ROMA – Chiama un giudice al cellulare (il presidente della Corte d’Assise di Bologna Michele Leoni) e viene indagato per minaccia e intromissione abusiva in sistema informatico, con tanto di perquisizione e sequestro del telefono.
È accaduto a un giornalista del Secolo d’Italia, Silvio Leoni, a cui è stato notificato un avviso di garanzia dai carabinieri di Bologna, su delega della magistratura di Ancona.
«Reati che, ovviamente, non ho mai compiuto – spiega lo stesso Leoni, che del caso ha informato l’Ordine dei giornalisti e Stampa romana – limitandomi a telefonare pacificamente ed educatamente al magistrato, declinando le mie generalità e qualificandomi come giornalista, e a inviargli, successivamente, un messaggio Whatsapp dal contenuto elogiativo e di ringraziamento al quale il dottor Michele Leoni ha risposto “Grazie”».
«L’avvocato Palleschi che mi assiste assieme all’avvocato Cutonilli – sottolinea Leoni nella memoria – ha fatto ricorso al Tribunale del Riesame avverso il provvedimento cautelare chiedendone l’annullamento e quindi ha potuto visionare la documentazione sulla quale la Procura di Ancona basa le sue ipotesi di reato per capire come sia potuta accadere una cosa del genere».
E «sono emersi gravissimi abusi», denuncia il giornalista, che spiega come, innanzitutto, manchi una querela nei suoi confronti nonostante gli si contestino “delitti procedibili solo a querela di parte” e sottolineando anche come la Procura di Ancona abbia «stravolto completamente la relazione di polizia giudiziaria» agli atti, un rapporto «dove si attesta che la telefonata e il messaggio elogiativo, trascritto integralmente, provengono in effetti da Silvio Leoni, giornalista professionista del Secolo d’Italia iscritto all’Ordine dei giornalisti sin dal 1990».
«Ma la cosa più incredibile di questa vicenda – aggiunge il giornalista – è che gli atti vengono trasmessi alla Procura di Ancona per via di una denuncia del giudice contro ignoti per un altro fatto, ovvero un danneggiamento all’automobile del magistrato. E invece vengo iscritto io nel registro degli indagati per i reati di minacce e d’intrusione abusivo nel sistema informatico».
Nella memoria Leoni spiega come entrambi i reati che gli vengono contestati sarebbero procedibili d’ufficio solo a determinate condizioni che non ricorrono nel caso di specie.
«Nessuna di queste ipotesi può essere neanche lontanamente adombrata e presa in considerazione, ovviamente. Non sono un pubblico ufficiale, non sono un incaricato di pubblico servizio, non faccio parte di nessuna associazione segreta, non ho scritto in modo anonimo ma, anzi, mi sono qualificato con nome e cognome tanto nella telefonata quanto nel messaggio Whatsapp e ho spiegato che ero un giornalista di Roma, non sono un investigatore privato abusivo, né ho danneggiato dati, sistemi, programmi e informazioni. Né, tanto meno, ho fatto violenza ad alcuno. Non posso neanche aver minacciato nessuno con le armi attraverso un semplice messaggio Whatsapp. Ho provato a intervistare una persona nota, in modo cortese e ossequioso, e mi ritrovo indagato e privato di uno strumento essenziale per il mio lavoro come il telefono cellulare».
Insomma, «non solo i reati che mi vengono contestati sono procedibili solo per querela di parte, ma questa querela proprio non esiste», mentre «la querela trasmessa riguarda, invece, un episodio di un danneggiamento di uno specchietto dell’auto del dottor Michele Leoni, danneggiamento avvenuto, peraltro, addirittura a settembre», mentre «la mia telefonata è successiva, è del 18 ottobre. E il dottor Michele Leoni presenta una denuncia per danneggiamento il 29 ottobre. Cioè io vengo indagato per un episodio – il danneggiamento di uno specchietto di un’auto – avvenuto quasi un mese prima della mia telefonata».
Ma, si chiede il giornalista, se «la querela del presidente Leoni è contro ignoti. Non contro Silvio Leoni. E riguarda tutti altri reati, cioè il danneggiamento di uno specchietto avvenuto un mese prima della mia telefonata», se «cioè il magistrato non ha presentato alcuna querela contro di me, tantomeno per quei reati di accesso abusivo a sistema informatico e minacce, come ha potuto la Procura di Ancona compiere un abuso tanto grave?».
Se da un lato «la documentazione ricevuta in seguito al ricorso al Riesame, dunque, fa emergere un difetto di condizione di procedibilità e preclude qualsiasi azione da parte della Procura, tanto più il sequestro del cellulare», dall’altro ci si ritrova di fronte a «un’ipotesi accusatoria destituita di qualsiasi fondamento e arbitrariamente elaborata dalla procura di Ancona», che «ha stravolto completamente la portata e il contenuto dell’informativa di Polizia giudiziaria (carabinieri di Bologna) richiamata nel provvedimento che mi è stato notificato».
«I carabinieri di Bologna, infatti, nel trasmettere ad Ancona la richiesta di procedere contro ignoti per il danneggiamento dello specchietto dell’auto del presidente Michele Leoni avvenuto a settembre riferivano, incidentalmente e fugacemente, i sospetti, peraltro formulati in maniera assolutamente sfumata e generica, del presidente della Corte di Assise di Bologna circa possibili intrusioni sul proprio cellulare”, riferisce Silvio Leoni.
«Sulla base di questa annotazione, la Procura di Ancona, incredibilmente, associava le due cose con la mia telefonata e, lo ricordo di nuovo, in una condizione di totale improcedibilità, mancando la querela di parte nei miei confronti, decideva arbitrariamente di iscrivere il mio nome nel registro degli indagati con ipotesi di reato gravissime e mi sequestrava il cellulare ipotizzando una condotta “intimidatoria” pur avendo in mano, consegnatole dalla Pg, il testo del messaggio Whatsapp che era tutt’altro che intimidatorio», richiedendo peraltro al Ctu della Procura «di esaminare analiticamente, uno per uno, tutti i miei contatti (oltre 2.000) del mio cellulare per verificare – assieme ad un agente della Digos, così ha chiesto, espressamente, il pubblico ministero di Ancora – se io abbia contatti con l’eversione di destra».
Il sospetto di Leoni è che gli “abusi” nei suoi confronti siano conseguenziali “alle numerose inchieste che ho fatto in questi mesi sulla strage di Bologna”. Da qui, la richiesta all’Odg e Stampa romana di intervenire a tutela della libertà di stampa.
«Mi aspetto – scrive il giornalista – un intervento autorevole e forte tanto dell’Ordine, per ciò che gli compete anche dal punto di vista della deontologia – mi sono correttamente qualificato sia nella telefonata che nel messaggio Whatsapp – quanto del sindacato. Io, da parte mia, ho atteso pazientemente e in silenzio di ricevere la documentazione grazie il ricorso al Tribunale del Riesame. Per potervi dimostrare, carte alla mano, che io mi sono comportato correttamente. E che quanto sta succedendo è un abuso sotto tutti i profili».
L’intervento dell’Asr non si è fatto attendere: «Ogni giornalista sa quanto siano importanti i presidi e le tutele di legge a garanzia della segretezza delle fonti e degli strumenti di lavoro, tutele che discendono dal ruolo costituzionale insito nell’articolo 21 della Costituzione. Sequestrare un cellulare, controllare i contatti presenti viola questi elementari principi e rappresenta un grave vulnus dello stato di diritto. È quanto accaduto a Silvio Leoni collega del Secolo d’Italia», si legge in una nota dell’Associazione Stampa Romana.
«Leoni – spiega l’Asr – lavora da tempo sulla strage di Bologna e ha contattato un magistrato per avere informazioni. Lo ha fatto in modo corretto via telefono e whatsapp. Per tutta risposta la procura di Ancona ha sequestrato il cellulare dal quale sono partite chiamata e messaggio. I reati ipotizzati sono l’intrusione abusiva in sistema informatico e le minacce. Reati procedibili per querela di parte, querela al momento non presente come certificato dal legale di Leoni. La stessa polizia giudiziaria riscontra il comportamento corretto del collega. Tutta da dimostrare la stessa competenza territoriale della procura marchigiana. La strage di Bologna resta un nervo scoperto della nostra storia ma questo non giustifica provvedimenti abnormi della magistratura non basati su fatti. Chiediamo alla procura di Ancona la restituzione dello strumento di lavoro e la non compromissione di contatti e fonti di Leoni al quale va la solidarietà di Stampa Romana».
Sul caso è intervenuta anche la politica.
«Il giornalista Silvio Leoni, da sempre grande conoscitore delle dinamiche storiche legate al terrorismo nazionale ed internazionale operante in Italia negli anni della Guerra Fredda, ha la nostra completa solidarietà per le accuse rivolte dalla procura di Ancona. Leoni lavora da tempo sulla strage di Bologna e ha correttamente contattato un magistrato per informazioni, utilizzando il telefono e Whatsapp. I reati ipotizzati, intrusione abusiva in sistema informatico e minacce, sono procedibili solo per querela di parte, che ad oggi non è presente come certificato dal legale di Leoni», dichiarano i parlamentari componenti dell’Intergruppo “2 agosto, la verità oltre il segreto sulla strage di Bologna”, Federico Mollicone, Carolina Varchi, Paola Frassinetti, Isabella Rauti, Galeazzo Bignami.
«Annunciamo un quesito in commissione al ministro Bonafede a cui chiederemo di inviare degli ispettori alla procura di Ancona al fine di chiarire le modalità investigative che hanno portato al sequestro dello strumento di lavoro di Leoni, e l’eventuale sua immediata restituzione, così da salvaguardare il lavoro giornalistico, svolto deontologicamente da Leoni, accertando quindi che i diritti costituzionali garantiti alla stampa non siano stati violati». (adnkronos)
Telefona al giudice per la strage di Bologna: avviso di garanzia e telefono sequestrato