ROMA – Reduce dalla cerimonia per l’assegnazione degli Oscar, la pellicola “Spotlight”, in proiezione in una quantità di cinematografi, racconta una vicenda sporca di abusi sessuali ma, contemporaneamente, indica il percorso che il giornalismo dovrebbe seguire per uscire dalla crisi che lo sta strangolando.
La vicenda ha per protagonisti i cronisti del “Boston Globe”, quotidiano di robuste tradizioni storiche e di bilanci ultra positivi che, però, aveva cominciato a perdere colpi, tiratura, copie e pubblicità. Occorreva un cambio di passo e, per invertire la tendenza, è stato chiamato un novo direttore. Marty Baron, in arrivo dal Texas che, fra gli stati, è il più autenticamente “del sud”, ha immaginato che i lettori andavano conquistati (e riconquistati) con la qualità del prodotto.
I suoi migliori giornalisti hanno formato una squadra con lo scopo di indagare negli anfratti della società del Massachusset andando oltre lo scontato e l’evidente. Niente di eccezionale, nelle intenzioni, al punto da auto-etichettarsi come “spotlight” come se il gruppo si proponesse di gettare giusto un brandello di luce ma su vicende accuratamente nascoste.
La squadretta era composta da Ben Bredlee, Walter Robinson, Mike Rezenders, Sacha Pfeiffer e Matt Carroll che, insieme, hanno cominciato a occuparsi delle denunce che riguardavano 70 sacerdoti della diocesi accusati di abusi sessuali nei confronti dei giovani che frequentavano i loro istituti. Manco a dirlo denunce pronunciate a mezza bocca e, per anni, ignorate dalle autorità e dai media.
I giornalisti hanno iniziato a pubblicare il loro reportage nella primavera del 2002. I primi articoli hanno riguardato il caso di un sacerdote – John Geogham – responsabile di aver violentato un bambino di dieci anni. Il giornale ha dato seguito all’indagine dando voce alle presunte vittime e pubblicando documenti, indiscrezioni, resoconti in grado di disegnare un quadro di solide certezze.
Man mano che aumentava l’interesse per la vicenda crescevano i lettori del “Boston Globe” che è tornato a risalire la china dei bilanci in rosso per riposizionarsi su livelli di tranquillità.
I reporter di “spotlight” hanno potuto dimostrare che l’arcivescovo Bernard Francis Law era a conoscenza degli abusi ma che, per evitare il discredito sulla chiesa, aveva evitato di denunciarli. E nonostante episodi circostanziati che li accusavano, aveva concesso ad alcuni preti di continuare a operare in parrocchie frequentate da bambini.
Nella sola Boston sono stati indagati 89 sacerdoti dei quali 55 sono stati rimossi dall’incarico. L’arcivescovo è stato costretto alle dimissioni e a consegnare un migliaio di documenti che hanno rivelato decenni di abusi e d’insabbiamenti.
Lo scandalo si è allargato agli interi Stati Uniti. La giustizia penale ha avviato una serie di processi e, contemporaneamente, le vittime hanno rivendicato risarcimenti al punto che le arcidiocesi di Portaland, Tucson e Spokane hanno dovuto avviare la procedura per bancarotta.
Detta così sembra persino semplice ma l’inchiesta ha significato settimane e mesi d’indagine senza la certezza del risultato. E poi il coraggio di iniziare la pubblicazione di un reportage che, almeno all’inizio, significava contrapporsi violentemente a un’istituzione solida come la chiesa cattolica.
I giornalisti del “Boston Globe” hanno vinto il premio Pulitzer e il giornale, forte di una credibilità riverniciata, è uscito dalla crisi.
In seguito, Tom McCarty e Jhon Singer hanno messo mano alla sceneggiatura per trasformare l’indagine dei giornalisti in un copione cinematografico.
Le riprese sono iniziate due anni fa – come poteva essere altrimenti? – negli uffici e nella redazione del “Boston Globe”.
Lorenzo Del Boca