Il sergente ucraino accusato dell’omicidio afferma che non disponeva di mortai

Processo Rocchelli: mistero sempre più fitto

Andrea Rocchelli (a destra) e Andrei Mironov

PAVIA – “Il mio compito era quello di sorvegliare la zona di nostra competenza e rispondere al fuoco solo se attaccati”: è quanto ha dichiarato Vitaly Markiv, il 29enne italo-ucraino unico imputato al processo per l’omicidio di Andy Rocchelli, il 30enne fotoreporter pavese ucciso il 24 maggio 2014 in Ucraina nella regione del Donbass mentre stava effettuando un reportage sulla popolazione locale nella guerra tra esercito ucraino e separatisti filorussi.

Vitaly Markiv

Parlando in un perfetto italiano e mostrandosi sempre molto sicuro di sé, Markiv ha risposto alle domande del pubblico ministero e degli avvocati di parte civile e della difesa: “Sono un sergente maggiore della guardia nazionale ucraina – ha spiegato –: è un corpo alle dirette dipendenze dell’esercito dell’Ucraina. Se notavo dei movimenti sospetti nella zona che ero chiamato a controllare, essendo un sottufficiale dovevo subito riferirlo al mio comandante che poi, a sua volta, aveva il compito di comunicarlo ai vertici dell’esercito. Nella collina in cui trovava la mia postazione, la guardia nazionale poteva contare su 40-45 uomini. Le armi in nostra dotazione erano fucili e carabine, oltre a due mitragliatrici. Io avevo un fucile con un mirino senza capacità di zoom”.
Markiv ha, quindi, escluso che lui e i suoi compagni potessero utilizzare mortai, l’arma con la quale sono stati uccisi sia Andy Rocchelli che il giornalista russo Andrei Mironov (mentre il fotografo francese William Roguelon, ferito alle gambe, era riuscito a salvarsi).

William Roguelon

“Dalla mia postazione, in trincea, avevo un campo visivo limitato”, ha sostenuto ancora Markiv. “Ho saputo che erano stati uccisi due giornalisti, parlando nei giorni successivi con altri reporter italiani che conoscevo”.
Markiv ha negato di aver fatto alcune dichiarazioni che gli sono state attribuite proprio dai giornalisti italiani di sua conoscenza (secondo le testimonianze rese dagli stessi cronisti in una precedente udienza del processo): “Non ho mai detto che «sparavamo su tutto quello che si muoveva a due chilometri di distanza dalle nostre postazioni», e smentisco anche di avere affermato che «abbiamo ucciso un italiano». Quando poi parlavo dei «miei soldati», non mi riferivo certo ad una mia particolare posizione di responsabilità, visto che dipendevamo totalmente dall’esercito”. (ansa)

I commenti sono chiusi.