PALERMO – Il Gup di Palermo, Gabriella Natale, ha rinviato a giudizio il direttore di Telejato, Pino Maniaci. Il giornalista è accusato di estorsione ai danni di alcuni sindaci e amministratori del Palermitano. Il giudice ha anche rinviato a giudizio altri indagati, boss ed estorsori arrestati dai carabinieri a seguito delle indagini coordinate dalla Procura di Palermo.
Le indagini sono state seguite dai sostituti Francesco Del Bene, Annamaria Picozzi, Roberto Tartaglia e Amelia Luise. Il processo inizierà il 19 luglio davanti alla seconda sezione penale. “Voglio andare fino in fondo a questa vicenda, per questo ho chiesto io di essere processato, per fare emergere finalmente la verità”.
Martedì Maniaci, uno degli alfieri dell’antimafia siciliana finito nei guai, aveva annunciato la conclusione della sua avventura a Telejato, emittente di Partinico, sotto il peso delle querele presentate anche da investigatori e magistrati.
Il Gup di Palermo accogliendo le richieste dell’accusa (rappresentata dai pm Tartaglia e Luise) ha disposto anche il rinvio a giudizio, ma per associazione mafiosa, estorsioni e intestazione fittizia, per Nicolò Salto, Giuseppe Giambrone, Antonino Giambrone, Francesco Petruso, Antonino Frisina, Antonio Salto, Tommaso Giambrone, Francesco Giambrone, David Giambrone, Salvatore Petruso.
Un altro indagato, Salvatore Brignano, ha scelto l’abbreviato. La sua posizione sarà discussa il 16 maggio. Il giornalista presente in aula – nel corso dell’udienza – ha lasciato il tribunale assieme ai suoi legali, Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino.
Era stato l’ulteriore colpo assestato a una certa antimafia. Una storia – non la prima e neppure l’ultima – che corrodeva il monumento eretto ai suoi alfieri. E che narrava, in questo caso, di una tv usata come clava e di sindaci trasformati in bancomat. Era il 4 maggio 2016 quando l’attività di scavo degli investigatori e della Procura di Palermo restituiva agli spettatori sorpresi l’immagine di un Pino Maniaci indagato per estorsione e sottoposto al divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani.
Ieri è stato disposto il rinvio a giudizio – “che io stesso ho voluto perché nella fase dibattimentale potrò difendermi in maniera adeguata”, ha rivendicato – e il processo inizierà il 19 luglio. Un passaggio che arriva il giorno dopo l’ammainabandiera sulla sua tv annunciato dal giornalista di Partinico, schiacciato dal peso delle querele presentate anche da investigatori e magistrati.
“Tremano tutti. Mi chiama pure Renzi”
Nel frattempo alcuni dati per gli inquirenti appaiono chiari. “Si à scoperto – scrive già quasi un anno fa il Gip nella corposa ordinanza – grazie all’attività di intercettazione corroborata dalle dichiarazioni delle vittime (il sindaco di Partinico, Salvatore Lo Biundo e il sindaco di Borgetto Gioacchino De Luca) che Pino Maniaci, forte del potere mediatico ottenuto esercitato ha cominciato a sfruttarlo per vessare vari amministratori locali che, intimoriti dalle notizie lesive artatamente agittate dal direttore di Telejato, vengono costretti a versare anche periodicamente somme di denaro per evitare o prevenire la divulgazione di servizi televisivi lesivi del loro operato e onorabilità”.
“Fai tremare tutti con questa televisione”, dice l’amante al giornalista intercettato che si vantava della sua capacità di intimidire i sindaci e di ottenere ciò che voleva, dai soldi – alcune centinaia di euro – a favori e contratti di lavoro, millantando i buoni rapporti con il prefetto di Palermo, la conoscenza di relazioni riservate che avrebbero potuto determinare l’accesso al Comune per verificare i condizionamenti della mafia.
Si ritiene “una potenza”, uno davanti al quale “tutti si cacano se li sputtano in televisione”. Tutti “in fibrillazione… mi ha chiamato anche Renzi”, e in effetti l’ex premier gli aveva telefonato dopo le presunte nuove minacce. “Secondo te”, dice alla sua interlocutrice, “tutto questo rispetto da dove viene? È stata una minaccia la mia…”. E le vendette subite per fatti personali – come l’uccisione dei suoi cani – presentate e denunciate come intimidazioni: “Ora la scorta mi danno e il bordello succede…”. Salvo poi lanciare strali e offese contro istituzioni, magistrati e forze dell’ordine: “Tutti cose inutili e manciatari. Sono loro la mafia dell’antimafia”.
La “scintilla” che fa divampare l’indagine per estorsione si accende nel 2013. I carabinieri indagano sulle famiglie di Partinico e Borgetto e intercettano una conversazione tra l’assessore comunale di Borgetto, Gioacchino Polizzi, e l’allora sindaco Davì.
“A me il premio del c… di eroe antimafia”
È l’8 maggio 2013 e Polizzi è molto agitato: “Ha voluto 2000 euro di magliettine gratis ed ha voluto tre mesi di casa in affitto che l’ho pagato io di tasca mia… questa è estorsione… pura estorsione… gli devi andare a dire a Pino Maniaci (Polizzi parla al telefono con l’allora sindaco Davì), e mi avete obbligato tu e lui pure… vattene da Pino Maniaci perché succede la terza guerra mondiale… non faccio passi indietro”. “Lui (Maniaci) è mafioso, lui ha fatto estorsione nei miei confronti, io lo denuncio, vi tiro tutti in ballo. È da 10 anni che faccio il consigliere comunale, ed io i malandrini e la mafia me li sbatto nella… ”.
Amore, denaro e posti di lavoro
Il direttore di Telejato parlava al telefono con la sua “donna” e la rassicurava: “al primo concorso che c’è… pubblico per andare a sistemarti per sempre in una azienda ospedaliera, a fare l’infermiera, Dopo che tu hai i tuoi 1500-2000 euro al mese io posso morire tranquillo”. Si legge nell’ordinanza del gip che Maniaci sosteneva che attraverso la sua tv era in grado di guadagnare titoli e onorificenze come l’Oscar della legalità (categoria “Eroe del nostro tempo”): “A me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del ca… di eroe dei nostri tempi… quello che non hai capito tu è la potenza… tu non hai capito la potenza di Pino Maniaci! Stai tranquilla che il concorso te lo faccio vincere”. Lo Biundo – interrogato in Procura il 23 luglio 2015 – ha confermato le somme di denaro consegnate a Maniaci e anche la prosecuzione del rapporto di lavoro: “Mi ha detto che dovevamo farla lavorare a tutti i costi. L’unico modo era autotassarci”.
L’ultima tentazione: “Diventerò sindaco”
Il direttore di Telejato pensava anche di candidarsi a sindaco di Partinico. Il 20 gennaio 2015 afferma: “Aspettavo Salvo (Lo Biundo, sindaco di Partinico) per lo meno due anni… lui fra due anni si candida alla Regione e se ne va a casa e mi candido io…”. Un pensiero fisso – dettato anche dalle pressioni per le richieste di lavoro provenienti dalla donna – quello della poltrona di primo cittadino. Il 28 gennaio infatti, questa volta via sms, il direttore di Telejato le scrive, per rassicurarla in merito al suo impiego: “appena divento sindaco – scrive – diventi dipendente comunale a vita promesso giuro… prima che lo faccio il sindaco, e poi tranquilla: sono sempre Pino Maniaci!”.
Ingroia: “Il rinvio a giudizio è il fallimento del Codice”
“L’esito di questa udienza preliminare conferma purtroppo il fallimento del Codice di procedura penale, in particolare il fallimento dell’udienza preliminare come filtro per evitare i processi per reati privi di prova”. Così gli avvocati Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino, difensori di Pino Maniaci, a proposito del rinvio a giudizio del direttore di Telejato.
“Maniaci – aggiungono – è stato prima condannato mediaticamente e ora viene processato giudiziariamente sulla base di accuse non sorrette da prove idonee. Lo ha riconosciuto anche un giudice delle indagini preliminari di Palermo, quando ha revocato per Maniaci la misura cautelare del divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani ritenendo che non ce ne fossero i presupposti per una delle estorsioni contestate.
Purtroppo nemmeno ciò è servito, e se non è servito in un caso clamoroso come questo è lecito chiedersi a cosa serva l’udienza preliminare: tanto vale abolirla. In ogni caso, affronteremo il processo certi di riuscire a dimostrare l’innocenza di Maniaci, l’assoluta infondatezza delle accuse che gli vengono contestate”. (agi)