ROMA – Mi rendo conto che troppe volte abbiamo sprecato la parola “Maestro”. Ora che Sergio Zavoli non c’è più è il caso di recuperarne seriamente il significato autentico. Lui, “Maestro” lo è stato come nessun altro. Per quanto mi riguarda – amicizia e devozione infinite a parte – il più grande giornalista (e scrittore) multimediale della storia di questo Paese. Mi auguro che la RAI, che ultimamente gli aveva dato qualche delusione, abbia il buon gusto e l’intelligenza di recuperare, valorizzare e diffondere i suoi capolavori. Per lui informazione è sempre stata soprattutto cultura e impegno civile.
Non ho nulla da aggiungere, in questo giorno tristissimo, a quello che scrissi su di lui poco meno di due anni fa.
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Voglio ricordare i 95 anni appena compiuti di Sergio Zavoli. Perché gli voglio bene, perché è un Padre di questo Paese, perché è il più grande giornalista italiano vivente, perché è uno dei più amati figli della mia stessa terra, perché gli debbo tanto: anche quello che non sa.
Quando qualcuno, succede ancora, mi dice o mi scrive (anche su FB) “che ne vuole sapere lei che è solo un giornalista sportivo”, mi consolo (compatendo spesso il mio interlocutore) pensando che anche Zavoli è stato ed è, nel cuore, un narratore di cose di sport.
Ultimamente ha preferito emarginarsi un po’: si vuole troppo bene perché gli altri pensino che la sua immagine non sia più “perfetta”. E sbaglia! Perché non ha perso un grammo né del fascino (declinato in tutti i suoi aspetti, estetici, umani e culturali), né della capacità di ammaliarti con la sua ruvida eppure pacata saggezza.
Fra i tanti che credono di aver “inventato” il giornalismo (o la televisione), lui può dire – e non lo dirà mai – di averlo fatto veramente: passando dal “pop” più magistrale del suo irraggiungibile “Processo alla Tappa” (una rete da pesca nel costume stesso dell’Italia) fino ai documentari storici “Nascita di una Dittatura” e “Notte della Repubblica”, autentici capolavori didattici da cui nessun corso scolastico di un Paese “normale” potrebbe prescindere.
Nel mezzo, una vita. La sua vita. Le sue venti vite (da Presidente della Rai a Senatore della Repubblica). E le sue selezionatissime amicizie. Insostituibile quella di Federico Fellini, che aveva due-tre anni più di lui, che aveva assaporato il suo stesso humus prima di andare a costruire la sua (e la nostra) fortuna, col quale aveva una complicità tutta romagnola, fatta di silenzi e di battute taglienti. Una delle volte che lo andai a trovare al settimo piano di Viale Mazzini (“Ma ti rendi conto che mi fanno perdere tempo a fare il Presidente di questa Azienda, quando potrei essere più utile lavorandoci?”), mi fece vedere il famoso telegramma che Fellini gli mandò il giorno della sua nomina a Presidente. C’era solo scritto: “Osta te”. Intraducibile nelle sue sfumature quasi carsiche di felicità, ammirazione, humor e, forse forse, presa in giro. Più o meno: “Accipicchia dove sei finito”. Avevano cominciato insieme nella loro Rimini appena liberata. Sergio si era procurato degli altoparlanti che gracchiavano fra case e spiaggia, chiamando audacemente quell’impresa “Publiphono Radio Mare”. Creò un palinsesto fatto di cronache di ogni tipo. Lo ascoltò un dirigente Rai e lo portò a Roma. Non esisteva ancora la parola “start up”: ma il coraggio, il talento e il genio per fortuna sì. E lui li aveva tutti!
Grazie di tutto Sergio. Ripeto, anche di quello che non sai.
Marino Bartoletti
Io, orgogliosamente uomo di destra, sottoscrivo in toto quanto ha scritto Marino Bartoletti. Non si discute il giornalista e maestro Sergio Zavoli e tanto meno il gran signore che egli fu. Ho avuto la buona ventura di conoscerlo da vicino avendolo avuto come collega al Senato e molto sono stato accostato a lui, persona meravigliosa e disponibile, sempre appellandolo con il termine di maestro e dandogli rigorosamente del LEI. Stargli vicino e discutere con lui, di qualsivoglia argomento, era un godimento dello spirito. Un signore in tutto.