PALERMO – Era una redattrice a tutti gli effetti e non una collaboratrice fissa – men che meno una co.co.co., come di fatto era stata inquadrata per anni – e fu licenziata ingiustamente. Questo ha stabilito il giudice della sezione Lavoro del tribunale di Palermo, Matilde Campo, in relazione alla vicenda di Sandra Figliuolo, cronista giudiziaria del Giornale di Sicilia che il 21 maggio 2020, dopo 17 anni, era stata “improvvisamente e oralmente” allontanata “perché aveva cominciato a collaborare con un’altra testata”, PalermoToday per cui lavora tuttora.
Il giudice già a maggio del 2021, nella fase sommaria del giudizio, con un’ordinanza aveva riconosciuto l’illegittimità del licenziamento e disposto la reintegra nel posto di lavoro, dopo aver accertato la natura subordinata del rapporto (visto che di fatto la giornalista non era mai stata assunta a tempo indeterminato), inquadrandolo tuttavia come quello di un “collaboratore fisso” (art. 2 del Contratto nazionale di lavoro giornalistico).
Con la sentenza emessa in questi giorni, invece, accogliendo l’opposizione dell’avvocato Teresa Sciortino, che assiste la cronista, il giudice ha ritenuto “più corretto” l’inquadramento come “redattore” (art. 1 Ccnlg), in virtù della “quotidianità” con cui la professionista lavorava per il giornale.
Il Giornale di Sicilia è stato, così, condannato a risarcire Figliuolo con 15 mensilità oltre che a versarle gli stipendi (parametrati a quelli previsti dall’art. 1 Ccnlg per i redattori con più di 30 mesi di anzianità) dal giorno del licenziamento fino al 7 giugno 2021 (data in cui la cronista aveva rifiutato la reintegra), oltre ai contributi previdenziali ed assistenziali.
L’azienda che, difesa dagli avvocati Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, ha sempre negato invece il rapporto di dipendenza e pure il licenziamento, dovrà pagare anche le spese di lite, quantificate in circa 4.700 euro.
Questa sentenza è importante perché viene riconosciuta la qualifica di redattore, anche se la giornalista non era formalmente inserita nei turni e lavorava di fatto all’esterno della redazione, elementi ritenuti talvolta imprescindibili per il riconoscimento dell’art. 1. Una visione, quest’ultima, decisamente superata sia dal modo in cui si è evoluta la professione che dai progressi tecnologici e dagli strumenti che consentono di lavorare ormai a distanza per partecipare alla produzione, cosa che è peraltro avvenuta in tutti i giornali durante la pandemia e i lockdown.
Nella sentenza, motivata in 17 pagine, il giudice richiama prima di tutto la giurisprudenza legata alla peculiarità del lavoro giornalistico, in cui “la subordinazione è attenuata” e prevede “una certa libertà di movimento, senza obbligo al rispetto di un orario predeterminato o la continua permanenza nel luogo di lavoro” e spiega poi perché sia “più corretto” l’inquadramento come “redattore” e non, come stabilito in precedenza, come “collaboratore fisso”.
«Risulta provato – scrive il giudice – che la giornalista, per svariati anni, ha messo a disposizione del Giornale di Sicilia le sue energie lavorative per fornire non solo con continuità, bensì quotidianamente ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione (essenzialmente quella della cronaca giudiziaria), attraverso la redazione sistematica e giornaliera di articoli». Più precisamente «l’istruttoria espletata ha confermato: che la giornalista si occupasse di uno specifico settore (la cronaca giudiziaria), “maturando nel tempo anche una grande esperienza professionale”; che operasse con continuità per il Giornale di Sicilia recandosi tutti i giorni al palazzo di giustizia per raccogliere le notizie del giorno, assicurando “un prolungato orario”, coordinando il proprio lavoro con il collega “figura di riferimento” della testata per la cronaca giudiziaria, e riferendo costantemente quanto raccolto al caposervizio, con cui veniva di volta in volta concordato il pezzo da elaborare; che tra la giornalista e il Giornale di Sicilia esistesse un rapporto di collaborazione costante e sistematico, che, tra l’altro, trova riprova nell’elevatissimo numero di articoli redatti, costantemente più di uno al giorno, e nella durata ultradecennale della collaborazione; che la giornalista operasse in concreto in esclusiva per il Giornale di Sicilia; che venisse chiamata tutti gli anni, talvolta reiteratamente nel corso dello stesso anno, a sostituire i colleghi assenti con contratti di lavoro a tempo determinato (ex art. 1); che sia stata estromessa dall’azienda a seguito dell’avvio di una collaborazione professionale a favore di un’altra testata», (nello specifico PalermoToday).
Il giudice ha ritenuto “corretto” l’inquadramento da “redattore” perché la prestazione della giornalista “aveva carattere chiaramente quotidiano”, «non potendosi certamente dubitare che abbia assicurato nel corso di oltre 10 anni costante e quotidiana disponibilità e reperibilità rispetto alle esigenze di ricerca delle notizie in modo da garantire alla redazione un costante flusso di notizie di attualità e che il giornale contasse a sua volta per il perseguimento dei propri obiettivi editoriali su tale disponibilità della cronista anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, che abbia perciò provveduto in modo strutturale ad organizzare la prestazione».
E «a ben vedere – si legge ancora nella sentenza – non pare potersi dubitare del fatto che la giornalista, nonostante la imposta inibitoria ad accedere alla redazione aziendale, non si limitasse a mandare “pezzi a sua scelta” senza alcuna preventiva direttiva o ancora si limitasse ad esitare le richieste fattele dalla redazione, operasse in sostanza come un soggetto isolato; risulta piuttosto ch’ella si inserisse, anche dall’esterno, nella vita redazionale integrandosi con i colleghi e capiservizio e collaborando alla formazione della pagina e del giornale» e anche «se non era inserita nella turnazione dei cronisti, era a lei che ci si rivolgeva per assicurare i turni “scoperti”».
Infine, come già aveva sancito in fase sommaria, il giudice rileva che «la stessa circostanza che il giornale si sia risolto ad interrompere la collaborazione professionale con la cronista allorquando ella ha cominciato a collaborare con un’altra testata palesa in maniera evidente la convinzione ch’esso confidasse sulla disponibilità, peraltro addirittura esclusiva, della giornalista e non pensasse affatto di doverla contrattare volta per volta». (giornalistitalia.it)