TRIESTE – Tagliare non rende mai popolari. E la riforma dell’Inpgi varata in queste ore non accresce di certo la simpatia nei confronti del presidente e del direttore generale dell’istituto. Ma una cosa è da dire: qualcosa doveva essere fatto. Magari non lunedì, meglio se dopo un confronto più aperto con la base e con la Fieg, ma qualcosa doveva essere fatto.
Io non ho voluto votare questa manovra, perché – nonostante le mie richieste esplicite – il presidente, o meglio, la stragrande maggioranza del Cda, non ha voluto prendere in considerazione la mia richiesta: io volevo che la delibera sulla riforma non comprendesse la tassazione delle pensioni già in essere.
Bastava poco: bastava togliere, stralciare, questo punto e analizzarlo con calma in settembre, tenendo conto del parere anche dei pensionati che invece sono stati bypassati. Sarebbe stato utile avere anche una più approfondita valutazione di tenuta giuridica sul tema.
In delibera si parla di un prelievo forzoso per 5 anni. Ma noi sappiamo che in Italia nulla è più definitivo di ciò che è temporaneo. Comunque ci si dimentica che le pensioni sono ferme da ben 4 anni a causa del blocco della perequazione. I pensionati, insomma, stanno già pagando un prezzo elevato, a vantaggio di tutta la categoria. Ecco perché non ho voluto votare e sono stato assente alla seduta del Cda del 27 luglio. Considero errato e contra legem un atto arbitrario che spetterebbe solo al Parlamento. L’Inpgi non ha il potere di tassare le pensioni pregresse. E prevedo molti ricorsi, da parte di tutti i pensionati. Aveva senso fare questo colpo di mano ? No.
Una follia per due motivi: i ricorsi bloccheranno i tagli e freneranno il corso di una riforma da fare con criteri di equità e di sicura tenuta, oggi invece assai incerta. Ma soprattutto c’è da sottolineare che il ministero del Lavoro è presumibile che blocchi l’intera riforma visto che il capitolo sulla tassazione dei pensionati rientra nella delibera unica.
Non ho voluto votare “no” all’intera riforma perché non volevo che si speculasse sulla mia posizione e si danneggiasse oltremodo la posizione del presidente Camporese, già debilitata e umiliata dalle pesanti accuse per il Caso Sopaf. Sono un garantista e non mi piacciono i processi sommari.
Resta il fatto che sono molto contrariato e deluso per la posizione presa da molti membri del Cda. Ciò è avvenuto in una seduta in cui gli editori hanno clamorosamente disertato l’aula e in cui il rappresentante del ministro del Lavoro ha bocciato la tassazione dei pensionati e non ha voluto promuovere la riforma così come proposta.
Non voglio entrare nelle richieste degli editori, anche capziose, ma l’assenza della Fieg è più di un campanello d’allarme per l’Inpgi. Non voglio tornare agli anni della contrapposizione e della lotta a oltranza. Infine, una nota sugli strali che la categoria ha lanciato contro il vertice dell’Inpgi a causa degli emolumenti considerati elevati. Giova fare chiarezza. I membri del Cda godono di indennità esigue perché in tempi non sospetti si decise di tagliare tali introiti del 50 percento per coloro che percepiscono uno stipendio o hanno una pensione. Ripeto: taglio del 50 percento. A ciò si devono aggiungere per i pensionati il divieto di cumulo e il conguaglio fiscale. In totale rimangono a fine anno meno di 600 euro netti. Se un membro del Cda deve essere considerato un ladro per questo…
No, non ci sto. Se si vuole colpire il presidente e il direttore generale per i loro stipendi considerati elevati, non si può affastellare tutto il Cda. Ma non sono d’accordo anche sul taglio dello stipendio del presidente del 10 percento perché in questo modo si parifica il presidente al direttore generale. E c’è una contraddizione di non poco conto. Il Cda aveva deciso che il presidente guadagnasse il 10 percento in più della Dg. Ora invece tutto sarà livellato.
Ma non basta: io chiedo che si faccia subito, già in settembre, la riforma dello statuto e si adottino altre misure incisive, con il taglio del 30% dei consiglieri generali, il taglio di tutte le commissioni (ormai sfiduciate di fatto), il varo di elezioni solo con voto elettronico (con un risparmio di centinaia di migliaia di euro, grazie anche all’assenza dei notai), il taglio delle consulenze esterne, l’abolizione di corsi interni di finto aggiornamento, la riduzione progressiva del numero dei dirigenti, il taglio dello stipendio del prossimo direttore generale, la riduzione dei consiglieri d’amministrazione (anche se la Fieg vorrebbe aumentare i suoi da 2 a 4)…
Dunque, la riforma delle pensioni doveva essere fatta. Ma non basta. Bisogna mettere mano da subito alla riforma dello statuto. Dove il Cda potrà e dovrà essere più compatto. E non si dovrà bypassare il Consiglio generale su punti fondamentali per la vita dell’istituto e quindi della categoria intera (riforma previdenziale e dello Statuto).
Roberto Carella, consigliere d’amministrazione dell’Inpgi
e fiduciario regionale del Friuli Venezia Giulia