ROMA – Sono passati cinque anni esatti. Era esattamente il 13 agosto 2014, quando le agenzie internazionali diedero per prime la notizia della morte, su un campo da guerra, di un giornalista italiano. Il giornalista rimasto ucciso era ancora un ragazzo, aveva appena compiuto 35 anni, si chiamava Simone Camilli, ed era nato a Roma il 28 marzo 1979.
Figlio d’arte, in tutti i sensi, Simone aveva scelto per il futuro della sua vita il mestiere più intrigante e più bello del mondo, e che suo padre, Pierluigi Camilli, storico vice direttore della Tgr della Rai, gli aveva inculcato sin da bambino. Ma a differenza di suo padre, allevato e cresciuto alla prestigiosissima scuola del Tg1, dopo aver trascorso gran parte della sua vita a insegnare giornalismo nelle aule universitarie di mezza Italia, lui invece, Simone aveva preferito il giornalismo per immagini. Ma per far quello non hai altra scelta, non puoi stare seduto davanti ad una scrivania ad aspettare che la notizia ti venga portata sul tavolo, in quel caso la notizia te la devi andare a cercare da solo, e spesso anche nei posti più maledetti della terra.
Così è stato per lui. E un giorno, la mattina del 13 agosto 2014, a Beit Lahya, siamo a Nord della Striscia di Gaza, Simone viene investito in pieno dall’esplosione di una bomba, proprio mentre stava filmando con la sua cinepresa le operazioni di un gruppo di artificieri alle prese con ordigno inesploso e sganciato qualche giorno prima da un F16 israeliano. L’esplosione è devastante, improvvisa, inaspettata, lacerante sotto tutti i profili, e alla fine delle operazioni di soccorso la polizia locale conta accanto al corpo senza vita di Simone altri cinque cadaveri.
Giornata nera per il mondo del giornalismo. Simone diventa il diciassettesimo giornalista morto durante il conflitto nella Striscia di Gaza, e l’ultimo dei 66 cronisti di guerra uccisi nel mondo nel 2014.
Naturalmente per il giornalismo italiano il 13 agosto di quell’anno diventa giornata di lutto nazionale, ma è Papa Francesco che trova il modo per ricordare al resto del mondo che la morte di Simone non appartiene solo al dolore degli italiani.
Il Papa, in volo verso Seul, informato della morte del giovane reporter dal portavoce della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi, ai giornalisti in volo con lui e in attesa di salutarlo dice: “Vi ringrazio della vostra presenza qui ma dopo aver sentito Padre Lombardi vi faccio una proposta: restiamo in silenzio e dedichiamo una preghiera a Simone Camilli, uno dei vostri che oggi se ne è andato in servizio. Queste sono le conseguenze della guerra! È così”.
Nei mesi successivi alla partenza da Roma di Simone, suo padre Pierluigi Camilli non faceva altro che parlare ai colleghi di lui, delle cose che aveva fatto nel cuore del deserto israeliano, delle interviste esclusive che Simone aveva realizzato in Medio Oriente, dei rapporti internazionali che come producer aveva maturato vivendo tra Tel Aviv e Gerusalemme, della dimestichezza con cui raccontava quelle zone di guerra, e della magia che questo suo lavoro aveva regalato alla sua vita.
“In Italia non avrebbe mai potuto fare nulla di tutto questo”, ripeteva Pierluigi Camilli. Ma non solo questo. In Italia prima o poi qualcuno avrebbe pensato o anche detto che Simone Camilli “non poteva che fare il giornalista, se non altro perché figlio di un padre-giornalista famoso e potente”.
Pierluigi Camilli è stato davvero uno dei giornalisti più influenti e più prestigiosi della Rai, e se lo avesse voluto non avrebbe avuto nessun problema a fare assumere Simone in una qualunque comodissima redazione romana. E invece no. Il maestro-giornalista Pierluigi Camilli condivide con il figlio la soluzione meno comoda, la più difficile sul piano sentimentale, ma anche la più seria e la più sofferta sul piano professionale.
Oggi la foto di Simone è ancora su tutti i siti internet del mondo. Suo padre e sua madre, e le sue sorelle, ne siano fieri: perché un cronista che muore sul campo, così come è accaduto a Simone Camilli, con tanto di cinepresa a tracolla e cellulare pronto a trasmettere e smistare quelle immagini in ogni parte del mondo, è più che un eroe.
I funerali si tengono nella chiesa di Pitigliano, il paesino in provincia di Grosseto di cui suo padre Pierluigi era diventato sindaco, e al momento del congedo finale Pierluigi Camilli confessa ai cronisti presenti in Chiesa quello che forse nessuno si sarebbe mai aspettato da un padre distrutto dal dolore per la morte di un figlio: “Con Simone avevo parlato l’altro giorno. Gli avevo detto di stare attento, ma mi aveva risposto di non preoccuparmi, che la situazione era tranquilla. Aveva questo lavoro nel sangue, e oggi io sono fiero di lui”.
È la riconciliazione finale tra padre e figlio, padre e figlio di nuovo insieme, fortissimamente più vicini che mai, il padre maestro di giornalismo, il figlio allievo prediletto del maestro. Nessuno dei due, forse, aveva messo in conto che prima o poi sarebbe potuto accadere anche a loro.
Dopo le prime indiscrezioni di stampa che arrivano in Italia dalla Striscia di Gaza la conferma ufficiale della morte di Simone arriva dal Ministro degli Esteri, Federica Mogherini: “La morte di Simone Camilli è una tragedia, per la famiglia e per il nostro Paese”, ripete il ministro, esprimendo il suo cordoglio ai familiari e agli amici del professionista ucciso. Poi aggiunge: “Ancora una volta è un giornalista a pagare il prezzo di una guerra che dura da troppi anni e per la seconda volta in pochi mesi piangiamo la morte di ragazzi impegnati con coraggio nel lavoro di reporter. Se ve ne fosse stato bisogno, l’uccisione di Simone dimostra, ancora una volta, quanto urgente sia arrivare a una soluzione finalmente definitiva del conflitto in Medio Oriente”.
La morte di Simone Camilli diventa, così, anche icona della tragedia internazionale che da troppi anni insanguina questa parte lontana del mondo, e la Striscia di Gaza ridiventa ancora una volta, suo malgrado, cuore nevralgico e tragico del mondo mediorientale.
La sua storia professionale parte proprio dalla laurea, nel 2006, in Scienze storico-religiose, presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, dove Simone chiude il suo ciclo di studi con una tesi in Islamistica, su Sayyid Qutb e “il rapporto tra suicidio e martirio nell’Islam contemporaneo”. Inizia a fare il giornalista collaborando con l’agenzia di stampa cattolica Asia News, 2005-2006, sono gli anni in cui il suo nome compare tra gli autori del “Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2005”, presentato alla Camera dei deputati. E in quello stesso anno, inizia la sua intensa collaborazione con Associated Press.
Dopo aver coperto uno degli eventi di maggiore rilevanza mediatica di quell’anno, la morte di Papa Giovanni Paolo II, nel 2006 si trasferisce nella sede di corrispondenza dell’Associated Press di Gerusalemme, dove nel dipartimento video dell’agenzia ricopre prima il ruolo di redattore e poi di coordinamento editoriale tra la redazione Europe & Middle East e quella centrale di Londra. Sono anni di intenso lavoro per lui.
Negli anni successivi Camilli segue la Seconda Guerra del Libano (2006), racconta le conseguenze devastanti degli attacchi missilistici dei militanti palestinesi di Gaza nel sud di Israele (2006 – 2008), filma la visita del presidente americano Bush in Giordania in occasione dei colloqui con il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki (2006) e gli scontri tra le due principali fazioni politiche palestinesi Fatah e Hamas (2006). Ma sono anche suoi i reportage sullo scambio di prigionieri tra Israele e Libano (2008), sull’incidente della Gaza Flotilla (2010), sull’avanzata di Isis in Iraq e l’emergenza profughi (2014), e sui tre diversi interventi militari Israeliani contro la Striscia di Gaza tra il 2008 e il 2014, le operazione “Cast Lead”, “Pillar of Defence”, “Protective Edge”.
Ma nella sua vita non c’è soltanto il Medioriente. Simone viene chiamato a seguire e a coprire anche numerosi eventi anche in Europa, le Elezioni presidenziali in Francia del 2007, le celebrazioni per la Dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008, la Seconda guerra in Ossezia del Sud nel 2008, e il Naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio nel 2012. Poi, a metà del 2014, dunque pochi mesi prima di morire, Simone si trasferisce definitivamente in Libano all’ufficio di corrispondenza dell’AP a Beirut. Sempre sul campo, sempre nel cuore delle crisi: dall’operazione dell’esercito israeliano “Colonna di nuvola”, nel dicembre 2012, allo scambio di prigionieri per il rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, 2011; dall’arresto dell’ex comandante serbo-bosniaco Radko Mladic, maggio 2011, fino al conflitto in Georgia, fra agosto e ottobre del 2008.
Noi oggi vogliamo ricordarlo Simone Camilli, ma soprattutto perché in un momento in cui nel Paese si riapre un dibattito, mai sopito in realtà, sull’abolizione o meno dell’Ordine dei Giornalisti, è giusto ricordare a noi stessi che nel mondo ci sono ancora cronisti coraggiosi, e spesso indifesi, che tengono alto il nome della categoria, e che pagano con la vita la loro grande passione per il giornalismo. Sarebbe come tradire noi stessi il non volere, o il non sapere ricordare questi nostri eroi moderni. (giornalistitalia.it)
Ho letto, con una stretta al cuore, la dolorosa vicenda che ti ha visto presente nel momento drammatico vissuto a contatto con la morte del giornalista Simone Camilli, un ragazzo che non ho conosciuto, ma ho avuto l’opportunità di conoscere e apprezzare il suo papà, Pierluigi Camilli, negli anni vissuti in Rai.
Ti sono grata per questo dettagliato ricordo, che conduce altri ricordi, quelli legati agli anni trascorsi in una grande Azienda, lavorando a contatto con persone speciali, impegnate in un lavoro altrettanto speciale, da apprezzare e amare. E tu lo hai ricordato e raccontato. Ti abbraccio e ti auguro buon proseguimento. Continuerò a seguirti e ad avere tue notizie su Facebook.