potrebbe invece determinare una maggiore funzionalità del sistema; al proposito, va ricordato che il legislatore, con il decreto legislativo n. 103 del 1996, all’articolo 3, comma 1, lettera a), ha già previsto il principio della costituzione di un ente previdenziale privato pluricategoriale, in alternativa all’ente di categoria specifica, addirittura prevedendolo come prima opzione delle modalità di realizzazione della previdenza privata; l’ente pluricategoriale è l’Epap, che eroga prestazioni, a favore degli attuari, dei chimici, degli agronomi e forestali e dei geologi; occorre pertanto valutare l’applicazione di tale disposizione e l’opportunità di stimolare ulteriori processi di integrazione, particolarmente tra professioni vicine e integrate e settorialmente compatibili, con una gestione unificata e razionalizzata degli investimenti e della gestione dei patrimoni, salva restando la distinzione delle prestazioni e dei relativi regimi contributivi dei diversi ordini professionali; da un punto di vista normativo, va ricordato che l’articolo 1, comma 36 della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha ribadito la possibilità per tali enti di accorparsi fra loro, nonché di includere altre categorie professionali similari di nuova istituzione che dovessero risultare prive di una protezione previdenziale pensionistica;
il tema degli investimenti nel settore immobiliare da parte degli enti previdenziali privati è di particolare problematicità, in quanto, mentre quando le casse erano enti pubblici erano soggette a vincoli di utilità sociale a favore di categorie disagiate (per l’investimento in edilizia economica e popolare ovvero per la locazione a fasce sociali disagiate), con la privatizzazione a tali enti, si è applicata una disciplina speciale rispetto a quella concernente gli enti previdenziali pubblici, riconoscendo un’autonomia gestionale in materia; il riconoscimento del diritto alla prelazione di acquisto agli inquilini degli immobili oggetto di dismissione, ovvero la locazione di immobili a canoni sociali sia rimessa all’autonomia degli enti; l’articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha stabilito che la disciplina afferente alla gestione dei beni, alle forme del trasferimento della proprietà degli stessi e alle forme di realizzazione di nuovi investimenti immobiliari, contenuta nell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104 per gli enti previdenziali pubblici, non si applichi agli enti previdenziali privati; allo stato, quindi, le decisioni di questi enti in materia di gestione e dismissione del proprio patrimonio immobiliare rientrano nell’ambito della loro autonomia gestionale, nei limiti del raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario e del contenimento del rischio della gestione dell’attivo: quindi, gli strumenti istituzionali attuali di controllo non permettono di valutare le singole scelte di investimento, ma soltanto di controllare, da parte dei Ministeri competenti, in sede di analisi complessiva dei bilanci, gli effetti produttivi delle scelte immobiliari su tali poste di bilancio e sulla garanzia della sostenibilità finanziaria della gestione; tale normativa è stata poi modificata prevedendo controlli pubblicistici specifici a tutela della situazione finanziaria degli enti:
l’articolo 8, comma 15, del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, fatta salva l’autonomia nelle scelte gestionali degli enti previdenziali privati, prevede che le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti, sia pubblici che privati, che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall’alienazione degli immobili e delle quote dei fondi immobiliari, siano subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, definita dal decreto 10 novembre 2010 del Ministero dell’economia e delle finanze, che prevede la trasmissione da parte di ogni cassa, entro il 30 novembre di ogni anno, di un piano triennale di investimento che evidenzi, per ciascun anno, l’ammontare delle operazioni di acquisto e di vendita degli immobili, di cessione delle quote di fondi immobiliari, nonché delle operazioni di utilizzo delle disponibilità liquide provenienti dalla vendita di immobili o da cessione di quote di fondi immobiliari;
un controllo su tutti gli investimenti, e quindi anche su quelli immobiliari, è stato previsto poi dal comma 3 dell’articolo 14 del decreto-legge 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha previsto l’emanazione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentita la Covip, di un decreto in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali; tale decreto, ad oggi, non è ancora stato emanato ed è attualmente all’esame del Consiglio di Stato: il testo dello schema di decreto in corso di predisposizione prevedrebbe con riferimento agli investimenti diretti in beni immobili e diritti reali immobiliari (articolo 9, comma 4) un limite quantitativo del 20 per cento del patrimonio dell’ente;
tale materia va quindi attentamente riesaminata per valutare se, oltre a vincoli finalizzati alla solidità finanziaria degli enti siano ancora compatibili con la natura di enti, privati l’eventuale sussistenza del perseguimento di finalità sociali nella gestione degli immobili da parte degli enti privati; viceversa, possono essere ipotizzati strumenti innovativi, quali la previsione di agevolazioni fiscali in cambio di interventi a sostegno dell’economia reale del Paese o per finalità sociale, quali l’housing sociale.