NOVARA – Che la verità sia un bene assoluto lo dichiarano i giornalisti, i giudici e i filosofi. Sono d’accordo anche Franca D’Agostini e Maurizio Ferrera, entrambi pubblicisti e professori all’Università Statale di Milano: lei docente di Logica alla facoltà di filosofia e lui ordinario di Scienza Politica ed editorialista al “Corriere della Sera”. Al Circolo dei lettori di Novara, introdotti da Giulia Bistagnino, hanno presentato il volume che, scritto a quattro mani, hanno significativamente intitolato: “La verità al potere”.
Un libricino di 120 pagine (editore Einaudi, 12 euro) denso di contenuti e di richiami attuali, costruito sulle intuizioni della filosofia e con la mediazione della contemporaneità. Sottotitolo: “Sei diritti aletici”, utilizzando il greco dove “aleteia” significa, per l’appunto, verità. Il vero e il falso – questa la tesi centrale – determinano i principi stessi di libertà e giustizia.
«Non ne siamo consapevoli – è la riflessione degli autori –. Esiste un potere della verità perciò occorre riappropriarsi di questo potere». Ma come arrivarci? Il risultato positivo non è affatto acquisito. Si tratta, piuttosto, di un ideale da raggiungere.
«Gli stati autoritari – rilevano – boicottano la verità camuffandola e, talvolta, negandola del tutto. Cernobyl – citano – è un esempio. Lo stato, allora sovietico, negò che ci fosse stato un incidente (prima) per minimizzarlo (poi)».
Tuttavia, parola degli autori, “la democrazia non è la macchina della verità” perché, anche quando il controllo statale non è asfissiante, il tentativo di addomesticare la realtà rimane forte.
«Adesso, lo stropicciare la verità (o il costruirne una a proprio vantaggio) è genericamente indicato come fake news».
Alcuni sostengono che questi meccanismi distorsivi siano addirittura in grado di condizionare le elezioni. Se ne è ampiamente discusso per il referendum sulla Brexit in Inghilterra, per le presidenziali americane vinte da Trump e persino per le consultazioni italiane. Al raggiungimento della verità, in modo che diventi uno stile di vita e un riferimento assoluto, devono contribuire i singoli che, insieme, produrrebbero un effetto a catena. Facile a dirlo. Persino troppo, al punto da lasciare l’impressione che il tutto resti confinato nel mondo delle idee. Come nella “Repubblica” di Platone. Infatti, a dispetto della teoria, sembra che la verità (in senso assoluto) importi poco a pochi.
Per restare nel mondo dell’informazione, dal dopoguerra, per 50 anni, sono stati diffusi in edicola quotidiani che, nella testata, dichiaravano esplicitamente di essere organi ufficiali di un partito politico: “Il popolo” per la democrazia Cristiana, “L’Avanti” per i socialisti, o “l’Unità” del partito comunista, diventato poi Ds, Pds e, adesso, Pd. Ognuno proponeva al lettore una verità diversa (qualche volta, incompatibile, una con l’altra) funzionale alle istanze dell’editore.
Anche i giornali cosiddetti indipendenti hanno finito per assumere una fisionomia pseudo-partitica collocandosi – ora più a destra ora più a sinistra – rispetto alle posizioni degli schieramenti politici. Al punto che lasciare l’impressione che gli articoli più impegnati, più che al lettore, fossero diretti all’elettore. Con il risultato di arrivare a rappresentare una fetta sempre più piccola di pubblico. In questi ultimi anni, i riferimenti politici sono andati persino esasperandosi. Chi lodava, per esempio, l’iniziativa dei giudici doveva fare i conti con una schiera di persone che la contestava senza mezze misure. Ciascuno con i suoi fogli di riferimento, a confortare e amplificare orientamenti di per sé già compiuti. Il pubblico sembrerebbe desideroso di trovare notizie che siano di conforto alle proprie opinioni.
Altro che aggiungere contenuti di conoscenza, i cittadini vorrebbero organi d’informazione destinati a confermarli nei propri giudizi (che, talvolta, sono pregiudizi). Il libro “la verità al potere” rappresenta un’analisi appassionata e stimolante. Non si sa quanto praticabile. Almeno in tempi brevi. (giornalistitalia.it)