COSENZA – «È stata davvero lunga la mia epopea giornalistica in Rai. Dall’inizio, fino al giorno della pensione, la Rai è stata la mia casa, e credo di avere avuto da questa azienda più di quanto io stesso potessi desiderare. Lo riconosco, fare poi il giornalista Rai in Calabria non è stato facile, soprattutto in passato, quando cioè questa regione sembrava enormemente complessa e lunga da percorrere. Penso alle strade, erano fatte solo di curve e tornanti, che riducevano la nostra vita ad un frappè. Si arrivava sbattuti, esausti, stanchi, dopo ore e ore di marcia. Da Cosenza a Catanzaro, passando per Rogliano e toccando Soveria Mannelli, si contavano 1867 curve diverse. Non è una battuta, erano esattamente 1867. Da Cosenza a Reggio Calabria servivano invece dalle cinque alle sei ore di macchina. Ricordo che si sostava a Vibo per il cambio dei cavalli, noi dicevamo così, un caffè e due panini, poi si riprendeva il lungo viaggio. A Cosenza io divenni persino Caporedattore, un lavoraccio ed una grande responsabilità che porto ancora sulla mia pelle. Oggi la sede è faraonica, ma non fatevi ingannare: se sentite qualcuno mugugnare, scalciare, strepitare contro l’Azienda, non preoccupatevi più di tanto. La Rai non la lascerà mai davvero nessuno».
Cosenza, centro storico, Salone degli Specchi, la casa di rappresentanza della Provincia di Cosenza. In sala, ad ascoltare la lezione di giornalismo del vecchio guru del giornalismo televisivo calabrese Emanuele Giacoia, ci sono centinaia di persone. L’occasione è la consegna del Premio alla Carriera che quest’anno il Rotary Presila Cosenza Est ha dedicato a lui nel quarantennale della nascita della Tgr e dell’Informazione Regionale.
«Il Rotary Club Presila Cosenza – si legge nella motivazione ufficiale del Premio – conferisce il “Premio Abete d’Argento 2019” la cultura dell’eccellenza a Emanuele Giacoia premio alla carriera giornalistica»”. E aggiunge: «Volto e voce storica della Rai, per il suo racconto fedele e scrupoloso della nostra terra di Calabria, nonché per il servizio di informazione reso sempre con professionalità e rigore. Modello e maestro indiscusso di giornalismo a livello nazionale per la sua indipendenza culturale e professionale, nonché per una visione moderna del fare cronaca che fa della signorilità e del garbo la chiave distintiva per la lettura di ogni suo successo».
Quest’anno, il Premio alla Carriera a Emanuele Giacoia coincide anche con la sua festa di compleanno.
90 anni ben compiuti il 4 marzo scorso, o meglio 90 anni meravigliosamente ben portati, straordinariamente rappresentati, orgogliosamente palesati, e che non sono soltanto la festa di compleanno di un grande telecronista sportivo come Emanuele Giacoia, ma sono soprattutto la festa di compleanno di un’intera generazione di radiocronisti e telecronisti, quelli di “Novantesimo minuto” e che hanno fatto grande il nome e l’immagine della Rai nel mondo.
I suoi compagni di viaggio, in tutti questi lunghi anni di radiocronache e telecronache sportive, sono stati davvero tanti, e il “grande vecchio” Emanuele Giacoia, come oggi in Calabria tutti lo chiamano, li ricorda uno per uno, senza mai temere un calo di memoria o peggio ancora un errore di sottovalutazione, «aspettando con immensa emozione – sottolinea – di rivederli tutti, e riabbracciarli tutti insieme, il prossimo 10 gennaio alla festa che la Rai ha organizzato negli studi di Via Teulada a Roma proprio per ricordare questa famosissima trasmissione radiofonica». Da Nicolò Carosio ad Alfredo Provenzali, Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Riccardo Cucchi, Claudio Ferretti, Ezio Luzzi, Piero Pasini, Enzo Foglianese, Gianfranco Pancani, Massimo Valentini, Tito Stagno, Carlo Sassi, Mario Giobbe.
E ancora: Nando Martellini, Bruno Pizzul, Alfredo Pigna, Giampiero Galeazzi, Claudio Icardi, Paolo Valenti, Giorgio Bubba, Lugi Necco, Ninì Talamo, Fabrizio Maffei, Beppe Viola, Andrea Boscione, Nico Sapio, Tonino Carino, Alfredo Pigna, Maurizio Losa, Italo Moretti, Luca Liguori, Italo Gagliano, Mario Gismondi, Adriano De Zan, Lello Bersani, Paolo Frajese, Marcello Giannini, Gianni Minà, Aldo Agroppi, Everardo Dalla Noce, Arnaldo Verri, Nuccio Puleo, Cesare Viazzi, Mario Guerrini, Carlo Nesti, Cesare Castellotti, Livio Forma, fino ai più giovani: Tonino Raffa e il grande Marco Civoli, una generazione di cronisti sportivi che hanno accompagnato con la loro voce, le loro cadenze, i loro tic personali e la loro simpatia milioni di italiani per almeno 50 anni di vita italiana.
Attenzione, però, Emanuele Giacoia non è stato soltanto un grande cronista sportivo della Tv di Stato, ma per una certa fase della sua vita è stato anche il Capo della Redazione Giornalistica della Sede Rai della Calabria, interprete insuperabile delle tensioni e delle speranze del popolo calabrese di quegli anni, ed è stato soprattutto per la gente di Calabria, lui campano, uno degli opinionisti più influenti e più autorevoli del suo tempo e del suo mondo, catapultato in Calabria quasi per scherzo dalla storica sede Rai di Napoli dove aveva appena incominciato a lavorare come annunciatore.
«Oggi forse pochi sanno – sorride Emanuele Giacoia – che la sede Rai calabrese vanta un record nazionale. È quello cioè di essere stata la prima sede Rai del dopoguerra. Solo più tardi, dopo Cosenza infatti, la Rai tenne a battesimo molte delle altre sue sedi regionali. Una per ogni regione. Dopo di noi, ricordo Potenza, Perugia, Pescara. E pochi sanno ancora che Il Corriere della Calabria, o il Gazzettino (come si dice ancora oggi), andava già in onda dalla sede Rai di Napoli, e questo accadeva ancora prima che venisse trasmesso Il Corriere della Campania.
Altro primato storico. Io allora ero a Napoli. Capo redattore c’era Enrico Mascilli Migliorini. In redazione, ricordo, affluivano le notizie che venivano inviate dai corrispondenti della Calabria. A Reggio avevamo dei colleghi molto bravi, Giuseppe Tassoni, Antonio La Tella, Franco Cipriani, Domenico Morace. Ma da Reggio Calabria arrivavano anche i servizi registrati di Ninì Talamo. Ricordo ancora perfettamente bene le buste del buon Ninì, legate con tanto di nastrino dentro, e alle 12.10 in punto, allora come oggi, ecco gli annunciatori correre a leggere i testi preparati dalla redazione napoletana del giornale radio. Ricordo, via etere, attraverso i ponti e i centri televisivi il Corriere veniva diffuso in tutta la Calabria.
Allora, era il 1957, più di quarant’anni fa, io ero annunciatore a cachet, venivo pagato a prestazione, una specie di lavoro a cottimo. La cosa mi faceva un po’ ridere, mi ricordava la pubblicità del cachet Fiat: sui cartelloni una specie di mago con tanto di tuba in testa e con un gesto delle mani un tantino provocatorio ed osceno propagandava appunto il cachet Fiat. Ma quando, a fine mese, andavo a ritirare la mia busta alla cassa trovavo la cosa meno ridicola e decisamente piacevole. Già a quei tempi quel poco che mi davano mi pareva una somma enorme. Incominciai da Napoli, dunque, a snocciolare le prime notizie sulla Calabria. Curiosità, fatti di cronaca, notizie, avvenimenti di una regione che allora mi pareva sonnacchiosa, tranquilla, bonacciona, tradizionale. I toni drammatici e preoccupati della Calabria di questi anni erano ancora assai lontani. Ricordo che mi incuriosivano i nomi di alcuni paesi, Longobucco, Papasidero, Acquaro, Serrastretta, Cosoleto, Africo e via dicendo. Mi chiedevo: ma che accidenti di paesi saranno mai questi, con questi strani nomi?».
Nessuno meglio di lui può oggi ricostruire e raccontare la nascita della Sede calabrese della Rai, quando per la prima volta mise piede a Cosenza quello straordinario animale del giornalismo italiano che rispondeva al nome di Enrico Mascilli Migliorini. Era esattamente il 12 dicembre 1958.
«Quel 11 dicembre di 40 anni fa al numero 25 di Via Montesanto, al quinto piano di quel vecchio palazzo, in una Cosenza piovosa – ricorda Emanuele Giacoia – c’ero anch’io. Ricordo che per mandare su al quinto piano autorità e invitati ci fu qualche problema per via di un improvviso blackout. Allora, quarant’anni fa, si diceva più semplicemente “è andata via la luce”. L’ascensore si fermò per qualche minuto, vai a capirne il perché. La Rai preoccupatissima aveva fatto venire apposta un tecnico specializzato, un ascensorista. Ma questo non impedì che al pianterreno si vivessero momenti di panico generale. La maggior parte di noi si domandava: “Come facciamo ora a mandare su l’ingegner Rodinò, l’allora amministratore delegato della Rai?”, “E il vescovo mons. Aniello Calcara, poeta e pastore della Chiesa cosentina?”. Per fortuna il blackout durò poco. Come Dio volle la corrente elettrica tornò subito dopo, e nessuno di loro fu costretto a quei cinque piani a piedi. Per tutti noi, quel giorno, incominciava una straordinaria avventura».
– Direttore, ma come fa a ricordare tutto questo con perfetta lucidità? Sono passati 60 anni da quel giorno…
«Come potrei non ricordare? Vedi, quel primo giorno fu davvero un grande evento per tutti noi. Spesso e volentieri nel nostro essere giornalisti si fa uso ricorrente ad aggettivi esagerati, e lo si fa per qualunque argomento, anche il più banale, “planetario”, “mitico”, “la fine del mondo”, poi in realtà si sta seduti da Mc-Donald a mangiare un banalissimo panino freddo e magari anche senza nessun sapore speciale. Uso questa metafora per spiegare meglio che cosa rappresentò la nascita della Rai in Calabria. Quel 12 dicembre del ‘58 fu davvero una giornata storica per il Paese, e lo fu soprattutto per la Calabria. Il Corriere della Calabria, che fu il primo appuntamento radiofonico irradiato dalla sede Rai di Cosenza, fu in realtà il primo vero biglietto da visita che questa regione, dopo le tragedie delle alluvioni degli anni precedenti, potè offrire agli ascoltatori di tutta Italia. Furono tredici puntate in tutto, una più geniale e più accattivante dell’altra, che decretarono il successo nazionale della formula e dei conduttori, che eravamo io e Ninì Talamo, lui Ninì Talamo davvero bravissimo. Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma 60 anni dopo, la lunga e affascinante storia della Rai in Calabria è ancora tutta da scrivere, e la fine è ancora tutta da scoprire e da raccontare”.
Ancora oggi, nonostante Emanuele Giacoia sia fuori dalla Rai da oltre 25 anni, la gente che ci incontra per strada, soprattutto noi che allora eravamo considerati i suoi ragazzi e i suoi discepoli, non fa che chiederci in continuazione «Come sta?», «Dov’è finito?», «Perché non lo si vede più al telegiornale?», segno palpabile dell’amore che la gente aveva verso di lui e che ha ancora per lui.
«Quando l’avvocato Mascilli Migliorini mi chiese di seguirlo in Calabria era chiaro che non si trattava di una gita fuori porta. L’avvocato mi stava proponendo l’assunzione nella nuova sede che stava per nascere a Cosenza. Accettai immediatamente, anche se della Calabria sapevo ben poco. Ricordo che allora, chissà perché? immaginavo che il capoluogo di regione fosse Reggio Calabria. Forse perché sui libri di testo, e sulle carte geografiche, il puntino che lo indicava era più evidente di quello che segnava Catanzaro e Cosenza. Sapevo qualche cosa della Sila, ma la immaginavo una località misteriosa. La conoscenza che avevo della regione dove mi sarei presto trasferito finiva lì, anche se a furia di leggere decine e decine di Gazzettini la mia cultura si era arricchita di quei nomi da Paese dei Balocchi. Ricordo Cinquefrondi, Brognaturo, Intavolata, Acquappesa, Castroregio, Spilinga, ma dove saranno mai?
In Calabria arrivai un mese prima della inaugurazione ufficiale della sede. E il mio primo appuntamento ufficiale risale al novembre del 1958. Mi mandarono a Paola per un primo collegamento radiofonico con una trasmissione di Mike Bongiorno. Si chiamava Il Campanile d’oro: Era una sfida tra comuni, che si combatteva a suon di quiz, riguardavano la storia locale, la geografia, la storia culinaria e le tradizioni di una località e di una regione d’Italia. Io, ricordo, curavo il collegamento con lo studio centrale di Roma dove c’era Mike Bongiorno, mentre da un altro comune d’Italia arrivavano le voci e i rumori del secondo paese in collegamento con la trasmissione. Paola venne eliminata dal gioco, ma in seguito toccò a Bagnara. La città del pesce spada arrivò in finale, ma questa è un’altra storia ancora. Bene in quella occasione conobbi per la prima volta i tecnici calabresi che erano stati chiamati all’allestimento di questa prima trasmissione nazionale, Ciccarone, Esposito, e ultimo più giovane di tutti Roberto Salvia, di cui sarei poi diventato amico carissimo. Il giorno dopo la trasmissione mi portarono in macchina a Cosenza perché mi rendessi conto di quale sarebbe stato il mio nuovo posto di lavoro. Era novembre, pioveva, una giornata uggiosa, senza colore. Non ne fui entusiasta…».
Il vecchio Emanuele Giacoia oggi è attorniato dalla sua grande famiglia, un uomo tutto di un pezzo, avvolgente, ironico, istrionico, straordinariamente ed eternamente affabile, un giornalista severo, scrupolosissimo, rispettoso della notizia, ma soprattutto un cronista alla vecchia maniera, profondamente rispettoso dei sentimenti e dell’umanità della gente che ha incontrato nella sua vita. Così lo si vedeva in televisione, ma così Emanuele è sempre stato per tutti noi nella vita di ogni giorno.
Il vecchio Maestro non ha dubbi e sulla sua torta di compleanno ha chiesto al figlio prediletto Riccardo che dal pasticcere venisse scritta questa frase «Vi aspetto tra dieci anni, sempre qui!». Intanto aspettiamo il prossimo 4 marzo 2020, per il suo novantunesimo compleanno. Auguri Direttore. (Pino Nano/giornalistitalia.it)