A Modica se ne è parlato grazie alla Scuola per Assistenti Sociali col patrocinio Figec Cisal

Stampa e detenuti: la cronaca dietro le sbarre

Viviana Sammito, consigliere nazionale della Figec Cisal, e Giampiero Saladino, direttore della Scuola per Assistenti Sociali “Ferdinando Stagno D’Alcontres”

MODICA (Ragusa) – Si è parlato di “Stampa e detenuti: la cronaca dietro le sbarre” nell’ambito del corso su “Formazione e Lavoro per la risocializzazione dei detenuti e dei soggetti adulti e minori in esecuzione penale: quali prospettive?”, organizzato a Modica dalla Scuola per Assistenti Sociali “Ferdinando Stagno D’Alcontres” con il patrocinio della Figec Cisal, Federazione Italiana Giornalismo Editoria Comunicazione.
Aperto ad assistenti sociali, psicologi, avvocati e giornalisti, per i quali era valido come evento formativo, l’incontro si è tenuto nel suggestivo palazzo adiacente il Castello dei Conti, sede distaccata dell’Università di Messina della scuola per Assistenti Sociali “Ferdinando Stagno D’Alcontres”, promotrice dell’iniziativa da un’idea del direttore, Giampiero Saladino.
A porgere il saluto della Figec Cisal è stata la giornalista Viviana Sammito, consigliere nazionale, che ha illustrato il tema del panel sulla “cronaca dietro le sbarre”, poi approfondito dal giornalista siracusano Francesco Nanìa.
Sammito ha parlato del rapporto tra stampa e detenuti, disciplinato dalla Carta di Milano, e sulla necessità di un approccio più trasparente e meno farraginoso al fine di raccontare con puntualità ciò che accade nelle carceri e le storie di detenuti, raggiunti da sentenza definitiva, che intendono raccontare le sfide e le difficoltà affrontate. Senza mai perdere la speranza di una seconda vita possibile.

Il convegno su Stampa e detenuti a Modica

Raccontare senza discriminazioni, tutelando il diritto alla dignità ma senza mai rinunciare alla verità. Dotare i detenuti delle skill life, le competenze per potere immettersi sul territorio e trovare un lavoro, dopo un periodo di formazione in carcere: è importante dare loro gli strumenti per evitare recidive e fare conoscere la bellezza della cultura della legalità.
L’intervento di Viviana Sammito ha ricordato la “Carta delle pene e del carcere” (carta di Milano) con la spinta definitiva alla sua approvazione, a livello nazionale, nel 2013, l’anno in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel trattamento dei detenuti. Il caso Torreggiani è rientrato in una sentenza pilota contro il sovraffollamento delle carceri italiane e prende il nome del detenuto italiano che, durante la sua detenzione, aveva contratto l’HIV in una cella di 9mq costretto a condividerla con altri 6 carcerati.
«Nelle carceri minorili – ha spiegato la giornalista – il numero dei detenuti è il più alto degli ultimi 10 anni. Questi dati sono, secondo Antigone, un «segno evidente degli effetti del Decreto Caivano», varato dal governo Meloni pochi mesi fa. Sempre più minorenni si macchiano di reati gravi come lo stupro di gruppo, com’è successo recentemente a Palermo e a Catania».

L’intervento del giornalista Francesco Nania

Tre gli elementi su cui lo Stato italiano deve impegnarsi: la sicurezza strutturale e della polizia penitenziaria, che paga lo scotto della carenza dei dispositivi di sicurezza durante le sommosse; garantire la legalità all’interno delle carceri dove tramite, risorse interne (la cronaca ce lo racconta) entrano cellulari, droga e pizzini: circostanze che vanificano il lavoro di formazione e risocializzazione dei detenuti; dare un’accelerazione ai tempi delle sentenze definitive: spesso gli ordini di carcerazione per espiazione pena arrivano dopo 15 anni dalla contestazione del reato e questo incide sul percorso di vita del condannato il quale, nel frattempo, ha avuto il tempo di farsi una famiglia e trovarsi un lavoro, nella maggior parte dei casi.
Giampiero Saladino, direttore della scuola “Ferdinando Stagno D’Alcontres”,  ha citato l’articolo 27 della Costituzione italiana che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”… favorendo – ha evidenziato – il migliore reinserimento in un’ottima socializzante, di crescita e maturazione.

Giuseppe Ranieri, prefetto di Ragusa

Dignità e speranza vanno quindi restituite a chi ha sbagliato e vuole ricominciare su binario giusto. È solo una minima parte, però, dei quasi 60mila detenuti, il 5,4% che partecipa a programmi di formazione professionale, sebbene il tasso di recidiva dei detenuti non coinvolti nei programmi di reinserimento sale al 70% mentre scende al 2% se consideriamo i detenuti che hanno appreso un lavoro in carcere».
Hanno, quindi, porto il loro saluto il prefetto di Ragusa, Giuseppe Ranieri, il questore Vincenzo Trombadore, il Garante di diritti dei detenuti, l’ex capo del Dap e magistrato Santi Consolo, i presidenti dell’Ordine degli Assistenti Sociali Sicilia, Matilde Sessa, e dell’Ordine degli Avvocati di Ragusa, Emanuela Tumino e la consigliere regionale degli Ordini degli Psicologi, Vania Blanco.

Giampiero Saladino

Emanuele La Rosa (professore associato di Diritto Penale dell’Università di Messina) ha ritenuto “importante ribadire che l’idea rieducativa non va messa in discussione ma rivitalizzata e resa effettiva. È vero che buona parte dei problemi che ostacolano l’effettiva realizzazione educativa non sono dovute all’apparato normativo quanto alla prassi, che registra qualche resistenza e mancanza di fondi».
Il magistrato Martina Dall’Amico, parlando della propria esperienza, «seppur ancora breve», si à «accorta che in alcuni casi il carcere è necessario. Costituisce e deve costituire l’estrema ratio. Il problema non è tanto, a mio modesto modo di vedere, il se ma il come e se comprendiamo che occorre investire e credere nel come indirettamente lavoriamo sul se… Offrire un’alternativa, un lavoro la possibilità di partecipare ad attività, ci conviene, conviene alla nostra libertà e alla giustizia e allora penso che sia questa la strada che dobbiamo percorrere».

Vincenzo Trombadore, questore di Ragusa

Per Rosetta Noto, capo area trattamentale del carcere di Ragusa, “la rieducazione è difficile perché non abbiamo i mezzi… Siamo riusciti a trovare un lavoro ad un catanese condannato per reati gravissimi, era bravo a lavorare. Troviamo una ditta molto nota a Ragusa che mi dice si all’assunzione ma il giorno dopo mi chiama: “fa parte del clan Santapaola” ed io ho risposto che avrei garantito. Alla fine della detenzione domiciliare, l’ex detenuto viene assunto e il datore mi dice che non può fare a meno di lui nell’azienda. Lui è ora integrato perfettamente».
Maria Letizia Di Liberti, dirigente generale del dipartimento della famiglia e delle politiche sociali della Regione Sicilia, ha ricordato che, attraverso il Fondo Sociale Europeo nella nuova programmazione 2021-2017, l’ente ha assegnato 18 milioni di euro alla formazione all’interno del carcere. Il progetto è pronto. Sarà pubblicato entro 15 giorni».

Maria Letizia Di Liberti

«Al 31 gennaio 2024 – ha dichiarato Rosaria Ruggeri, direttore dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Ragusa – sono in carico ai nostri Uffici, a livello nazionale, 134.992 persone di cui 119.770 maschi, 15.222 femmine. Dobbiamo promuovere una cultura del lavoro diversa, siamo stanchi di muoverci nei meandri dello sfruttamento e del lavoro nero che pesa su stranieri e concittadini. Nel tempo si è creata una subcultura tra i condannati: aver capito che il lavoro è un elemento centrale, l’udienza potrebbe mettere in discussione l’applicazione di una misura in mancanza di un lavoro e quindi si fa di tutto per trovare un lavoro che poi di fatto si rileva fittizio».
Maria Licitra, referente degli Uffici di servizio sociale per i minorenni di Ragusa, ha rilevato che «alla base della commissione dei reati in capo ai minorenni c’è una difficoltà alla decodifica della realtà. L’80% degli autori di reato è rappresentato da infra quattordicenni, la fascia dei 16/17enni, il 20% da ragazzi tra i 18 e i 21 anni»,

Chiara Facello, assessore ai Servizi Sociali e alla Pubblica Istruzione del Comune di Modica

Dal canto suo, Chiara Facello, assessore ai servizi sociali e alla Publica Istruzione del Comune di Modica, ha auspicato una capillare campagna di sensibilizzazione sul progetto finanziato dal fondo sociale europeo per le carceri. Bisogna, infatti, ricordare che il progetto obbliga i beneficiari a sensibilizzare le aziende ad assumere ex detenuti.
Infine, Eleonora Gazziano, presidente dell’associazione “Rights On”: «Il carcere è una comunità. Il carcere deve essere inteso come struttura educativa e risocializzante. Quale futuro può avere un individuo privato della telefonata del figlio? La politica deve assumersi la responsabilità di reintegrare le persone che hanno scontato la loro pena, di riscattarsi nella vita. In Italia ci sono più morti per pena che nei paesi dove la pena di morte è consentita». (giornalistitalia.it)

IL VIDEO DEL CONVEGNO SU RADIO RADICALE:

 

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