CONSELICE (Ravenna) – Nel 69° anniversario della Liberazione, i giornalisti italiani ringraziano doverosamente il sindaco Maurizio Filipucci e tutta la comunità di Conselice per quello che, in questi anni, hanno fatto per il giornalismo e per la libertà di stampa.
Celebrare la Liberazione nella città della libertà di stampa, è un grande onore. Affrontare i temi attinenti l’informazione a Conselice lo è ancora di più, pertanto ho scelto di farlo in un modo un po’ diverso dal solito, soffermandomi sui mezzi e sugli strumenti che hanno contribuito a tenere sempre accesa, a dispetto dell’oppressione e della censura, la fiamma della libertà di stampa.
Oggi, grazie alle nuove tecnologie, in una frazione di secondo si può diffondere una notizia in tutto il mondo. Addirittura abbiamo un primo ministro che governa cinguettando. Ma durante il fascismo e la lotta partigiana è stata la bicicletta il simbolo della libertà in generale e della libertà di stampa in particolare. La bicicletta, mezzo indispensabile per garantire la circolazione della stampa clandestina. La bicicletta mezzo insostituibile per l’attività, soprattutto in queste zone, delle staffette partigiane.
E parlare della bicicletta mi dà modo di rendere onore e di esprimere tutta la mia gratitudine alle migliaia di donne che sono cadute per conquistare la libertà e la democrazia e alle decine di migliaia di donne che hanno dato il loro determinante contributo alla lotta di liberazione.
Già perché la bicicletta, come testimonia uno dei pannelli che completano il nostro monumento alla libertà di stampa e alla stampa clandestina, è stato il mezzo più utilizzato dalle donne partigiane di Conselice e dintorni per distribuire i giornali e i volantini stampati clandestinamente dalla pedalina che è l’anima del nostro monumento. La pedalina, altro mezzo essenziale per garantire la libertà di stampa, che ricorda il sacrificio di quanti hanno sopportato le più brutali torture e hanno pagato con la vita il loro silenzio.
La pedalina che porta con sé quei valori di democrazia e libertà che sono il faro per le nuove generazioni: solo chi ha coscienza delle proprie radici potrà, nell’era della globalizzazione, diventare un cittadino del mondo.
Per questo mi addolora che ci sia qualcuno che scriva che il nostro monumento non è altro che propaganda politica. Costui dimostra di non aver capito nulla e dimostra soprattutto di non conoscere la gente di questa terra.
Il 5 aprile scorso ero a Conselice con una delegazione di giornalisti per salutare e ringraziare il sindaco che non potrà più ricandidarsi. Maurizio ci ha donato un’interessante pubblicazione sulla toponomastica del Comune di Conselice con tanto di spiegazione sulla denominazione delle strade. Bene, quella che mi ha colpito di più riguarda via don Tiso Galletti, un tranquillo parroco ucciso, a guerra finita, da due esaltati ex partigiani. Il sindaco scrive: “La via a lui dedicata assume il significato di un atto di solidarietà e di amore verso un uomo innocente che ha pagato con la vita il fanatismo di quelle giornate”. Altro che propaganda verso un partito o un giornale. Chi scrive simili sciocchezze e fa dell’insulto e della volgarità il filo conduttore dei suoi articoli probabilmente nasconde un’aridità intellettuale e professionale che non gli consente di fare di meglio. In fondo aveva ragione mia nonna che mi ripeteva sempre: “Guarda Camillo che non basta nascere conti per essere nobili”.
Ma torniamo alla bicicletta, protagonista di centinaia di azioni di partigiani. Nel libro di Franco Giannantoni e Ibio Paolucci “La bicicletta nella Resistenza”, che racconta storie partigiane, soprattutto lombarde, viene ricordato un episodio svoltosi a Conselice di cui fu protagonista Umberto Ricci, il mitico Napoleone, che utilizzò la bicicletta per l’agguato al segretario del fascio e per la successiva fuga.
La bicicletta ha salvato anche migliaia di vite umane. Basti ricordare il campione di ciclismo Gino Bartali, proclamato lo scorso anno dal Museo dell’Olocausto di Gerusalemme “Giusto tra le nazioni”, per aver salvato la vita ad almeno 800 ebrei nascondendo sotto il sellino della sua bicicletta documenti falsi che consentirono ai profughi di evitare la deportazione nei lager.
Altri campioni delle due ruote come Luigi Ganna, Ottavio Bottecchia e Alfredo Martini diedero il loro coni tuo alla Resistenza. Per non parlare di Luciano Pezzi, l’indimenticabile guida tecnica di tanti campioni, a cominciare da Felice Gimondi, che per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi scappò in bicicletta da Villa del Nevoso (vicino Fiume) a Russi, pedalando al buio. Pezzi si unì poi alle brigate partigiane comandate da Bulow.
La bicicletta che salvò da un sicuro arresto proprio Arrigo Boldrini, come lui stesso ha raccontato nel libro “Gli anni di Bulow”. Era l’8 settembre 1943 a Ravenna, Bulow stava parlando in piazza Garibaldi quando intervenne la polizia: “Mi ha aiutato a scappare – racconta Boldrini – un’operaia, Lina Vacchi, mi ha preso sulla sua bicicletta e mi ha portato a casa di amici”.
La bicicletta tanto temuta dai nazifascisti che fioccarono i bandi che ne vietavano l’uso. A Ravenna e provincia dal 15 marzo 1944 fu vietata la circolazione delle biciclette, anche portate a mano, dalle 20 alle 5.30. Stessa cosa accadde a Bologna.
La bicicletta che, come scriveva Giovannino Guareschi, nella Bassa è una cosa necessaria come le scarpe, anzi più delle scarpe. Giovannino Guareschi, cui Conselice ha dedicato una bellissima piazza, oltre ad aver trascorso due anni in un campo di concentramento in Polonia per essersi rifiutato di aderire alla repubblica di Salò, si fece anche più di 400 giorni di carcere per difendere la libertà di stampa. Preferì non ricorrere in appello contro una sentenza di condanna per diffamazione perché era fermamente convinto che i due documenti pubblicati a firma Alcide De Gasperi (uno, dattiloscritto, era su carta intestata della Segreteria di Stato di Sua Santità), in cui si chiedeva agli angloamericani di bombardare la periferia di Roma, fossero autentici, diversamente da quanto stabilito dal tribunale senza, peraltro, ordinare una perizia calligrafica e senza tenere in alcun conto una perizia di parte che ne certificava l’autenticità. Una vicenda su cui non è mai stata fatta piena luce.
A 60 anni dai fatti, e tenuto conto del nuovo vento di trasparenza che spira Oltretevere, molto sommessamente, dalla città della libertà di stampa, rivolgo un appello a Papa Francesco: verifichi se negli archivi del Vaticano ci sono tracce di quei carteggi e, se può, dica una parola definitiva sulla vicenda.
La pedalata per celebrare il 69° anniversario della Liberazione ha ormai imboccato la dirittura finale. Senza la bicicletta la lotta armata antifascista non avrebbe avuto la stessa efficacia. La bicicletta simbolo di libertà e democrazia, conquistate con il sudore, la fatica e il sangue di chi ha combattuto la dittatura nazifascista in nome di quei valori incalpestabili che hanno fatto dell’Italia un paese democratico.
Certo, un Paese un po’ sgangherato, che in nome della par condicio censura un bravo attore come Ivano Marescotti – a cui va tutta la nostra solidarietà – perché candidato alle elezioni europee, ma consente a un condannato di fare campagna elettorale senza alcun vincolo, e addirittura di mettere il suo nome sotto il simbolo del partito. Un Paese con molti problemi – pensiamo alla grave crisi che ha fatto perdere il lavoro a centinaia di migliaia di persone, al sempre crescente numero di famiglie che vivono sotto la soglia di povertà – che però trae forza da quei valori che la Resistenza e la lotta di Liberazione hanno cementato, per non mollare. Un po’ come la bicicletta, che ti consente di voltarti indietro, ma ti impone di andare avanti, pedalata dopo pedalata, verso nuovi e più ambiziosi traguardi.
Camillo Galba