FERRARA – Inaugurata ieri, al Cinema Apollo, l’ottava edizione del Festival di Internazionale a Ferrara alla quale hanno partecipato Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, Tiziano Tagliani, sindaco di Ferrara, Lucio Battistoni, della Commissione europea e Walter Dondi della Fondazione Unipolis.
I ringraziamenti del direttore De Mauro per l’ospitalità offerta dalla città sono stati ricambiati dal sindaco per l’iniziativa che porta occasioni di dibattito e discussione su temi molto attuali per il territorio.
Momento culmine della cerimonia è stata la consegna del premio giornalistico Anna Politkovskaja a Maisa Saleh, attivista e giornalista siriana, per il suo impegno a favore di un’informazione libera. Già incarcerata in passato, oggi è in esilio in Turchia per sfuggire alla persecuzione del regime di Bashar al-Assad. Da lì continua l’attività giornalistica.
Saleh ha sottolineato quanto sia fondamentale che la società civile dedichi la propria attenzione alla rivoluzione siriana, partita dalla gente comune che rivendicava il riconoscimento dei diritti fondamentali.
Purtroppo, invece, l’opinione pubblica internazionale si interessa alla Siria solo da quando l’Isis ha occupato parte del territorio, commettendo atrocità orrende e di conseguenzae costruendo un’immagine della Siria caratterizzata principalmente dal fondamentalismo islamico.
È importante allora raccontare le storie della gente comune, come quella di Maisa e di sua sorella, attualmente prigioniera dell’Isis.
Ad intervistare, sul palco del festival, Maisa Saleh sono stati Francesca Caferri (la Repubblica) e Lorenzo Trombetta, esperto di Medio Oriente e corrispondente per l’Ansa, che in apertura ha ricordato il coraggio e la modestia di Saleh nella sua ricerca della verità giornalistica.
Caferri ha chiesto il perchè di una scelta così difficile: Saleh era infermiera e solo in un secondo momento si è dedicata all’attivismo ed al giornalismo in quello che è considerato il paese più pericoloso al mondo per la stampa.
Una scelta obbligata secondo Saleh: l’unico modo per portare all’attenzione della società civile le immagini della rivolta pacifica che si svolgeva in Siria.
Quello che il regime temeva maggiormente era proprio che uscissero queste immagini.
Una riflessione a parte merita il ruolo delle donne: la loro azione è stata fondamentale nella prima fase della rivoluzione, quella delle dimostrazioni pacifiche.
Quando la rivoluzione è diventata guerra e i fondamentalisti dell’Isis hanno preso il controllo di diverse zone, per le donne il clima è radicalmente cambiato: subiscono pressioni e violenze e le minacce alle donne sono usate per fare pressione anche sugli uomini diventando arma di guerra.
Saleh ha concluso ricordando che l’Isis non è nata dai siriani, ma vi sono confluiti terroristi liberati dalle prigioni di Bashar al-Assad e stranieri desiderosi di arruolarsi fra gli estremisti islamici.
La rivoluzione siriana non è nata dall’islamismo: oggi l’Isis è pericoloso per i siriani tanto quanto la repressione da parte del regime. La rivoluzione non è finita e riprenderà il suo percorso pacifico, perché è una necessità per il popolo siriano.
Consegnato alla giornalista siriana a Ferrara nell’ambito del Festival di Internazionale