ROMA – La Corte di Cassazione ha, finalmente, messo la parola fine al contenzioso giudiziario originato dall’illegittimo licenziamento, in tronco e “con effetto immediato”, della giornalista Rossana Caccavo, consigliere del Sindacato Giornalisti della Calabria, avvenuto con una comunicazione di dieci righe consegnatale a mano, il 15 aprile 2013, appena cinque giorni dopo la sua elezione a fiduciario di redazione dell’emittente televisiva Esperia Tv del Gruppo Marrelli di Crotone.
La Suprema Corte (Antonio Manna presidente, Gabriella Marchese relatore, Adriano Piergiovanni Patti, Matilde Lorito, Carla Ponterio consiglieri) ha, infatti, rigettato il ricorso di Esperia Tv condannando l’azienda all’ulteriore pagamento delle spese processuali, liquidate in 5mila euro per compensi, 200 euro per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Confermato, quindi, il giudizio della Corte d’Appello di Catanzaro (Emilio Sirianni presidente, Gabriella Portale consigliere, Barbara Fatale consigliere relatore) che, a sua volta, aveva fatto proprio quello del Tribunale di Crotone riconoscendo alla giornalista il risarcimento dei danni e autorizzando la procedura di pignoramento nei confronti di Esperia Tv.
In definitiva, Esperia Tv è stata condannata in tutti e quattro i gradi di giudizio attivati (ordinanza del Tribunale di Crotone del 2014, sentenza di primo grado del Tribunale di Crotone, sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Catanzaro e ordinanza della Corte di Cassazione) per la “cacciata” della giornalista Rossana Caccavo con lettera firmata dalla rampolla della famiglia Marrelli, Fabiola. Primo grado e appello avevano, insomma, entrambi confermato l’ordinanza di reintegro (ex legge Fornero) nel posto di lavoro (mai ottemperata dall’azienda).
La Corte d’Appello di Catanzaro (Emilio Sirianni presidente, Gabriella Portale consigliere, Barbara Fatale consigliere relatore) aveva, infatti, confermato in toto le decisioni dei giudici crotonesi rigettando il reclamo presentato da Esperia Tv avverso la sentenza del Tribunale di Crotone e condannando l’emittente alla rifusione delle spese del grado di lite nei confronti di Rossana Caccavo, liquidate in 2100 euro oltre accessori per legge dovuti.
In appello veniva, pertanto, confermata la nullità del licenziamento impugnato “per causa di matrimonio – art. 35 del decreto legislativo 198/2006 – nonché perché ritorsivo in quanto intimato dall’azienda in seguito all’elezione della giornalista a fiduciario di redazione di Esperia TV” e ribadita la disposizione del Tribunale di Crotone che aveva ordinato all’azienda di reintegrare Rossana Caccavo riconoscendole “il risarcimento del danno subito attraverso la corresponsione di una indennità parametrata alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino al giorno della riammissione in servizio, oltre interessi e rivalutazioni” e condannato Marrelli al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo ed alle spese legali quantificate in 2800 euro, oltre ad Iva e Cpa.
Nella sentenza, la Corte d’appello di Catanzaro definiva il licenziamento “nullo e discriminatorio” atteso che “è frutto dell’atteggiamento ritorsivo dell’azienda in seguito alla sua elezione, l’8 aprile 2013, a fiduciario di redazione che svolge ruolo chiave nella tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, elezione avvenuta nonostante le ingerenze poste in essere dall’amministratore unico Fabiola Marrelli”.
Veniva sottolineato, tra l’altro, che «sono indici rilevatori del carattere discriminatorio del licenziamento la lettera mail del 9 aprile 2013, del presidente Massimo Marrelli, in cui, commentando la sua nomina a fiduciaria di redazione, si mostrava infastidito (“se questo vuole rappresentare un eventuale braccio di ferro e/o una azione trasversale, come lo è, nei confronti del direttore non lo condivido anzi mi vede apertamente schierato affinché combatta atteggiamenti sterili e che nulla producono al bene della causa”), nonché la circostanza che il licenziamento del 15 aprile 2013 veniva irrogato senza preavviso, nonostante si trattasse di recesso per giustificato motivo oggettivo; che, ad ogni modo, i motivi addotti sono palesemente insussistenti, se è vero che l’impresa, nei mesi che hanno preceduto il suo licenziamento, ha fatto cospicui investimenti, avendo acquistato dalla società Telestars il canale 18 e che, nello stesso lasso temporale, sono stati assunti altri due dipendenti con profili professionali simili al suo» e, dopo il licenziamento, un collaboratore a tempo determinato.
Da ricordare che la storica sentenza del Tribunale di Crotone, confermando in primo grado il giudizio a favore della giornalista Rossana Caccavo, brutalmente messa alla porta dall’emittente Esperia TV, aveva messo anche ordine all’interpretazione dell’art. 34 della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti n. 69 del 3 febbraio 1963 in materia di iscrizione del Registro dei Praticanti. La sentenza ha, infatti, sottolineato il «valore disgiuntivo della congiunzione “o” che consentirebbe di individuare nella disposizione quattro ipotesi distinte, e pertanto quelle relative ai giornali quotidiani ed ai servizi giornalistici della radio e della televisione non comporterebbero ai fini dello svolgimento della pratica il rispetto dei limiti numerici riferibili esclusivamente alle ipotesi residue (agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno quattro giornalisti professionisti redattori ordinari; periodico a diffusione nazionale e con almeno sei giornalisti redattori ordinari)».
Sul punto, il segretario generale aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi, segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, aveva osservato che “al di là dell’interpretazione dell’art. 34, è stata alquanto singolare la richiesta dell’azienda per la nullità del contratto da praticante, regolarmente sottoscritto e per mesi onorato dalla stessa Esperia TV, per mancanza di requisiti, che non tocca certamente al dipendente conoscere in quanto riferiti ad altri colleghi. Una decisione contraria – osservava a suo tempo Parisi – avrebbe, infatti, conferito al procedimento elementi di rilevanza penale, in quanto avrebbe messo in capo all’azienda, priva del requisito di legge, la facoltà di assumere praticanti e licenziarli a proprio piacimento”.
Esperia Tv aveva, invece, proposto ricorso in Cassazione denunciando con un primo motivo la «violazione e falsa applicazione dell’art. 34 della legge n. 69 del 1963 per avere la Corte ritenuto applicabile il requisito numerico di “quattro giornalisti” in relazione allo svolgimento della pratica giornalistica presso un’emittente televisiva» e con un secondo la “motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia consistente nell’omesso esame che presso la società Esperia Tv vi fosse un solo giornalista professionista».
Accogliendo il controricorso della giornalista Rossana Caccavo, assistita dall’avvocato Giuseppe Gallo, la Corte di Cassazione ha giudicato “infondato” il primo motivo di Esperia Tv evidenziando che “in via generale, il contratto giornalistico ovvero quello di formazione giornalistica presuppone, quale indefettibile condizione di validità, la sussistenza di uno status professionale del lavoratore che deriva dalla sua iscrizione all’albo dei giornalisti, ovvero a quello dei praticanti giornalisti”.
“L’iscrizione negli albi professionali – sottolinea la Suprema Corte – quale accertamento costitutivo (rectius ricognizione cui la legge attribuisce effetti costitutivi) dello status professionale, è di esclusiva competenza degli organi professionali; in particolare, la domanda per l’iscrizione, nel registro dei praticanti, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 69 del 1963, deve essere corredata, per quanto più di rilievo nella presente controversia, «dalla dichiarazione del direttore comprovante l’effettivo inizio della pratica di cui all’art. 34»; l’art. 34 richiede che «la pratica giornalistica deve svolgersi presso un quotidiano, o presso un servizio giornalistico della radio o della televisione, o presso un’agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari, o presso un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari»; nella specie, la parte ricorrente contesta la validità dell’iscrizione nel registro dei praticanti giornalisti di Rossana Caccavo (da cui deriverebbe la nullità del contratto di lavoro e quindi la legittimità del recesso), per difettare la stessa del requisito integrato dalla «dichiarazione del direttore» di un tirocinio giornalistico presso una struttura editoriale avente le caratteristiche di cui al predetto art. 34; si assume, infatti, la mancanza presso Esperia Tv srl, di un numero di giornalisti professionisti (almeno 4) idonei a garantire un utile praticantato”.
“Tuttavia – taglia corto la Suprema Corte – a fronte di una siffatta deduzione, omette di trascrivere – e quindi di produrre – il documento (atto di iscrizione all’Albo) il cui contenuto assume decisività ai fini del giudizio di fondatezza della denunciata violazione, così ponendosi in violazione degli obblighi di specificità imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 del codice di procedura civile”. Assorbito, invece, il secondo motivo del ricorso, con la Cassazione che rammenta ad Esperia Tv che “l’esame del vizio di motivazione” è precluso dal codice “allorquando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado”.
Trascorsi oltre cinque anni dal licenziamento “in tronco e con effetto immediato” di Rossana Caccavo, Esperia Tv registra, così, la quinta condanna in sede giudiziaria. Dopo le quattro subite per l’illegittimo licenziamento di Rossana Caccavo e quella per comportamento antisindacale che ha portato all’annullamento dei licenziamenti delle colleghe Angela Bentivoglio e Antonella Marazziti.
“La sentenza della Corte di Cassazione – osserva Carlo Parisi – non fa altro che confermare ancora una volta, ammesso che ce ne fosse bisogno, la bontà dell’azione promossa e condotta dal Sindacato Giornalisti della Calabria contro l’arroganza di un’azienda che, oltre ad avere dimostrato di non avere la minima cognizione delle più elementari norme di diritto del lavoro, credeva di poter gestire, con prepotenza e impunemente, la vita e la dignità delle persone”.
“A Rossana Caccavo e a tutte le colleghe ed i colleghi che, con uno scatto di dignità, non esitano a tenere alta o rialzare la testa per rivendicare i propri diritti – conclude Parisi – va il ringraziamento di tutto il Sindacato dei giornalisti italiani che, confidando nella legalità e nella giustizia, assiste quotidianamente quanti credono nel giornalismo di qualità che può essere garantito innanzitutto con il rispetto della dignità umana e professionale”. (giornalistitalia.it)
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