MOSCA (Russia) – La Russia è stata condannata per “gravi errori” nella vicenda della strage di Beslan, costata la vita a 334 ostaggi nel 2004, di cui 186 bambini. La decisione è della Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu), che ha condannato Mosca a versare 3 milioni di euro ai ricorrenti. In particolare, le autorità russe non adottarono le opportune misure per prevenire la cattura degli ostaggi in una scuola dell’Ossezia del nord da parte di ribelli ceceni e, inoltre, fecero un utilizzo sproporzionato della forza nel blitz per la liberazione degli ostaggi stessi.
La mattina del 1° settembre 2004, un gruppo di terroristi ceceni fece irruzione nella scuola n° 1 di Beslan. Nell’edificio erano presenti oltre 1.128 persone. I sequestratori negarono i soccorsi e l’autorizzazione a introdurre nella scuola acqua e cibo per gli ostaggi che vennero ammassati nella palestra. Il giorno seguente, i sequestratori fecero esplodere due granate, a 10 minuti di distanza l’una dall’altra, per tenere lontana la polizia.
Il 3 settembre i terroristi acconsentirono a far entrare quattro medici nell’edificio. All’improvviso si avvertirono due esplosioni, probabilmente provocate dallo scoppio di due ordigni. Alcune decine di ostaggi riuscirono a fuggire. I terroristi iniziarono a sparare e le teste di cuoio fecero irruzione.
Il commando degli assalitori venne annientato dopo ore di scontri a fuoco: era composto da 32 terroristi, 31 dei quali – secondo fonti ufficiali – rimasero uccisi. Testimoni oculari parlarono, però, di forse 70 assalitori. L’unico sopravvissuto, Nur-Pashi Kulayev, è stato processato e condannato all’ergastolo. La responsabilità dell’attentato è stata rivendicata dall’ex leader dei militanti ceceni Shamil Basaev, secondo l’Fsb ucciso nel 2006 in Inguscezia.
La Corte di Strasburgo ha accusato Mosca anche di non aver essere stata in grado di determinare se l’uso della forza utilizzato nell’operazione fosse o no giustificato in quelle circostanze. Inoltre, per la Cedu, la Russia ha commesso “serie negligenze nella pianificazione e nel controllo dell’operazione” di salvataggio, che “in qualche misura hanno contribuito al tragico epilogo”. La sentenza diventerà definitiva fra tre mesi, ma il Cremlino ha già detto che ricorrerà in appello. “Per un paese che è stato attaccato diverse volte dai terroristi, tali dichiarazioni sono assolutamente inaccettabili”, ha detto il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov.
A ricorrere a Strasburgo, tra il 2007 e il 2011, furono 409 cittadini russi tra parenti delle vittime ed ex ostaggi della scuola n° 1. Solo nel 2014, però, la Cedu ha ascoltato i ricorsi presentati, accogliendo quasi tutti i punti cardine del ricorso, tra cui la violazione degli obblighi di Stato come il diritto alla vita. È stato riconosciuto l’impiego di lanciagranate e lanciafiamme durante il blitz delle forze speciali.
La Corte ha riconosciuto anche l’inesistenza di prove riconducibili ai terroristi per le esplosioni verificatesi nella scuola e che ufficialmente fecero scattare il violento blitz. Tra le persone che hanno incoraggiato i familiari a rivolgersi a Strasburgo, convinte che in Russia non avrebbero trovato giustizia, c’era la giornalista Anna Politkovskaya.
“Eravamo come cieche, non sapevamo cosa fare e Anna ci ha aperto gli occhi, ci ha avvertite che dai tribunali russi non avremmo mai ottenuto giustizia, perché nella strage erano coinvolte persone troppo in alto, ci ha spiegato che avevamo una sola strada: la Corte europea dei diritti dell’uomo. Da allora, ha continuato a ripeterci come un mantra: «Strasburgo, Strasburgo, Strasburgo!»”, spiegò ad Agi ad ottobre scorso – nel 10° anniversario della morte della giornalista uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006 – Ella Kesaeva, a capo dell’associazione “Golos Beslana” (la voce di Beslan), che riunisce diverse mamme che furono ostaggio in quei tragici giorni e hanno assistito impotenti alla morte violenta dei propri figli. Lei, come altri, sosteneva che la leadership russa, compreso Putin, aveva mal gestito la crisi degli ostaggi e ignorato le informazioni dell’intelligence, secondo cui si stava preparando un sequestro di massa. L’inchiesta russa sugli eventi è da anni in stallo.
“Strasburgo è l’unica nostra speranza di trovare la verità”, aveva detto Ella Kesaeva, tra le più strenue sostenitrici della necessità di fare luce sui fatti del 2004 e di accertare le responsabilità delle autorità russe nel feroce blitz che liberò gli ostaggi.
“Lo dobbiamo solo ad Anna. Sul tema di Beslan voleva ancora fare tanto”, aveva ricordato la Kesaeva con le lacrime agli occhi, auspicando per il 2017 – come è poi stato – il verdetto della Cedu. Per poi promettere: “In quel momento “ricorderemo ancora una volta il contributo di Anna”.
Oggi a casa di Ella Kesaeva a Beslan, a due passi dalla scuola che è stata trasformata in un memoriale, si è tenuto un piccolo banchetto per festeggiare quella che chi l’ha sostenuta nella sua lotta per la giustizia, alcuni giornalisti indipendenti e avvocati, ha chiamato “vittoria morale”. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Petrov, commentando la sentenza ha contestato che “per un Paese che è stato attaccato diverse volte dai terroristi, tali dichiarazioni sono assolutamente inaccettabili”. Il portavoce di Putin ha anche annunciato che la Russia prenderà “tutte le azioni legali necessarie” e farà ricorso in appello contro la sentenza di Strasburgo. (agi)