PALMI (Reggio Calabria) – Un teste non sa e l’altro va in crociera. Se non fossimo alle prese con un caso giudiziario che rischia seriamente di minare le fondamenta della libertà di stampa, ci sarebbe veramente di che sogghignare, all’esito della seconda udienza del processo ad Agostino Pantano, il giornalista professionista che risponde del reato di ricettazione davanti al giudice monocratico del Tribunale di Palmi.
A denunciare il paradossale caso di Agostino Pantano era stato per primo, il 5 marzo dello scorso anno, l’attuale segretario generale aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi, segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, con l’editoriale “Ricettazione, l’ultimo bavaglio ai giornalisti” pubblicato da Giornalisti Italia
La vicenda è incentrata sulla presunta segretezza di un documento – la Relazione della commissione d’accesso che nel 2009 aveva portato allo scioglimento per mafia del Consiglio comunale di Taurianova – da cui il cronista ha attinto le informazione per scrivere svariati articoli.
Dei due testimoni chiamati dalla Procura a confermare l’odiosa ipotesi di reato – il giornalista rischia, infatti, fino a otto anni di carcere – se n’è presentato solo uno, il delegato di polizia giudiziaria Filippo Ninni, che, in una escussione durata meno di 5 minuti, non ha potuto fare altro che ammettere di non essere al corrente di fatti probatori.
L’altro teste, l’assessore provinciale Rocco Biasi, ha comunicato la sua indisponibilità a partecipare all’udienza, giustificando la sua assenza con una vacanza in crociera “prenotata da tempo”.
Come era prevedibile sembrano ben pochi gli elementi che entrambi i testimoni possono aggiungere ad un dibattimento che, va ricordato, trae origine da un primo processo – per la stessa inchiesta giornalistica scritta un anno dopo lo scioglimento – a cui il cronista è stato già sottoposto, venendo prosciolto con formula ampia dall’accusa di diffamazione.
In questo secondo giudizio, che la Procura ha intentato dopo aver avuto trasmessi gli atti dal Gip con una nuova ipotesi di reato – più grave e inedita, la ricettazione di notizie –, i magistrati non hanno, infatti, prodotto alcuna nuova documentazione, limitandosi a riproporre lo stesso fascicolo della prima indagine cui era stato sottoposto Pantano nel 2011. Per questo il testimone escusso si è limitato a confermare l’esito, positivo per il cronista, del primo processo che era nato da una querela per diffamazione sporta da Biasi, che ora è testimone dell’accusa…anche se in vacanza.
Insomma, una vicenda che diventa sempre più kafkiana, perché il reato di ricettazione imputato a Pantano – che la senatrice Lucrezia Ricchiuti in una interrogazione parlamentare ha definito in questo caso «senza agganci normativi» – presuppone la dazione di una “refurtiva” che in questo caso non c’è, non è stata mai cercata da chi ha indagato senza mai ordinare una perquisizione, né ha interrogato Pantano per questa seconda ipotesi accusatoria.
Nel processo al cronista, difeso dagli avvocati Salvatore Costantino e Claudio Novella, sono le notizie pubblicate dal giornale Calabria Ora ad essere considerate un patrimonio ricettato, visto che il giornalista – quando era stato interrogato per difendersi dalla diffamazione – aveva chiarito di non aver mai posseduto il documento e di volersi avvalere del segreto professionale per non chiarire in quali circostanze aveva avuto l’occasione di prenderne visione.
Pantano, revisore dei conti dell’Unci, continua a sostenere di essere sottoposto ad “un processo ingiusto per aver scritto un’inchiesta sul connubio tra ‘ndrangheta e malapolitica, a distanza di un anno dallo scioglimento del Consiglio comunale, quando ormai eventuali notizie criminis contenute nella Relazione prefettizia, che è pur sempre un atto amministrativo, erano abbondantemente a conoscenza di chi è proposto alle indagini contro la mafia”.
Il processo è stato aggiornato al 21 aprile con la nuova convocazione del secondo e ultimo testimone chiamato dalla Procura: Rocco Biasi. (giornalistitalia.it)
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