FIRENZE – È stata una bellissima giornata di festa per lo storico direttore dell’Ansa Sergio Lepri e per tutto il giornalismo. L’omaggio della sua Firenze, in Palazzo Vecchio, per i suoi 100 (cento) anni è culminato nell’invito rivoltogli dal sindaco Dario Nardella a partecipare alle celebrazioni del prossimo 25 aprile.
Lepri, testimone e protagonista di un secolo, ci ha fatto venire il magone quando ha detto che da giovane lo riempiva di commozione ascoltare la Marsigliese e che oggi si commuove ascoltando “Bella ciao”. Poco prima, ricordando la Liberazione di Firenze, aveva tirato fuori dalla tasca la fascia tricolore con il Pegaso, il cavallo alato simbolo del Comitato toscano di liberazione nazionale, che quel giorno aveva al braccio. Ma soprattutto ci ha di nuovo dato l’ennesima lezione di giornalismo, sull’importanza della libertà di informazione e di visione della nostra professione che lui aveva chiarissima già decenni fa, a tutti noi, capi che si sono succeduti alla guida della redazione Ansa di Firenze, davanti ad alcuni suoi successori, Giulio Anselmi, Giampiero Gramaglia e Luigi Contu, ai colleghi e soprattutto alle splendide colleghe della redazione Esteri alcune delle quali arrivate da lontano, ai colleghi della sede centrale di Roma.
Per tutti c’è stato un abbraccio, una stretta di mano, una foto, un ricordo condiviso, a cominciare dalla raccomandazione che ci fece al momento dell’assunzione all’Ansa: “Non mi interessano le sue posizioni politiche o come vota. Cerchi di non farmele sapere dalle cose che scrive per l’Ansa…”.
Una grande lezione sempre valida per chi intende ancora il giornalismo come servizio alla comunità. Mi permetto, ma solo alla fine, una nota personale: gli ho ricordato che nel 1986, da pochi mesi assunto all’Ansa, arrivò una sua letterina con una mia notizia con una riga sottolineata con la matita copiativa rossa. Avevo scritto di Dossetti al quale era dedicato un convegno definendolo “… il noto sacerdote …”. A fianco una nota di suo pugno: “Noto? Noto a chi?”. Inizialmente mi corse un brivido per la schiena, poi capii che il direttore “mi” leggeva, “mi” correggeva e “mi” insegnava. E anche oggi “mi” e “ci” ha voluto rassicurare: “Fabbri, non ti preoccupare. Di lettere così ne ho mandate tante e nessuna percorreva la via gerarchica. Lo sapevamo solo io, il segretario di redazione Mihelj ed il destinatario…”. Mi è venuto da piangere. Grazie Direttore. (Stefano Fabbri/giornalistitalia.it)
LEGGI ANCHE:
I 100 anni di un Maestro