MILANO – C’è un nuovo capitolo giudiziario nella vicenda con al centro una presunta campagna diffamatoria che sarebbe stata messa in atto circa otto anni fa dall’allora patron dell’Esselunga, ora scomparso, Bernardo Caprotti, contro la concorrente Coop Lombardia.
La Corte d’Appello di Milano se da un lato ha dichiarato l’estinzione del reato per l’imprenditore morto nel settembre 2016 e ha dichiarato il non doversi procedere per prescrizione dell’accusa di calunnia contestata all’allora direttore del quotidiano Libero, Maurizio Belpietro, e al cronista Gianluigi Nuzzi, dall’altro per i due giornalisti ha ribaltato la sentenza di assoluzione di primo grado: sono stati infatti condannati a 10 mesi e 20 giorni e 400 euro di multa ciascuno (pena sospesa per entrambi e per Nuzzi anche la non menzione) per ricettazione.
Nel marzo del 2016 al termine del processo con rito abbreviato il gup Chiara Valori aveva condannato Caprotti a 6 mesi, pena sospesa, per diffamazione, e lo aveva assolto assieme ai suoi due coimputati dalla ricettazione. Coimputati ai quali, invece, il giudice aveva inflitto 10 mesi e 20 giorni a ognuno per calunnia.
Secondo l’indagine coordinata dal pm Gaetano Ruta, il fondatore del colosso della grande distribuzione (nel 2007 aveva pubblicato il libro “Falce e martello” nel quale prendeva apertamente posizione contro le Coop), ritenuto il “finanziatore della campagna diffamatoria”, in concorso con Nuzzi e Belpietro, avrebbe acquistato “un cd-rom contenente telefonate illecitamente registrate sulla linea telefonica di ufficio” del direttore della Coop di Vigevano,
Maurizio Salvatori, “ceduto” dai titolari di una società, la Servizi d’Investigazione e Sicurezza (Sis), che “si occupava di gestione della sicurezza in Coop Lombardia”.
Un’operazione effettuata, si legge nell’imputazione, per consentire a Belpietro e Nuzzi di realizzare, nel 2010, “un servizio giornalistico sfruttando il contenuto delle suddette intercettazioni illecite” e screditare la concorrente di Esselunga.
Per la vicenda Nuzzi e Belpietro sono accusati anche di calunnia perché “sapendolo innocente incolpavano Daniele Ferrè”, ai tempi direttore degli affari generali e ora presidente di Coop Lombardia, di aver violato la legge per aver “spiato” i dipendenti attraverso telecamere nascoste e intercettazioni audio e ambientali “simulando le tracce del reato attraverso l’acquisizione e la pubblicazione sull’edizione di Libero del 14 gennaio 2010 di un documento falso riprodotto nella sua integrità”.
Nonostante il reato di calunnia sia caduto in prescrizione, su questo capitolo andò avanti il procedimento civile per il risarcimento a Ferrè, parte civile nel processo. Il suo legale, l’avv. Giacomo Lunghini, si è dichiarato soddisfatto per la sentenza d’appello anche se, ha tenuto a sottolineare, “purtroppo il processo è cominciato ad anni di distanza dai fatti perché prima è stato necessario dimostrare la natura calunniosa delle accuse mosse a Ferrè. Solo dopo la sua assoluzione per insussistenza del fatto – ha fatto notare l’avvocato – sono cominciate le indagini che hanno portato alla sentenza di oggi” (ieri, 9 aprile, ndr). (ansa)
Nella vicenda di Esselunga e del suo patron Caprotti. Pena sospesa per entrambi