ROMA – Negli ultimi cinque anni il mondo dell’informazione è cambiato più in fretta che nei cinque secoli precedenti. Con lo sviluppo del web il lavoro delle redazioni, ormai tutte proiettate all’online, non è più concentrato principalmente sul giornale di carta, ma su almeno tre destinazioni diverse: l’home page del sito, i motori di ricerca e i social media. In questo processo di evoluzione la tecnologia ha fatto e continua a fare passi enormi: la realtà virtuale, la pubblicazione di video in diretta, le nuove forme di intelligenza artificiale, la messaggistica istantanea, le app hanno condizionato e impongono un modo nuovo di analizzare il futuro dei quotidiani cartacei.
Un settore, quello giornalistico, trasformato anche dall’uso di algoritmi – “l’insieme delle istruzioni che devono essere applicate per eseguire un’elaborazione o risolvere un problema” (Treccani) – per generare automaticamente le notizie partendo da dati strutturali.
I primi esempi sono quelli di note aziende di tutto il mondo, a partire dalla Associated Press, passando per Forbes, The New York Times, Los Angeles Times, che dal 2014 hanno iniziato ad utilizzare Wordsmith, un software realizzato dalla compagnia Automated Insights per automatizzare le notizie relative ad un particolare argomento, come ad esempio cronaca sportiva o meteo, con risultati soddisfacenti in termini di ottimizzazione dei tempi e margini di errore.
Dal modello base si è passati a Quill, il software creato dalla startup Narrative Science di Chicago in grado di scrivere lunghi e approfonditi rapporti finanziari da distribuire a investitori, svolgendo un lavoro molto più complesso che scrivere in inglese corrente i risultati sportivi in forma stringata. Ciò che fa Quill è qualcosa in più perché produce rapporti complessi e non semplici notizie e lo fa per conto di aziende terze. Certo, alla base ci devono essere bravi programmatori e, soprattutto, disponibilità di dati, precisi e strutturati, indispensabili per il lavoro della macchina. Le potenzialità dell’intelligenza artificiale sono enormi e tutti i settori del giornalismo dovrebbero abituarsi a vedere dei robot tra i propri colleghi.
Rispetto agli Stati Uniti, in Francia ci sono state maggiori riserve sull’ingresso dei robot in redazione, implementati solo per l’uso dei social media. Grandi network tv come France Television usano il programma di intelligenza artificiale Wibbitz per produrre servizi video in tempo reale. Nel parlare di macchine automatizzate in grado di redigere articoli impersonali emergono le paure di chi teme per il futuro della carta stampata.
Stessi timori avvertiti con l’avvento della tv prima e di internet poi, con il passaggio sul web della prima testata giornalistica (L’Unione Sarda) e con la nascita del giornalismo partecipativo o “citizen journalism”, vera rivoluzione del web 2.0, che prevede una partecipazione attiva da parte del lettore, con il risultato che il ruolo dell’emittente e quello del ricevente non sono più gerarchicamente distinti.
I social media non hanno fagocitato solo il giornalismo: il loro utilizzo massiccio ha assorbito ogni aspetto della nostra vita, e la trasformazione che ciò comporta ha in sé anche una serie di rischi. Le piattaforme come Google, Apple, Facebook, Amazon, ma anche Twitter, Snapchat e le aziende di messaggistica istantanea emergenti hanno acquisito un potere enorme nel “controllare chi mostra cosa a chi”, e nel monetizzare la pubblicazione. Come si è già verificato in passato, l’introduzione di un nuovo medium non provocherà l’estinzione di quelli già esistenti, ma imporrà un loro adattamento alle trasformazioni del contesto nel quale si trovano ad operare. Stessa sorte per i giornalisti che non si vedranno sostituiti da robot.
In un contesto sempre più globalizzato, dove il lettore è sottoposto ad un vero e proprio sovraccarico di informazioni, c’è sempre maggiore necessità di professionisti seri in grado di garantire un’informazione di qualità, ma soprattutto di continuare ad essere “cani da guardia della democrazia” e fare giornalismo d’inchiesta, divenendo sempre più dei media specializzati nell’approfondimento di notizie.
In una realtà così “liquida”, gli ottimisti sono convinti che la possibilità di automatizzare le attività di routine offra opportunità per migliorare la qualità giornalistica, permettendo di dedicare più tempo ad approfondite analisi, commenti e al lavoro investigativo che è alla base dell’originalità della professione. I pessimisti considerano, invece, il giornalismo automatizzato come un competitor dei giornalisti veri e propri, un modo per ridurre i costi e sostituire con il software coloro che vengono impiegati principalmente in attività di routine. Infatti, se una quota crescente di notizie finirà per essere automatizzata, i giornalisti dovranno concentrarsi sui compiti e le competenze per i quali gli esseri umani non possono, almeno per ora, essere sostituiti da sistemi meccanici e informatici.
In futuro si arriverà a quello che Reginald Chua, direttore esecutivo dell’Agenzia Reuters per le operazioni editoriali, definisce “matrimonio uomo-macchina”: agli algoritmi spetterà il compito di analizzare i dati, trovare storie interessanti e fornire una prima bozza; i giornalisti potranno sviluppare tale bozza con più approfondite analisi, interviste e retroscena.
L’attività giornalistica e le sue diverse declinazioni – carta stampata, digitale, blog informativi e “citizen journalism” – sono fortemente influenzate dai mezzi che le notizie utilizzano per essere ricercate, trattate e diffuse. Non si può prescindere dallo sviluppo dei nuovi media né opporsi al cambiamento a difesa del giornalismo tradizionale della carta stampata. Ottimismo a parte, la verità è che, per ora non ci sono certezze. Occorrerà piuttosto capire come tecnologia e tradizione riusciranno a coesistere nelle redazioni se in maniera paritaria, separate o in una soluzione ibrida. (giornalistitalia.it)
Roberta Spinelli