ROMA – A pochi giorni dalla strage di Alessandria, in cui Martino Benzi ha ucciso il figlio, la moglie e la suocera, prima di togliersi la vita, diventa evidente il ruolo di primaria importanza svolto dai media. Questo tragico evento si inserisce nel contesto noto come “family mass murder” o “omicidi familiari di massa”, e contribuisce in modo fondamentale all’analisi dei cosiddetti “femminicidi”, richiedendo un approccio giornalistico sensibile e responsabile.
Tuttavia, in tale contesto, si colloca un intricato conflitto: la scelta fra l’attraente canto delle sirene del sensazionalismo e la fedeltà a una rigorosa etica giornalistica. Questo crocevia, lontano da qualsiasi forma di sottovalutazione, manifesta l’essenza dell’emergenza. In questo scenario, diventa imperativo sondare con attenzione l’equilibrio delicato tra l’imperativo di informare e l’obbligo di tutelare la dignità delle vittime e dei sopravvissuti.
La diffusa copertura mediatica di questi eventi ha svolto un ruolo centrale nella disseminazione delle informazioni e nell’orientamento dell’opinione pubblica. Agendo come intermediari tra gli avvenimenti e il pubblico, i media contribuiscono a plasmare una narrazione collettiva di tali eventi. Tuttavia, è essenziale riconoscere che questa rappresentazione spesso tende a semplificare la complessità delle dinamiche coinvolte, concentrandosi sui dettagli sensazionalistici e sugli aspetti più eclatanti dei casi che non aggiungono nulla alla verità sostanziale dei fatti.
La presentazione mediatica tende a focalizzare l’attenzione sugli individui coinvolti, spesso trascurando le cause strutturali più ampie che possono contribuire a tali tragedie. Queste tragedie, oltre a strappare vite innocenti, lasciano cicatrici profonde nelle comunità e nelle famiglie coinvolte. Troppo spesso, però, ci troviamo di fronte al pericolo del sensazionalismo mediatico. Il desiderio di aumentare l’audience può portare i media a enfatizzare il lato più spettacolare e tragico di queste storie, trascurando la complessità sottostante. Questo approccio non solo distorce la realtà dei fatti ma manca di rispetto verso le vittime e i sopravvissuti, riducendoli a semplici spettacoli da mettere in mostra.
L’ampiezza dell’impatto mediatico ha alimentato dibattiti di vasta portata all’interno della società italiana. Questi dibattiti hanno coinvolto esperti, studiosi e il pubblico in generale, concentrandosi su argomenti quali la responsabilità penale dei giovani, la gestione della violenza domestica, la percezione della sicurezza e il ruolo della psicologia criminale nell’analisi di questi casi.
Questa riflessione critica è stata fondamentale per affrontare le implicazioni più ampie di tali eventi, ma talvolta è stata anche soggetta a semplificazioni e generalizzazioni, poiché la comprensione pubblica è spesso limitata dalla natura superficiale delle narrazioni mediatiche. È fondamentale resistere a questa tentazione e affrontare la complessità di queste storie con empatia e comprensione.
La verità dietro i femminicidi e la violenza di genere è spesso intricata e intrecciata con una serie di fattori, tra cui dinamiche familiari, sociali e psicologiche. Questi aspetti richiedono un’analisi attenta e responsabile, che vada oltre i titoli sensazionalistici e si addentri nei dettagli e nelle sfumature dei fatti.
L’eccessiva enfasi mediatica sugli aspetti sensazionalistici può spingere verso una percezione distorta e semplificata degli eventi. Inoltre, l’impatto mediatico e la conseguente pressione dell’opinione pubblica possono influenzare i processi giudiziari, rischiando di compromettere la giusta applicazione della legge.
In questo contesto, è imperativo che la società e gli attori coinvolti nell’analisi e nella gestione di questi casi siano consapevoli dei vantaggi e degli svantaggi associati alla rappresentazione mediatica. Una comprensione più profonda e riflessiva di tali eventi richiede sforzi continui per oltrepassare la superficie delle narrazioni mediatiche e considerare le sfumature psicologiche, sociali e strutturali che possono contribuire alla comprensione e alla prevenzione di simili tragedie in futuro.
L’approccio criminologico si presenta come un faro guida in questo contesto. Questa metodologia offre una visione completa, che va al di là dei titoli sensazionalistici e si addentra nei dettagli e nelle sfumature dei fatti. I media che adottano questo approccio possono presentare una narrazione accurata che rispetta la verità senza compromessi.
Inoltre, è fondamentale rispettare le voci delle vittime e dei sopravvissuti, spesso dimenticate o ignorate. Queste voci meritano attenzione e empatia, e i media hanno la responsabilità di offrire loro uno spazio per essere ascoltate.
I talk show e i dibattiti pubblici possono essere strumenti potenti per sollevare consapevolezza su questi problemi, ma devono essere gestiti con attenzione. La trasformazione in processi mediatici che semplificano e distorcono la complessità dei fatti deve essere evitata a tutti i costi.
La responsabilità dei media va oltre la semplice diffusione delle notizie. Hanno il potere di influenzare atteggiamenti e percezioni nella società. Pertanto, è fondamentale che contribuiscano al cambiamento culturale, smantellando gli stereotipi di genere e promuovendo la lotta contro la violenza domestica.
La verità raccontata in modo rispettoso, lontano da esagerazioni e distorsioni, scuote le coscienze, spingendo le persone a vedere oltre la superficie e ad abbracciare la complessità della realtà. Questo non è solo un obiettivo giornalistico, ma un contributo tangibile a un cambiamento culturale che va oltre le parole. È un atto di responsabilità verso le vittime, le loro storie, i loro dolori e le loro lotte.
Insomma, questa sfida non è solo un compito dei media e degli esperti. È un invito, a ogni cittadino, a prendere parte attiva a questo processo di trasformazione culturale. Quando i media e gli esperti criminologi lavorano insieme con etica e determinazione, si trasformano in agenti di cambiamento, e in tal senso, la vera potenza di un’informazione responsabile si rivela come uno strumento di riscatto per le voci silenziate, di sostegno per le vittime, e di speranza per un futuro in cui la violenza domestica sia relegata al passato. (giornalistitalia.it)
Fabrizia Rosetta Arcuri
CHI È FABRIZIA ROSETTA ARCURI
Giornalista con master in Criminologia e Scienze Forensi, Fabrizia Rosetta Arcuri è communication manager ed esperta nei processi di comunicazione, autrice e conduttrice di format web e tv, specializzata in comunicazione pubblica e politica, ghostwriter e project manager.
Originaria di Belvedere Marittimo (Cs) ha vissuto per quasi 20 anni a Perugia, fino a quando ha deciso di ritornare, insieme con la famiglia, nella sua Calabria. Moglie, mamma a tempo pieno di due adolescenti, lavora a Cosenza e per emittenti televisive e collabora con enti pubblici raccontando storie e territori, con l’estrema convinzione che la Calabria possa ritrovare identità e cultura, abbattere pregiudizi e negatività e aprirsi al resto del mondo per le sue grandi bellezze, anche grazie ad una comunicazione pulita, positiva e responsabile che dia spazio e voce ai luoghi, alle comunità, alla gente del sud e ai casi virtuosi.
Ha scritto a quattro mani con il criminologo Sergio Caruso il libro “Sangue del mio Sangue” (Falco Editore, 2020), un racconto autobiografico di un fatto di cronaca che vide protagonista la sua famiglia. (giornalistitalia.it)
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