ROMA – La riforma del canone è nei piani del governo, ma non si farà nell’immediato. Palazzo Chigi mette un freno al sottosegretario Antonello Giacomelli, che, in mattinata, dai microfoni di Radio 24, aveva dato praticamente per fatta la modifica legislativa.
“La riflessione in atto – fanno sapere fonti vicine al premier – è strategica ma appare improbabile che l’ipotesi di mettere il canone in bolletta possa maturare entro questa legge di stabilità visti i tempi tecnici troppo stretti”.
Tutto rimandato, dunque. Sulla decisione, più che le fibrillazioni interne alla maggioranza, avrebbe pesato l’opposizione delle aziende di fornitura di energia, da subito contrarie ad ogni intervento di questo tipo. Così come il presidente dell’Authority per l’energia, Guido Bortoni, che aveva avanzato molte perplessità da punto di vista tecnico.
Palazzo Chigi conferma l’intenzione di “ridurre e semplificare il canone Rai”, ma intende prendersi il tempo necessario per approfondire a fondo la materia che potrebbe essere oggetto di un decreto ad hoc, forse all’inizio del prossimo anno. In effetti, nell’ultima fase, era sorta più di una difficoltà relativa in particolare all’applicazione alle abitazioni diverse dalla prima casa.
Troppo rischioso, dunque, inserire una norma così contestata nella legge di stabilità, che ha tempi serrati per l’approvazione. In mattinata comunque Giacomelli aveva reso noti i dettagli della riforma: canone spalmato nelle bollette dell’elettricità e nessun pagamento con la dichiarazione dei redditi.
“Si tratta di capire come introdurre qualche punto di equità – ha spiegato il sottosegretario -. C’è chi dice che potremmo incrociare i dati del reddito, e legare il canone all’Irpef, io sono un po’ perplesso su questa possibilità. Legato all’Irpef mi pare molto più complesso e farraginoso”. L’importo ipotizzato sarebbe quasi dimezzato rispetto agli attuali 113,50 euro.
“Si pagheranno 60, 65 euro? E’ una cifra plausibile. Certamente pagheremo molto meno”, ha assicurato Giacomelli, escludendo il pagamento sulle seconde case. L’obiettivo è ridurre notevolmente l’evasione, che attualmente si aggira intorno ai 600 milioni di euro, con un gettito previsto è di 1,7 miliardi (1,8 con il canone speciale), in linea con quello attuale, ma con un importo ridotto. L’intervento non piace al Nuovo Centrodestra che si dice pronto a dare battaglia, mentre le associazioni dei consumatori annunciano già ricorsi. “Il canone in bolletta non si può mettere”, è invece il titolo perentorio di un post sul blog di Beppe Grillo.
Primi passi, intanto, per la riforma della governance Rai. Questa mattina si è riunito il gruppo Pd, con i sottosegretari Giacomelli e Luca Lotti, oltre ai capigruppo Pd alle Camere, Luigi Zanda e Roberto Speranza, e ai membri della Vigilanza Salvatore Margiotta e Vinicio Peluffo.
L’obiettivo è arrivare ad approvare entro la scadenza del prossimo cda in primavera, o comunque entro il 2015 con una possibile proroga degli attuali vertici, un disegno di legge che trasformi la natura dell’azienda eliminando i lacci legati all’equiparazione ad un ente pubblico, introduca la figura dell’amministratore delegato e riveda composizione, funzioni, oltre che meccanismi di nomina del cda, assicurando indipendenza dalla politica.
“Oggi è iniziata una serie di incontri del gruppo parlamentare del Pd con esponenti governativi del Pd – ha spiegato Zanda -. Abbiamo deciso di rivederci settimanalmente con un programma serrato”.
Intanto il cda Rai ha ratificato le dimissioni di Luisa Todini, presentate dopo il via libera al ricorso contro i tagli decisi dal governo. Una questione al centro dell’audizione serale del consiglio in commissione di Vigilanza: la presidente Anna Maria Tarantola ha spiegato che i termini per la presentazione del ricorso al Tar scadono il 30 novembre, ma ha precisato che è stata presa in considerazione anche l’ipotesi del ricorso straordinario al Capo dello Stato, che scadrebbe a fine gennaio. Un’ipotesi – si apprende – ritenuta meno traumatica in quanto prevedrebbe un passaggio tramite la presidenza del Consiglio.
Tarantola ha spiegato di essersi astenuta, secondo quanto prevedono legge e statuto, per le “forti divergenze in azienda” sul tema.
“Contribuiamo alla spending review e al finanziamento degli 80 euro”, ha quindi aggiunto, tramite una “complessa operazione di riequilibrio finanziario: forse siamo l’unica SpA pubblica ad averlo fatto”. (Ansa)
Palazzo Chigi conferma di volerlo ridurre, ma non in questa legge di stabilità