ROMA – Nuovo provvedimento di sequestro del cellulare per il giornalista del Secolo d’Italia Silvio Leoni. Dopo che il Tribunale del Riesame aveva dato ragione al cronista annullando il precedente sequestro, è arrivato ieri un nuovo decreto da parte della procura di Ancona che contesta al cronista un diverso capo di imputazione.
Leoni era stato indagato per minaccia e intromissione abusiva in sistema informatico, dopo che, nell’ambito di un servizio sulla strage di Bologna, aveva telefonato e inviato un messaggio al presidente della Corte d’Assise di Bologna Michele Leoni. La difesa del giornalista aveva fatto ricorso al Tribunale del Riesame contro il provvedimento cautelare, ottenendo l’annullamento del provvedimento di sequestro.
Venerdì sera, però, un altro decreto della procura di Ancona ha disposto ancora una volta il sequestro del telefono cellulare di Leoni: «Il pm ha fatto un nuovo provvedimento di sequestro che giudico sorprendente», afferma all’Adnkronos l’avvocato Paolo Palleschi, legale di Leoni insieme all’avvocato Valerio Cutonilli, secondo il quale viene contestata la violenza o minaccia a un corpo, in tal caso, giudiziario: «Viene ipotizzata una nuova ipotesi di reato abnorme: il giornalista sarebbe responsabile di attentare a un corpo, in tal caso giudiziario, attraverso una condotta insistente e intimidatoria».
Secondo l’avvocato Palleschi è «ridicolo: ciò significa che il giornalista che chiede un’intervista a un magistrato, in un contesto in cui il magistrato non la dovrebbe rendere, potrebbe essere accusato di violenza o minaccia se il magistrato dovesse rilasciare dichiarazioni comportando una violazione dei doveri di segretezza e riserbo. Si tratta di un’impostazione che avrebbe conseguenze drammatiche».
Oggi, lunedì 2 dicembre, «faremo un nuovo ricorso per una questione di tutela della professionalità del giornalista e di principio», conclude l’avvocato.
Con grande rispetto e cortesia: «Una telefonata – spiega il cronista del Secolo, che si dice sconvolto per “accuse prive di fondamento” – che sarà durata 8-10 secondi».
Dopo il click, dall’apparecchio di quest’ultimo parte un messaggio whatsapp: “Gentile presidente, la volevo ringraziare della sua risposta cortese. Professionalmente può dispiacermi che lei non mi abbia rilasciato dichiarazioni sul processo, umanamente, tuttavia, devo dirle che sono felice che non lo abbia fatto”. Poi l’aggiunta: “La Giustizia ha bisogno di persone come lei. Vengo da una vecchia famiglia di magistrati e sono cresciuto nel mito di una magistratura sopra ogni cosa. Le riconosco il merito di gestire questa vicenda con grande equidistanza”. Infine i saluti: “Spero di incontrarla per un caffè, quando sarà concluso il processo”.
E a quel testo, racconta ora il cronista, «il presidente mi ha risposto con un grazie».
Di tutto si può parlare, tranne che di minacce. Anzi. E lo stesso vale per la telefonata fatta da Leoni giornalista al Leoni magistrato, il cui audio è stato inviato all’Ordine dei giornalisti e all‘Associazione di Stampa Romana, lasciando increduli i componenti.
Un’educazione e un rispetto massimo da parte del cronista nella legittima richiesta di intervista, così come una risposta (negativa) altrettanto legittima da parte del magistrato interpellato. Davvero riesce difficile – fa sapere la difesa di Leoni – trovare motivi a tal punto gravi da giustificare un provvedimento invasivo come una perquisizione e un sequestro di cellulare.
«Se basta una telefonata a un magistrato per richiedere un’intervista, addio libertà di stampa e di informazione», chiosa l’avvocato Valerio Cutonilli. (adnkronos)
LEGGI ANCHE: Caso Leoni: il Riesame dà ragione al giornalista