PALERMO – Vedete, io non ce l’ho con Gianfranco Miccichè, che ha solo sbagliato tempi e modi per esprimere il proprio disagio. Anche nel merito ovviamente per me non ha ragione, e ho spiegato perché.
Non ce l’ho neppure tanto con i colleghi che hanno organizzato questa strampalata cerimonia del ventaglio, consentendo che si trasformasse in un processo a una singola testata, fornendo persino traballanti mezzi di prova al politico che si trasforma in pm.
Non ce l’ho neppure con gli altri giornalisti presenti e silenti davanti a un simile teatrino, che si sono guardati bene dal fare quello che non corporativismo ma senso del ridicolo avrebbero imposto: lasciare la sala.
Ce l’ho con noi. Con i tanti di noi, non tutti per fortuna, che hanno reso questa categoria così fragile e acquiescente da permettere tali licenze da parte di un rappresentante delle istituzioni che dovrebbe essere tenuto ad accettare le critiche e che, se si sente diffamato, può semplicemente utilizzare gli strumenti previsti dalla legge.
Detto ciò, rifuggendo notoriamente da eroismi e vittimismi, mi taccio. Ma chissà che questa breve riflessione non contribuisca a un moto d’orgoglio in un mondo giornalistico affetto da tafazzismo. Chissà. Non ci credo tanto ma ci spero. (giornalistitalia.it)
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