TORINO – Siete di quelli che ancora pensano che dare a qualcuno dell’uomo, o della donna, di m. sia infamia meritevole di querela? Retrogradi.
Roberto Pelucchi, giornalista sportivo afflitto da evidente permalosità, si è permesso di denunciare dei galantuomini che sul sito «atalantini.com» lo avevano definito «infame», «bastardo» e «uomo di m.». Ma il giudice di Bergamo, perché c’è un giudice a Bergamo, ha rigettato la richiesta con poche ma definitive parole. «In ambito sportivo un insulto generico ci può anche stare».
Un insulto specifico no, nemmeno lì. Ma un insulto generico, nel ruttodromo del calcio, fa quasi simpatia. Specie se lanciato da ultrà che si nascondono dietro nomi di facciata. Un accorgimento – scrive il giudice – che «toglie carica all’insulto rispetto alle offese fatte con nome e cognome».
Se, dunque, vi assale la voglia di mandare genericamente a stendere qualcuno, non frenate l’istinto. Riempitelo pure di m., purché a volto coperto e senza declinare le vostre generalità.
Va, inoltre, considerato che il Pelucchi era intervenuto su quel sito per difendere un suo articolo. Decisione che il giudice considera quantomeno imprudente. «Chi si mette a correre per strada durante la festa di Pamplona non può lamentarsi più di tanto se qualche toro finisce per incornarlo». Che sarebbe un consiglio saggio, se provenisse dal gargarozzo di una vecchia zia. Mentre chi parla è uno che in teoria dovrebbe fare rispettare le leggi. Invece sta dicendo che quando vieni rapinato in un vicolo buio a mezzanotte, non solo il reato non esiste, ma se lo denunci sei pure un po’ coglione (insulto generico). (La Stampa)