COSENZA – A quasi due anni e otto mesi dal cosiddetto “caso Gentile”, il giudice monocratico presso il Tribunale di Cosenza ha finalmente ascoltato i primi due testimoni nell’ambito del processo per tentata violenza privata a carico di Umberto De Rose, lo stampatore del quotidiano L’Ora della Calabria che, per come ricostruito dalla Procura, pur d’impedire l’uscita della notizia di un’inchiesta giudiziaria sul figlio del senatore di Ncd, Tonino Gentile, oggi sottosegretario allo sviluppo, avrebbe simulato un guasto alle rotative del suo stabilimento di Montalto Uffugo. Guasto che, come già stabilito un biennio fa da una perizia tenica disposta dallo stesso tribunale, non avvenne mai.
L’ex direttore del quotidiano calabrese, Luciano Regolo, consigliere nazionale Fnsi che dallo scorso aprile dirige “Mate”, primo mensile di matematica divulgativa edito da Centauria, nel corso di un lungo interrogatorio, durato circa due ore, ha risposto a tutte le domande.
Quelle del pm Domenico Frascino, quelle dell’avvocato Franco Sammarco (difensore di De Rose assieme al collega Marco Amantea) e quelle del giudice Manuela Gallo, ricostruendo così la dinamica dell’orrenda notte tra il 18 e il 19 febbraio 2014, in cui si consumarono la censura e l’inquietante telefonata del “cinghiale ferito che ammazza tutti” tra lo stampatore e l’editore della testata, Alfredo Citrigno.
Quest’ultimo, ascoltato subito dopo Regolo, che, difeso dall’avvocato Giulio Bruno, si è anche costituito parte civile, ha sostanzialmente ribadito la medesima ricostruzione sui fatti di quella notte, enfatizzando la posizione dei Gentile per lui veri mandanti e responsabili della censura, come per altro dice al telefono più volte lo stesso De Rose, nella chiamata registrata dal direttore. E, inoltre, tenendo conto dei messaggi mandati dallo stesso stampatore e da Andrea Gentile a Citrigno la sera del 18 febbraio 2014. Messaggi di cui il pm ha chiesto l’acquisizione.
Regolo ha ribadito in aula che registrò «quella telefonata minacciosa di De Rose, che fra l’altro ricordava al giovane editore che non conveniva alla sua famiglia, in quel momento alle prese con una serie di grane giudiziarie, mettersi contro ancora una volta il senatore Gentile perché sarebbe stato presto nominato sottosegretario», «perché notai che Alfredo Citrigno era spaventato e perché pensavo che mi potesse servire una prova del tentativo di farmi non pubblicare la notizia. Come in effetti poi è stato, dato che anche addirittura dei colleghi della stampa locale avevano messo in dubbio l’avvenuto tentativo di censura. Ma credetemi, quella telefonata, per me, fu scioccante».
Regolo, fra l’altro, ha rivelato al pm di aver sentito Alfredo Citrigno l’ultima volta dopo l’una di notte al telefono e di aver raccolto da questi, che aveva conferito ancora una volta con De Rose, “la paura che il giornale il giorno dopo non sarebbe uscito, come in effetti accadde”.
Regolo ha spiegato di «non essere stato a conoscenza prima dell’Oragate, né della “guerra” serpeggiante tra le famiglie Gentile e Citrigno, prima molto amiche e unite anche negli affari, né del pesante credito accumulato dallo stampatore nei confronti della testata, per un totale di circa 900 mila euro, non essendosi mai fatto retribuire De Rose nell’arco di un biennio, né avendo mai inoltrato un sollecito all’azienda. Scrisse, invece, pretendendo l’immediato saldo e minacciando di incassare subito gli assegni scoperti ricevuti a titolo di garanzia, pochi giorni dopo il clamore dell’Oragate, ben sapendo che, così, si sarebbe mandata in fallimento l’azienda editoriale».
A un certo punto Sammarco ha chiesto a Regolo se, cambiando poi atteggiamento il De Rose e avendo consentito la stampa del giornale fino alla chiusura della testata («benché non voglia certo farlo passare come filantropo»), non avesse dato prova di rispetto della libertà d’informazione. “Domanda paradossale” ha lasciato intendere Regolo, nella risposta, ricordando che, comunque, “De Rose suole stampare giornali senza chiedere le somme dovute e ricordando la sequela di casi di altre testate dei Citrigno o quello del Garantista (il saldo da quest’ultimo l’ha ottenuto dai contributi statali, mentre i giornalisti della testata chiusa sono rimasti senza stipendio per quasi un anno): Bisognerebbe chiedersi – ha sottolineato Regolo – la vera ragione, che non credo sia il rispetto della libertà di stampa”.
«Con De Rose – ha spiegato lo stesso Alfredo Citrigno – c’erano sia rapporti professionali – perché era lo stampatore del giornale – sia amichevoli. Mai avuto alcun problema con lui. Quell’occasione fu la prima volta in cui mi chiedeva di “essere attento” su una notizia: mai successo prima. Sin dalle prime telefonate ho detto a Umberto De Rose di non chiedermi questa cosa che non potevo e non volevo fare. Prima che Andrea Gentile mi chiamasse non sapevo nemmeno se ci fosse davvero un suo interessamento. Con lui siamo cresciuti insieme, poi i rapporti si erano raffreddati. Per questo motivo decisi di sentirlo. Ma Andrea Gentile al mio invito di parlare con Regolo della questione rispose così: “Siamo grandi e vaccinati ognuno fa le sue scelte. Auguro ogni bene a te e a tuo padre”». Quella fu l’unica telefonata con Andrea Gentile.
“L’augurio era rivolto alle vicende giudiziarie delle sua famiglia?”, ha chiesto il pm. E lui: «Certo, anche perchè me lo disse con un tono particolare, molto sostenuto».
Citrigno ha precisato che non si è costituito parte civile nel processo proprio per i buoni rapporti di De Rose, al quale fra l’altro si cercò di far acquisire la proprietà della testata un paio di mesi dopo l’Oragate con il supporto del liquidatore societario e proprio in seguito alla pubblica denuncia di questa manovra da parte del direttore Regolo che gridò «all’accorduni», fu decisa il 18 aprile 2014, in circostanze tuttora da chiarire, la chiusura della testata e anche l’oscuramento del sito on line.
Mai nessuna risposta è stata data sui tanti quesiti sollevati sulla vicenda anche da Carlo Parisi, segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria e segretario generale aggiunto della Fnsi, neppure sull’assurdo prosieguo della liquidazione di una società che non ha più introiti da oltre due anni.
Il processo è stato aggiornato al prossimo 16 gennaio per ascoltare altri testimoni. Probabilmente verranno ascoltati il maresciallo e i periti che condussero le perizie, quelle sul telefonino di Regolo che registrò la “chiamata del cinghiale” e quella sulla rotativa che si bloccò. Allora saranno passati quasi tre anni e non si sa quanti altri testi verranno chiamati. Cresce, dunque, il rischio che tutto possa cadere in prescrizione dopo una sequela di errori nelle comunicazioni di giudiziarie e altri intoppi più volte denunciati da Regolo e anche da alcuni parlamentari del M5S. E sarebbe veramente una pagina ancora più fosca per l’editoria calabrese.
Il nervosismo per questa situazione si è potuto cogliere anche nell’ultimo gesto del pm, che ha battuto forte il pugno sullo scranno dopo che, senza alcun preavviso, l’avvocato Sammarco ha “prodotto” alcune dichiarazioni alla stampa rese da Alfredo Citrigno il 19 febbraio 2014 e delle quali non aveva neppure accennato nel pur lungo interrogatorio. Il giudice ha richiamato tutti alla calma. E che la giustizia trionfi davvero con essa. (giornalistitalia.it)