ROMA – Dopo 6 anni di avventiziato abusivo e tuttofare in bassa cucina, taglio il traguardo conquistato sulla mia pelle da giornalista professionista, giusto 60 anni fa (24 maggio 1962) un anno prima dell’avvento dell’Ordine e con gli albi tenuti e gestiti in una stanzetta del ministero della Giustizia, ereditati dal regime fascista.
Un lungo ruolino di marcia partito dall’epoca antidiluviana dei giornali con linguaggio letterario novecentesco e rimasti al quattrocentesco sistema Gutenberg della stampa cosiddetta a caldo dai caratteri mobili e con una tv ancora in fasce; un cammino che ha conosciuto e vissuto strada facendo il bombardamento di un’epocale rivoluzione tecnologica, attraversando oltre mezzo secolo di mutazioni genetiche dei mass-media, una volta inimmaginabili.
Primi passi compiuti a tu per tu con i fatti di cronaca nera senza limiti di orario e con in tasca una manciata di gettoni del telefono per chiamare i colleghi, e a tarda sera lancia in resta in redazione per picchiare sui tasti della macchina per scrivere sotto la rigida supervisione dei capi, dando un’occhiata alle ultime notizie in arrivo via telescriventi. A notte fonda, giù a impaginare nella tipografia dalle linotype a piombo fuso, dai caratteri allineati dai tecnici nei compositoi, e dal ciclo finale delle rotative. Andavi a letto con in mano il quotidiano del giorno dopo.
Maturità professionale negli anni 80 del secolo scorso, scervellandosi appresso ai mastodontici antenati dei computer a passo lento e senza connessione a distanza, con ricorso alle novità di allora, fax e stampa grafica impaginata in fotocomposizione. Dominavano in redazione un unico pastone politico e tanta cronaca giudiziaria.
Anzianità professionale con la conquista dei pc ultime generazioni onnicomprensive e degli smartphone, lavorazione, digitalizzazione e trasmissione degli articoli e notiziari da e per ogni dove, con il finale fai da te dell’impaginazione grafica.
Ieri correvamo a caccia di notizie combattendo contro censure e con informazioni fornite con il contagocce, oggi siamo invasi da una comunicazione senza freni con valanghe di informazioni di dubbia affidabilità e attendibilità, costringendoti a stare sempre in guardia contro le trappole delle fakenews, arrembando nella navigazione procellosa in internet e nei social, e scontrandoti con le prime esperienze del multimediale.
Nella scuola fascista dell’infanzia, sempre sporchi di inchiostro si facevano esercizi di scrittura in brutta e bella copia con penna pennino e calamaio, rara la penna stilografica. Oggi in affanno esistenziale si cammina su un terreno telematico irto di trabocchetti, fra algoritmi, web a profusione, assedio digitale, attacchi informatici, intelligenza artificiale, robot free lance. (giornalistitalia.it)
Romano Bartoloni