REGGIO CALABRIA – “A fronte di una domanda rivelatasi totalmente infondata già alla lettura degli articoli, post informatici e dichiarazioni televisive denunciate, si è accompagnata una richiesta risarcitoria rilevantissima, priva di riferimenti a qualsiasi parametro di liquidazione di danni da diffamazione correntemente determinato dalla giurisprudenza nazionale, idonea per la sua entità ad intimidire il destinatario”. È questo il passo più significativo della sentenza con cui la Seconda Sezione Civile del Tribunale di Reggio Calabria ha “interamente” rigettato, ritenendola “radicalmente infondata”, la richiesta di risarcimento danni, per un milione di euro, avanzata dall’ex presidente della Giunta regionale della Calabria, Giuseppe Scopelliti, al giornalista Lucio Musolino, all’epoca in servizio al quotidiano “Calabria Ora”, ed al direttore responsabile dell’epoca Paolo Pollichieni.
Per il giudice Patrizia Morabito la citazione in giudizio dei due giornalisti è “disancorata a qualsiasi motivazione puntuale dei criteri di calcolo o determinazione di siffatta domanda, che appare connotata da profili di temerarietà”.
In sostanza per il giudice ha definito la richiesta di un milione di euro era “rilevantissima, priva di riferimenti a qualsiasi parametro di liquidazione di danni da diffamazione correntemente determinato dalla giurisprudenza nazionale, idonea per la sua entità ad intimidire il destinatario, disancorata a qualsiasi motivazione puntuale dei criteri di calcolo o determinazione di siffatta domanda, che appare connotata da profili di temerarietà”.
Per questi motivi il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato Scopelliti alle spese di lite in favore dei giornalisti in solido, liquidate per complessivi 21mila 387 euro, oltre a rimborsi spese forfetari al 7%, contributo unificato per 1221 euro, Iva e Cpa da calcolarsi come per legge, distratte in favore dell’avvocato Antonino Battaglia.
Si conclude, così, dopo quasi sette anni, la causa di primo grado contro l’attuale collaboratore del Fatto Quotidiano, accusato da Scopelliti di diffamazione a mezzo stampa per il contenuto delle dichiarazioni rilasciate nel corso della trasmissione televisiva “Annozero”, andate in onda su Rai 2 il 7 ottobre in diretta dalla piazza Duomo di Reggio Calabria, «nella quale – è scritto nella sentenza – il giornalista faceva intendere che vi fosse uno stretto collegamento (“filo rosso”) tra l’intimidazione dallo stesso subìta e la determinazione di parte attrice, del quale, in quel periodo, scriveva in merito alle sue presunte frequentazioni con alcuni esponenti delle associazioni criminali; dell’intervista resa dallo stesso giornalista al sopra citato programma televisivo e trasmessa il 21 ottobre 2010 sulla stessa rete nazionale; dell’articolo intitolato “Io, Lucio Musolino, licenziato da Calabria Ora” datato 18 ottobre 2010 e pubblicato dal Musolino sulla pagina del social network Facebook di Sandro Ruotolo; degli articoli di stampa, a firma del Musolino, pubblicati nelle edizioni del quotidiano “Calabria Ora” del 30 giugno 2010 (pag. 11, intitolato “Labate dice il falso: sapeva chi era Caridi”), del 3 luglio 2010 (pag. 10, intitolato “Politici indagati, i primi nomi”), del 27 Agosto 2010 (pag. 6, intitolato “I possibili moventi alla base dell’attentato”), del 3 settembre 2010 (pag. 9, intitolato”Restain carcere il reggino Barbieri”), dell’8 settembre 2010 (pag. 4, intitolato “Più risorse e mezzi di governo”) e del 22 Settembre 2010 (pag. 5, intitolato “Ambiguo ed ubiquo: il protagonista vero è Zumbo”); degli articoli di stampa riferibili a Pollichieni, il quale talvolta utilizzava lo pseudonimo Montecristo, pubblicati nelle edizioni del quotidiano “Calabria Ora” del 29 giugno 2010 (pag. 9, intitolato “Nel mirino almeno cinque politici”), del 30 giugno 2010 (pagg. 8-9, intitolato “La lettera al premier sul federalismo fiscale” di cui il sottotitolo era “Un dialogo intercettato tra Lampada e Giglio. E il medico lo invita ad una cena con Scopelliti”) e del 20 luglio 2010 (pag. 5, intitolato “Quegli incontri tra Scopelliti e Paolo Martino”)».
Dunque, ha sentenziato il Tribunale di Reggio Calabria, «Musolino veniva chiamato a rispondere sul piano degli addebiti in ordine alle dichiarazioni rese nelle due puntate della trasmissione televisiva “Annozero” andate in onda il 7 e 21 ottobre 2010 ed in ordine agli articoli pubblicati a sua firma nel quotidiano “Calabria Ora”, mentre al Pollichieni veniva addebitata, in qualità di giornalista, il contenuto lesivo dei pezzi pubblicati sul quotidiano “Calabria Ora” in data 29 Giugno, 30 giugno 2010 e 20 Luglio 2010, ed, in qualità di direttore responsabile del giornale ed a titolo di omessa vigilanza, veniva allo stesso contestata a titolo di concorso, sia in senso morale che materiale, la condotta diffamatoria posta in essere dal cronista Musolino».
Musolino ha sottolineato di essersi limitato a riportare “il contenuto di un’informativa dei carabinieri del Ros che avevano registrato la presenza di Scopelliti a un banchetto organizzato da un imprenditore arrestato per mafia e dove c’era il boss Cosimo Alvaro. Nei due interventi, inoltre, il giornalista aveva ricordato che dalle indagini del sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo erano emersi i contatti e i rapporti tra esponenti politici vicini a Scopelliti e soggetti legati alle cosche di Reggio Calabria”.
“Circostanze – sottolinea il giudice civile Patrizia Morabito motivando la sentenza – emergenti da processi, da indagini, fatti mai smentiti né contestati nella loro veridicità”.
Accogliendo la tesi dell’avvocato Antonino Battaglia, il Tribunale ha, invece, concluso che «ciò che ha suscitato l’odierna domanda giudiziale, non è la falsità dei fatti riferiti dal Musolino nei giornali su cui ha scritto o nel post in esame, ma evidentemente il fastidio e disagio dello Scopelliti che fosse data diffusione a circostanze emergenti dai processi e che, seppure non lo vedevano indagato, lo avrebbero esposto a riprovazione. Ma questo non è certamente causa del comportamento del convenuto Musolino, quanto evidentemente della oggettività dei comportamenti dell’attore – Scopelliti, ndr –, che non può pretendere, per la funzione politica apicale rivestita, di non vedere divulgati e commentati con risalto e rilievo fatti di cronaca o processuali a sé riferibili solo perché tutt’altro che commendevoli.
La funzione della stampa – ricorda, infatti, il Tribunale di Reggio Calabria – è proprio quella di far conoscere all’opinione pubblica i comportamenti di coloro che si propongono quali rappresentanti politici, elettivi o figure istituzionali. Non a caso la giurisprudenza, soprattutto quella consolidatasi in materia penale ed in materia di diffamazione a mezzo stampa, amplia i confini del diritto di cronaca e critica a scapito della tutela della riservatezza e della privacy laddove oggetto di interesse siano personalità pubbliche, uomini politici, rappresentanti delle istituzioni”. (giornalistitalia.it)
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