RENDE (Cosenza) – Se c’è una cosa che mi ha sempre sostenuto nei momenti più difficili di questi miei quattro mesi da direttore dell’Ora è stata la compattezza d’intenti, profonda e non fittizia, di tutta la redazione. Ho sempre avuto la sensazione che i miei colleghi meritassero il meglio da parte mia non solo per il lavoro profuso da quando sono arrivato, ma anche per la loro storia pregressa. Una storia difficile, come per tanti giornalisti, qui in Calabria, una storia che li aveva quasi spenti nell’entusiasmo e nella fiducia in se stessi.
Già prima dell’Oragate l’atmosfera in redazione era cambiata, più serena, più coinvolta. Ma quell’evento, grave e indegno, ci ha uniti ancora di più, ci ha reso consapevoli tutti dell’importanza di una testata libera, “senza bavagli”, ha riacceso in ciascuno di noi il senso più autentico e profondo della missione giornalistica: informare, ma anche svegliare le coscienze, provocarle, richiamarne l’attenzione sui valori e sui diritti traditi.
Il dialogo con i lettori è cresciuto enormemente, il loro affetto, la loro attenzione ha centuplicato le nostre energie, ci ha fatto sentire in qualche modo utili, al servizio della Calabria. Per questo abbiamo lavorato indefessamente in condizioni quasi impossibili. Nelle redazioni periferiche era stato staccato il collegamento Internet e telefonico, a Reggio persino la corrente elettrica.
Abbiamo sfidato il tempo, le difficoltà, le inquietudini relative all’incertezza del nostro futuro solo in difesa della nostra e della vostra libertà, convinti che una terra dove si impedisce l’uscita di una notizia scomoda è una terra senza speranze.
In tanti, si sono dimenticati dei loro magri stipendi, delle loro sacrosante rivendicazioni e hanno dato il massimo, senza limiti d’orario, presi dal fervore della giustizia e dell’impegno etico-sociale. Quel passato difficile, che ho visto dipinto negli occhi dei miei colleghi la prima volta che ho varcato la soglia della redazione, però è un macigno nella palude che prima o poi era destinato a tornare a galla.
Come vi avevo preannunciato la “C&C”, la società che ci edita nell’esercizio del 2013, ha accumulato un passivo di oltre 600mila euro con il nostro stampatore (l’Umbé della telefonata del “cinghiale ferito”, ndr) che per altro, mi consta personalmente, pratica tariffe molto più alte del valore di mercato. Ho incontrato il top-manager di uno stabilimento di Bari che stampa quotidiani nazionali, chiedeva 25mila euro in meno al mese per le tre edizioni in full-color, mentre De Rose è attrezzato solo per il colore limitato alla prima e a poche altre pagine.
Adesso con l’azienda in liquidazione, De Rose si è fatto sotto. Vuole la nuda testata. La sua è la sola dichiarazione d’intenti scritta, l’altra è quella di Ivan Greco, titolare dell’agenzia “Pubbliora” che cura la nostra pubblicità, nonché ex socio minoritario della C&C. Ebbene Greco, lo scorso 11 aprile, dopo essere stato da De Rose mi è venuto a dire, da parte dello stampatore, che se anche prendesse lui la testata io e la redazione non avremmo nulla da temere perché “Umbè” la darebbe proprio a Greco e quindi noi potremmo continuare tranquillamente il nostro lavoro.
Una proposta che ovviamente ho subito respinto: potrei io lavorare per un giornale che appartiene a colui che faceva pressioni perché io togliessi la “cazzi e notizia” dell’inchiesta giudiziaria aperta sul figlio del senatore Gentile? Neanche se De Rose non comparisse lo farei. Mi sembrerebbe di tradire me stesso, i lettori, ma anche la mia redazione.
Tutto questo ho deciso su due piedi e nel silenzio. Ma ieri dopo un incontro tra il Cdr e il liquidatore, abbiamo maturato insieme la preoccupazione che la testata finisca, direttamente o indirettamente, proprio allo stampatore “censore”. Per altro (e per assurdo), in base ai pareri legali che io stesso ho voluto acquisire, se anche un imprenditore esterno acquistasse semplicemente la nuda testata, si troverebbe a rischiare che De Rose chieda l’annullamento della vendita stessa (la cosiddetta azione “revocatoria”), facendo valere il suo maggior credito. Quindi, in questa procedura di liquidazione, lo scenario si fa sempre più drammatico e fosco. Così, riuniti in assemblea, reagendo esattamente come me dopo quella proposta, che a me parve “indecente”, i colleghi hanno indetto lo sciopero.
Un atto di protesta, ma anche di rispetto verso di i lettori. Innamorati noi tutti del nostro mestiere non possiamo, tuttavia, accettare inerti che le cose finiscano in questo modo. Io sono dalla parte della redazione e dalla parte dei lettori. Quindi mi unisco allo sciopero dei miei colleghi, perché l’Ora non finisca nelle mani di colui che ne voleva alterare il contenuto, ponendosi come “garante” e “mediatore” del senatore Gentile e di suo figlio e che poi, quando fu sicuro che la “cazzi e notizia” non sarebbe stata rimossa, comunicò nottetempo un “guasto alla rotativa”.
La magistratura cosentina sta indagando su Andrea Gentile e Umberto De Rose per quella orrenda telefonata, per gli sms mandati da entrambi ad Alfredo Citrigno, la sera del 18 febbraio. L’accusa è di “violenza privata”. Come si può tollerare, al di là di quello che sarà il verdetto giudiziario, un simile epilogo? Non sappiamo chi possa aiutarci, né in che modo uscire da questo incubo. Ma questo sciopero per noi è un grido d’aiuto, un allarme, anche se ci pesa sospendere il dialogo con i lettori.
Con ogni mezzo cercheremo di difendere l’autonomia della testata e la nostra personale dignità. L’Ora in mano a De Rose sarebbe morta, morta in ciò che è stata in questi mesi, subirebbe un’altra violenza. Noi continuiamo a sperare che qualcuno intervenga a livello istituzionale e/o imprenditoriale. O che magari noi stessi, con l’unione e la forza che abbiamo maturato, concentrando le nostre energie riusciremo a trovare una soluzione da soli, che salvi il nostro lavoro, ma anche la nostra libertà e il bisogno di porci davanti ai nostri cari lettori con la trasparenza e l’onestà di sempre. Amiamo l’Ora, ma l’Ora non è un semplice brand. È la voce di tutti, è il nostro e il vostro pensiero insieme.
Ed è questo che nessuno potrà sottrarci, questo che porteremo “addovunque”, come direbbe De Rose, qualunque cosa accada. Nessuno può tapparci la bocca, la vera Ora è questa squadra, che voi ormai conoscete, non basta acquisire una testata per ingannarvi. Un abbraccio a tutti e buona Pasqua.
Luciano Regolo