PESARO (Pesaro e Urbino) – Le hanno sequestrato alle 7 di mattina il suo telefonino, per copiare numeri, sms, traffico telefonico, foto, messaggi su facebook, twitter, whatsapp e hangouts. Militari della Forestale hanno perquisito la sua casa, camera e salotto, con i familiari inebetiti, consegnandole poi un decreto che la informava di essere indagata per rivelazione di segreti d’ufficio in concorso con un pubblico ufficiale e pubblicazione di atti coperti da segreto.
Un’accusa ancor più grave perché ipotizza l’ingiusto vantaggio patrimoniale per la giornalista, ossia la retribuzione dell’articolo: 9 euro lordi. L’accusano anche di favoreggiamento, cioè di aver aiutato delle persone a farla franca mentre erano indagate su un traffico internazionale di nidi di falco.
Lei è una nostra giornalista, Elisabetta Rossi, 42 anni, laureata in legge, cronista di giudiziaria da molti anni, colpevole di aver scritto giovedì 23 giugno un articolo riguardante questo commercio di nidi, su cui la procura di Pesaro indagava da almeno 7 mesi (la prima perquisizione a carico degli indagati è del 5 dicembre 2015).
Contro il sequestro, che risale al 27 giugno scorso, l’avvocato Francesco Coli che tutela la nostra giornalista ha fatto ricorso al tribunale del Riesame (presidente Marinelli, a latere Morosini, relatore De Luca) chiedendo l’annullamento di quei sigilli al telefonino. Il Riesame ha annullato il sequestro disponendo la riconsegna del telefonino perché è stato sequestrato solo per «meri intenti esplorativi». Cioè senza sapere perché ma per vedere che cosa contenesse.
Inoltre, il Riesame scrive che non è stato pubblicato alcun atto coperto da segreto «…per tale contestazione – scrivono i giudici – vi è difetto assoluto di pertinenzialità del sequestro del telefono della giornalista in quanto riferito al possibile momento dell’approvigionamento della notizia e non a quello della loro pubblicazione».
In poche parole, il tribunale del Riesame ha annullato il sequestro del telefonino della giornalista Rossi perché non ha violato segreti visto che l’indagine era conosciuta dai primi indagati fin dal 5 dicembre 2015 perché sottoposto a perquisizioni, non c’è stata pubblicazione di atti segreti perché non è stato pubblicato un solo scritto o documento di indagine né è stata prodotta una prova che faccia emergere il contrario, né ci può essere stato vantaggio patrimoniale.
Ma nel frattempo cosa è successo? Il telefonino, dal 23 luglio scorso, non è stato riconsegnato e la giornalista non può lavorare come avrebbe diritto di fare. È stata interrogata dal pm Bascucci a cui non ha rivelato la fonte (obbligo deontologico) da cui ha preso spunto per i suoi articoli sui nidi di falco depredati. Ma dopo la mancata restituzione del cellulare, ad Elisabetta Rossi è stato notificato ieri un secondo decreto di sequestro del suo telefonino (che è in mano degli inquirenti da un mese) ed anche un incidente probatorio per un nuovo interrogario a cui verrà sottoposto anche un militare della forestale.
C’è altro: il pm ha fatto ricorso in Cassazione contro l’annullamento del sequestro ed è stato chiamato per essere ascoltato come persona informata sui fatti anche il capo della redazione Luigi Luminati, che diede l’ok alla pubblicazione degli articoli. Ci si chiede se vale ancora la regola che un giornale e un giornalista vadano giudicati sia all’edicola che in tribunale per la loro credibilità o perché impegnati a favorire i trafficanti di nidi di falco?
Roberto Damiani – Il Resto del Carlino