CATANZARO – Se c’è una cosa che può scalfire il «muro di omertà», quel concetto che ricorre più volte negli scritti lasciati da Paolo Borsellino, sempre vigile nel sottolineare la «pericolosa convergenza d’interessi fra le mafie e alcuni settori dello Stato», è la coesione di tutte le forze e le voci che vi si oppongono. Quanto più boss e potentati oscuri mirano a isolare, intimorire e screditare chi si ribella e richiama la pubblica opinione su infiltrazioni, violenze, illegalità e altri segnali tipici del predominio della cultura mafiosa, tanto più diventa importante rassemblare le fila di una lotta il cui principale obiettivo dev’essere proprio fugare paure e sudditanze, risvegliando le coscienze e fornendo incoraggianti buoni esempi.
Per questo colgo con particolare entusiasmo l’iniziativa promossa per l’8 agosto dalla Federazione Nazionale della Stampa e dal Sindacato Giornalisti della Calabria a Polistena, un luogo simbolico, dove il collega Michele Albanese è costretto a vivere sotto scorta e a spostarsi con un’auto blindata. Qui Franco Siddi, segretario generale della Fnsi, e Carlo Parisi, vicesegratario nazionale nonché segretario regionale, si ritroveranno nel Salone delle Feste del Comune, per discutere con giornalisti, amministratori locali e rappresentanti della magistratura e della pubblica sicurezza, sull’irrinunciabile connubio tra il diritto al lavoro e la libertà di stampa, che non può e non deve subire condizionamenti di sorta né dalla criminalità, né da cinghiali e poteri forti più o meno nascosti. Non si tratta di un semplice dibattito, ma di un segnale preciso, di una conferma che qualcosa sta cambiando.
Siddi e Parisi sono stati particolarmente vicini a noi dell’Ora della Calabria nella ridda di soprusi e angherie che abbiamo subito dopo quella drammatica notte del 18 febbraio, quando lo stampatore s’inventò un guasto alle rotative per non fare uscire la notizia sull’indagine aperta a carico del figlio del senatore Gentile, dopo aver avuto la certezza che noi non l’avremmo tolta. Ma il sindacato dei giornalisti, nella nostra regione, si è impegnato in prima linea anche perché dei soprusi perpretati dagli editori a carico di colleghi venissero sanzionati dalla magistratura: da questo punto di vista le sentenze che hanno riconosciuto i diritti violati di Iole Perito e Rossana Caccavo, come ho avuto già modo di dire, sono da ritenersi due tappe miliari, due argini che possono incoraggiare tanti altri colleghi a denunciare situazioni di illegalità subite per paura di perdere una minima sicurezza lavorativa o, peggio, di subire addirittura danni peggiori.
Allo stesso modo la Fnsi e il Sindacato Giornalisti della Calabria hanno dato il più concreto sostegno ai cronisti “di denuncia” che hanno subito intimidazioni da parte della criminalità organizzata, come Albanese, o sgradevoli invettive, da parte di chi li vorrebbe nemici della Calabria solo per aver aperto uno squarcio sulla strumentalizzazione della religiosità popolare da parte dei mafiosi, come hanno fatto Lucio Musolino e Michele Inserra.
Ora, la giornata di Polistena pone il sindacato, com’è giusto che sia, come un centro aggregatore, un volano della libera informazione in grado di stringere i legami della solidarietà tra tutti i colleghi che si oppongo a bavagli, censure, minacce e pressioni di ogni genere, ma anche tra gli altri soggetti che respingono il silenzio e operano per la verità e la legalità più totale. Vanno viste in quest’ottica sia la presenza di Nicola Gratteri, un magistrato che vive sotto scorta dall’89, sia quella di Monsignor Salvatore Nunnari, presidente della Conferenza Episcopale Calabra, che già un ventennio fa scrisse una coraggiossima lettera aperta ai mafiosi dopo l’anatema contro Cosa Nostra lanciato da Giovanni Paolo II nel ’93 alla Valle dei Templi. Nunnari visitò la redazione dell’Ora in stato di occupazione a Cosenza, pochi giorni dopo quel 18 aprile, venerdì santo, in cui furono sospese le pubblicazioni e oscurato il sito senza alcun diritto, solo perchè il Cdr e il sottoscritto avevamo attirato la pubblica attenzione sulle manovre per far finire la proprietà della testata a Umberto De Rose, lo stesso stampatore protagonista della “telefonata del cinghiale”, oggi imputato per violenza privata. Ebbene monsignor Nunnari, davanti al quadro di Natuzza Evolo ,che avevo appeso nel mio ufficio, citò la frase del boss Messina tratta dall’«Autobiografia di Cosa Nostra»: «Noi mafiosi non uccidiamo soltanto di venerdì in segno di rispetto per la morte di Gesù» e poi aggiunse: «Voi non avete avuto neppure lo stesso riguardo».
Parole che fanno riflettere sulla diffusione oltre la mafia visibile della cultura del sopruso, dell’impunità e dell’omertà. La prima si serve e si alimenta della seconda. Non vi può essere giornalismo libero, né stampa che favorisca il risveglio delle coscienze e il coagulo di principi positivi, senza le reali condizioni di libertà per un cronista. Ci sono le auto incendiate, le lettere minatorie, ma ci sono anche le pressioni degli editori che si sentono “padroni delle ferriere”, e quelle subite o avallate da questi ultimi in virtù di malsani accorduni politico-affaristici.
Da svariate settimane il Cdr dell’Ora, posto che non veniamo retribuiti dallo scorso marzo, sta chiedendo invano al liquidatore della nostra società editrice la documentazione che certifichi la richiesta della cassaintegrazione e il computo delle spettanze a noi dovute. Ma Giuseppe Bilotta, che è anche perito commercialista di Piero Citrigno, il padre del nostro ex editore, ed ha come legale il suo stesso avvocato, non risponde. Fa finta di nulla, nonostante il tavolo di trattativa e gli impegni assunti davanti al prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao. La mancanza più totale di retribuzione può anche diventare uno strumento per addomesticare o zittire, per questo noi dell’Ora e Parisi ci siamo più volte pubblicamente appellati alla magistratura.
L’incontro di Polistena segue di poco la divulgazione della relazione della Dda sulle crescenti inflitrazioni mafiose nelle amministrazioni comunali ed i provvedimenti finalizzati a garantire la sicurezza dei giornalisti minacciati a vario titolo nella nostra regione. Una ragione in più per dare un forte segnale di unità e determinazione nel dire basta alle violenze e alle ritorsioni cinghialesche. Un “signale” esattamente agli antipodi da quelli agitati minacciosamente da chi vuole mettere i bavagli. Per questo la mia squadra e io saremo a Polistena, assieme a Siddi e Parisi, assieme a tutti i giornalisti, a tutti i calabresi che non ne possono più.
Luciano Regolo