ROMA – Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, supremo organo interpretativo del diritto in Italia, con una discutibile sentenza (é la n. 15296 del 4 luglio 2014 pagine 15-16 e 17) hanno stabilito che “in tema di lavoro giornalistico, e con riferimento all’iscrizione al Registro dei praticanti, é da ritenersi tuttora operante il limite numerico minimo di giornalisti professionisti richiesto dall’art. 34 della legge n. 69 del 1963 per l’esercizio del praticantato, dovendo escludersi che l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni (uso di computers, informatica) possa consentire, in sede ermeneutica, l’eliminazione o riduzione di tale limite”.
Pertanto, non essendo stato dimostrato l’inserimento di una giornalista in una struttura idonea a termini di legge per la configurazione della pratica giornalistica, la sua iscrizione d’ufficio nel registro dei praticanti – peraltro retroattiva – deliberata dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, é stata ritenuta irregolare proprio perché nella struttura radio-televisiva non vi erano stabilmente almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari (lo stesso limite vige presso un quotidiano o presso un’agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale, mentre occorrono almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari presso un periodico a diffusione nazionale).
Di conseguenza, la Suprema Corte, presieduta da Fabrizio Miani Canevari, ha definitivamente respinto un ricorso dell’Inpgi contro la Rai in cui si evidenziava l’erronea esclusione del diritto dell’Istituto intitolato a Giovanni Amendola ad ottenere i contributi previdenziali relativi al periodo di lavoro non caduto in prescrizione per non essere la struttura della Rai di adibizione idonea a termini di legge per la configurazione della pratica giornalistica.
Secondo i supremi giudici del “Palazzaccio” di piazza Cavour: “la mancanza dell’iscrizione nell’Albo dei praticanti giornalisti comporta la nullità del contratto di lavoro per violazione di legge, che non é sanabile con la successiva retrodatazione dell’iscrizione stessa, ma non esclude che l’attività svolta conservi giuridica rilevanza ed efficacia. Ne consegue che, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, pur avendo il lavoratore diritto al trattamento economico e previdenziale, non sorge anche lo specifico obbligo dell’assicurazione presso l’Inpgi, il cui fondamento é originato dall’iscrizione all’Albo, e non solo dalla natura dell’attività svolta”.
Di fronte ad un’interpretazione letterale e restrittiva dell’art. 34 della legge n. 69 del 1963 (in calce é riportato il testo integrale di questa norma obsoleta) da parte della Cassazione, che penalizza moltissimi giovani praticanti giornalisti – o aspiranti tali –, in quanto non tiene minimamente conto né dell’evoluzione tecnologica avvenuta negli ultimi 51 anni (ad esempio, nel 1963 non esistevano le testate on line, né i computers), né della radicale trasformazione avvenuta nel settore editoriale (ivi compresa la più grave crisi del settore nella storia), occorre quindi immediatamente una nuova norma da parte di Governo e Parlamento che recepisca l’evoluzione giurisprudenziale univoca da anni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, rimediando così ad una vera stortura, anzi, ad una mostruosità legislativa. La sentenza
Art. 34 della legge n. 69 del 3/2/1963
Pratica giornalistica
La pratica giornalistica deve svolgersi presso un quotidiano, o presso il servizio giornalistico della radio o della televisione, o presso un’agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari, o presso un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari.
Dopo 18 mesi, a richiesta del praticante, il direttore responsabile della pubblicazione gli rilascia una dichiarazione motivata sull’attività giornalistica svolta, per i fini di cui al comma primo n. 3) del precedente art. 31. Il praticante non può rimanere iscritto per più di tre anni nel registro.