CATANZARO – Esattamente un anno fa, sfogliavo, al mattino, il primo numero dell’Ora della Calabria, sotto la mia direzione. Era la vigilia del Santo Natale. Ma tutto in questi dodici mesi è cambiato. Non solo perché il giornale non c’è più, falciato da quella spirale di cinismi, abusi e irregolarità varie, che più volte ho descritto, o perché l’intera redazione, alla quale mi sono affezionato in breve tempo, anche per la durezza delle prove condivise, si è smembrata in una diaspora provocata soprattutto dal bisogno, da necessità forse pure strumentalizzate ad arte da qualche barboso opportunista, avidamente proteso solo verso il proprio interesse.
A essere cambiata è principalmente la mia percezione della realtà calabrese. Ero tornato qui, dopo un trentennio di vita altrove, con lo stesso nostalgico trasporto avvertito durante i brevi soggiorni che mi portavano a rivedere le persone e i luoghi cari, con quell’euforia un po’ infantile, ma decisamente umana, che ci spinge a voler vedere e sentire solo le cose belle.
Pensavo che esercitare il mio lavoro qui, mettere a frutto l’esperienza professionale acquisita al nord fosse anche un modo per dire grazie ai miei genitori, entrambi in cielo, i quali mi hanno trasmesso i valori fondamentali e le certezze che mi hanno sempre guidato. Sia mamma sia papà amavano moltissimo la Calabria, benchè amaramente consapevoli di tutti i suoi mali. Non l’avrebbero mai lasciata e hanno sofferto, silenziosamente, per non rattristare nessuno, della lontananza dei figli. Limitata nel tempo quella dei miei fratelli, rimasta costante, invece, la mia.
Ecco: vivere e lavorare in Calabria, per la prima volta dalla fine degli esami di maturità al Liceo Classico Pasquale Galluppi di Catanzaro nel 1984, per me rappresentava il coronamento di un sogno accarezzato chissà quante volte dai miei, capaci di sprigionare amore e dedizione costanti anche a mille chilometri di distanza.
Non avevo, tuttavia, alcuna idea di quali e quante incredibili ingiustizie avrei incontrato nell’editoria locale. Nè di come le disfunzioni e i ritardi diffusi, fossero semplicemente il riflesso speculare di tutto un sistema globale, dove la testata che funziona – libera, efficiente, interessante, vivace, in grado di stimolare oltre che di informare realmente la comunità regionale – costituisce un disturbo e un intralcio e non certo, come invece dovrebbe essere, il segno di un progresso e di una maturità civile.
Il sistema degli accorduni, delle infiltrazioni mafiose, dei trasversalismi corrotti e delle massonerie deviate, che s’irradia purtroppo sull’intero territorio nazionale, ma ha nel sud e specialmente in Calabria la sua roccaforte, il dominio incontrastato, vuole altra stampa, una stampa coi bavagli, prona ai potentati, quiescente, acritica. Per ottenerla sfruttano i bisogni dei singoli, quelli incosapevoli e oserei dire “ingenui” di molti giornalisti alle prese con un precariato e uno scenario professionale tra i più ardui d’Italia, e quelli invece più “lucidi” degli innamorati di se stessi, pronti a ogni compromesso per la propria fortuna, capaci persino d’intessere surreali e contraddittorie motivazioni ideologiche e persino legalitarie, pur di intortare il prossimo e “servire” i potenti che foraggiano le proprie ambizioni.
Poco importa se i prodotti editoriali di questo sistema non funzionano come sarebbe facilmente prevedibile in una autentica logica imprenditoriale, il cui vero fine fosse concentrato nell’editoria stessa.
Se un giornale chiude, dopo aver battuto grancassa su certe questioni o confuso la pubblica opinione su altre, o ancora contribuito a distrarla su altre ancora, se ne può sempre fare un altro che serva alla causa. Perché la logica del sistema dei potentati è quella dell’«usa e getta», nello stesso squallido calpestio applicato in nome di tornaconti personali in ogni settore dalla combriccola dei pochi. Ed è questo modus operandi, che non tiene in alcun conto degli obbiettivi, delle professionalità, delle esperienze, degli sviluppi delle nuove tecnologie, ma privilegia invece la manovrabilità dei soggetti, ad aver provocato i ritardi e i mali diffusi stratificatisi negli anni fino ad aver condotto la Calabria a uno stato di arretratezza e disfunzioni totali.
La vicenda dell’Oragate e quanto è seguito dopo, ossia la sospensione delle pubblicazioni e l’oscuramento illegittimo del sito, nel momento in cui la redazione levava la voce contro un accorduni con De Rose, lo stampatore delle minacce telefoniche (da me registrate) per indurmi a farmi togliere la notizia dell’apertura di un’inchiesta sul figlio del senatore Gentile, il quale intendeva acquisire la proprietà della testata, per me è stata una stura, la svolta che ha messo a nudo sino in fondo, davanti ai miei occhi, l’incubo reale che si consuma tra i silenzi in Calabria.
Così, anche se solo l’inganno, quello di altri, cinico, avido e malevolo, e quello mio con me stesso, dovuto ai sentimenti e al vissuto personali, mi ha riportato in questa terra, oggi anziché fuggire davanti a questa cappa asfittica, sono sempre più convinto che bisogna restare e lottare, alzare la voce, denunciare, assumere comportamenti coerenti che fungano da sprone a non lasciarsi piegare. Per questo dico grazie e rivolgo i miei auguri di Buon Natale, e di cuore, anche a chi mi ha ingannato: senza di loro non mi sarei mai reso conto di quanto sia importante questa sfida. Importante per qualcosa che va ben oltre il curriculum o il conto in banca. Credente e ottimista di natura, continuo a sperare che il mistero d’amore che ha portato Gesù sulla terra possa cambiare gli animi anche di chi è capace di non tenere in alcun conto e in alcun rispetto il prossimo. Prego e pregherò sempre per questo.
I miei auguri e il mio grazie vanno poi ai miei colleghi calabresi tutti. Quelli che sono ancora con me nella mia squadra, che sta portando a termine un progetto di cui spero potervi dire presto di più: hanno affrontato e stanno affrontando momenti durissimi, ma mi hanno spesso regalato sorrisi e momenti unici che porterò sempre nel cuore, mostrandosi più forti e combattivi di quanto non avrei potuto immaginare. Ma anche quelli che oggi lavorano in due nuove testate che hanno preso il via dopo la chiusura dell’Ora. Anche loro mi hanno dato e insegnato moltissimo e meritano ogni bene, ogni serenità.
Questi durissimi dodici mesi, poi, mi hanno fatto conoscere colleghi calabresi di altri giornali, ammirevoli non solo per grinta e abilità professionali, ma anche per il senso etico e la volitiva e fiera difesa dei diritti e della libertà che mettono nel loro lavoro: Michele Albanese, Michele Inserra, Lucio Musolino, Rossana Caccavo, Luca Ursini e altri, che oramai sento vicini come in un fronte comune, amici sui quali contare al di là di quanto ci si possa frequentare nella quotidianità.
Ho conosciuto poi il segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria e vicesegretario nazionale della Fnsi, Carlo Parisi, che ha sostenuto con impegno costante, anche ben al di là del proprio compito istituzionale, noi dell’Ora e tutti i colleghi che si sono trovati a vivere situazioni di grave abuso o attacco nell’esercizio della propria professione. In lui ho trovato un punto di riferimento costante e un soggetto con cui dialogare a tutto tondo, spesso uno sprone a non gettare la spugna anche davanti agli ostacoli che sembravano più insormontabili.
A tutti loro Buon Natale. Auguri, però, specialissimi a quanti ci seguono sul nostro blog “l’Ora siamo noi” ed a quanti seguono “Giornalisti Italia” e il mio grazie sincero per l’affetto e la stima che ci avete fatto sentire, segno di tutta una Calabria diversa e positiva, pronta a rimboccarsi le maniche per riappropriarsi del proprio presente e del proprio futuro. Io resto qui in Calabria, anche se non è facile. Lo devo ai miei genitori, lo devo ai miei figli, lo devo a voi tutti, a tutto ciò in cui credo di più.
Luciano Regolo
Esempio di coerenza e di grande determinazione. Da seguire.
Ho letto e sono amareggiata. Ora combattiamo il degrado alzandoci in piedi perché la dignità è un bene superiore persino rispetto al bisogno di lavorare.