COSENZA – Incontro ravvicinato con l’assurdo. Così si potrebbe definire, lapidariamente, l’esito del confronto odierno davanti al prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao, con il liquidatore della C&C, la società editrice del quotidiano “L’Ora della Calabria”, Giuseppe Bilotta.
Di reale c’è stato solo il sostegno partecipe e convinto del prefetto, che ha contribuito con il suo rigore e la sua determinazione, a far emergere le contraddizioni di una procedura di liquidazione sulla quale da tempo il vicesegretario nazionale della Fnsi, nonché segretario regionale, Carlo Parisi, presente all’incontro, il Cdr dell’Ora della Calabria e io stesso, quale direttore della testata, abbiamo invocato più volte (e invano) l’intervento della magistratura.
Poco prima dell’inizio della discussione, mentre si attendeva Tomao, Bilotta faceva sapere di aver venduto cinque dei nostri computer per circa 1800 euro, rifiutandosi però di dire chi fosse l’acquirente.
Quando gli è stato chiesto di spiegare davanti al prefetto il perché non avesse ritenuto di verificare con il Cdr se la redazione fosse ancora interessata all’acquisto dei macchinari, volontà già espressa nel precedente confronto, e arenatasi sull’esosa cifra da lui “sparata” (18 mila euro), il liquidatore ha farfugliato di non ricordare esattamente quanti computer avesse venduto, ribadendo che comunque “ha i pieni poteri e può fare quello che vuole”.
Affermazione assolutistica da Re Sole che avrebbe più volte ribadito. Né ha saputo dare una spiegazione del fatto che, mentre lo scorso maggio aveva annunciato che c’era un acquirente disposto a rilevare la nostra testata per 130 mila euro, guarda caso 10 mila in più di quelli che la redazione stava valutando di offrire, costituendo una cooperativa per la salvezza del giornale e il mantenimento della nostra attività, oggi questo fantomatico “pretendente” si sia dissolto nel nulla.
Vaga la risposta di Bilotta anche su un altro mistero: oltre quattro mesi fa annunciò in prefettura che, se non fossero intervenute novità di rilievo da un punto di vista finanziario, “nel giro di pochi giorni sarò costretto a portare i libri contabili in tribunale, perché la legge lo impone”; oggi invece di questa eventualità non se ne parla più. E proprio su questo enigma è emerso il “pasticcio”.
Di fronte a precisa domanda su una data, più o meno orientativa, in cui il tribunale fallimentare sarebbe stato investito della situazione in cui versa la nostra società editrice, che di fatto, almeno per quanto ci è dato di conoscere, non incassa crediti né salda debiti dallo scorso mese di aprile, Bilotta, come se nulla fosse, ha replicato che su questo si sarebbe dovuta pronunciare “l’assemblea dei soci”.
Lo stupore era generale.
Innanzitutto perché lo stesso Bilotta ha prodotto copia di un verbale in cui i soci, Pubbliora e la PF Holding, rappresentata da Alfredo Citrigno, l’ex presidente della società, riconoscendo l’impossibilità della ricapitalizzazione decidevano di liquidare l’azienda e conferivano a lui “pieni poteri”.
In secondo luogo perché la nomina di un liquidatore esclude l’intervento diretto dei proprietari di una società sulle decisioni da assumere, essendo egli e non loro, da un punto di vista legale, il soggetto responsabile degli atti compiuti.
Infine, è bene ricordare che la Pubbliora non è soltanto socia di una quota minoritaria della C&C, ma è anche un debitore per una cifra di “circa 140 mila euro”, come ha ribadito anche oggi lo stesso Bilotta, prima che il discorso prendesse questa china e quindi emergesse il dubbio di un possibile conflitto d’interessi.
Parisi, al tavolo della trattativa, ha apertamente chiesto al liquidatore se a questo punto dobbiamo considerarlo un semplice “portavoce”. Faccio presente che mesi orsono descrissi in diversi editoriali la sensazione che Bilotta fosse un semplice esecutore di volontà altrui, tanto da parogonarlo alla Jessica Rabbit del mitico film, quando dice in tono mieloso: “Non è colpa mia, mi disegnano così”.
Insomma, dal piglio iniziale da “Re Sole”, è tornato a fine dialogo a mostrare con chiarezza e in una sede istituzionale, il volto di sempre, putroppo già da noi giornalisti dell’Ora più volte sperimentato, un volto “disegnato” dal solito qualcuno.
Con diplomazia e pieno rispetto di tutti i presenti, Tomao è stato decisivo nel far comprendere a Bilotta che se rappresenta qualcuno e non è in grado di assumere impegni ai quali dovrà poi far fronte, dovrebbe dirlo apertamente, perché, ha ribadito più volte il prefetto, «questo non è un tribunale, ma qui c’è lo Stato, è la casa del Governo, non siamo in un tavolino di un caffé, né seduti su una panchina al ciglio della strada e le parole che si danno qui vanno mantenute».
Lo stesso Tomao, esprimendo rammarico per il fatto che in più incontri non si sia riusciti ad arrivare ad alcunché di concreto, ha detto con estrema efficacia che, quanto meno, quest’ultimo rendez-vous ha contribuito a fare chiarezza sulla nebulosità della situazione.
Un commento stimolato anche da un’altra paradossale dichiarazione del liquidatore: “In teoria la liquidazione potrebbe durare anche all’infinito, io sto seguendo una società che lo è da cinque anni. Per esempio, i soci potrebbero decidere di ricapitalizzare…”.
Ma come? Alfredo Citrigno ha spiegato all’intera redazione quando si dimise da presidente che, a causa del sequestro dei beni, oggi trasformatosi in confisca, non poteva più investire alcunché nella C&C, e quanto alla Pubbliora, se non riesce a versare i 140 mila euro dovuti alla società, da dove trarrebbe il denaro necessario per una ricapitalizzazione?
La verità sembra soltanto quella di un “disegnatore” che mira da un lato a evitare il fallimento, dall’altro a mantenere i giornalisti tuttora dipendenti della C&C in una sorta di limbo, in condizioni d’incertezza e difficoltà, sul piano economico, ma anche su quello psicologico.
Su suggerimento del prefetto, viste le tante mancate risposte da parte del liquidatore segnalate da Parisi e dal Cdr, si è convenuto di stilare una serie di quesiti e di inoltrarli per e-mail tanto a Bilotta, quanto alla Prefettura.
Le risposte del liquidatore dovranno essere inviate all’e-mail del Cdr, evitando dialoghi con singoli componenti dello stesso Cdr, strada sempre privilegiata da Bilotta, forse su suggerimento di qualcuno, nei mesi scorsi.
Tra le domande è stata inserita anche quella relativa all’iniziativa che il liquidatore dovrebbe intraprendere presso l’Autorità dei beni confiscati, chiedendo che vengano reintegrati nel bilancio della C&C i 100 mila euro che Alfredo Citrigno stornò in quello di un’altra società operante in campo sanitario che rientra nel patrimonio valutato attorno ai 100 milioni di euro espropriato alla sua famiglia con sentenza della Dda.
Gli altri quesiti riguardano il credito dovuto da Pubbliora, l’elenco delle spettanze dovute ai giornalisti, l’elenco dei macchinari e la loro valutazione (Tomao ha ricordato al liquidatore che anche nell’interesse della proprietà dovrebbe, in caso di vendita, garantire la maggiore entrata possibile), gli eventuali tempi previsti per una procedura fallimentare, ecc.
Parisi ha personalmente perorato il caso di una nostra collega che, senza alcuna spiegazione, non risulta nell’elenco dei giornalisti allegato al verbale dell’accordo sulla cassaintegrazione e per questo non è stata ammessa alla medesima.
Bilotta si è impegnato a rispondere alle domande, “a quelle che potrò”. Vedremo. Non è la prima volta che le promesse poi si dissolvono.
Rammento, in particolare, quando nel primo incontro in prefettura s’impegnò a ripristinare il sito, ipotesi su cui era concorde anche il rappresentante di Confindustria, e poi invece si tirò indietro. Forse perché il “disegnatore” non era d’accordo.
Trovo anche curioso che Bilotta abbia ricordato, più volte, che per il momento De Rose, l’ex stampatore dell’Oragate, non abbia intrapreso alcuna azione per riscuotere il suo cospicuo credito di oltre 1 milione di euro. Questo non fa che rendere il tutto più assurdo: De Rose, pochi giorni dopo la telefonata del “cinghiale ferito” e il blocco della rotativa per non fare uscire la notizia relativa all’apertura dell’inchiesta sul figlio del senatore Gentile, aveva mandato un’inequivocabile lettera in cui chiedeva l’immediato saldo dei crediti pregressi, altrimenti avrebbe portato all’incasso un assegno (scoperto) ricevuto all’inizio dell’attività quale garanzia.
Che cosa è cambiato da allora? È sopraggiunto un nuovo accorduni?
In questa farsesca situazione dai risvolti drammatici, ci siamo sentiti più volte dimenticati. Il silenzio è ciò che più scoraggia chi alza la testa e, invece, incoraggia chi pensa di poter piegare le leggi e calpestare i diritti a suo piacimento.
Ebbene, dopo questa giornata, sento di dover ringraziare, come ha fatto Carlo Parisi al tavolo della trattativa, il prefetto Gianfranco Tomao. È importante, anche se non porta a risultati concreti nell’immediato, sentire vicine le istituzioni, è importante incarnare il senso dello Stato, là dove ci si può sentire in una terra di nessuno.
Luciano Regolo