ROMA – Il Ministero della Giustizia ha ribadito che la riforma, in tutto o in parte, della legge n. 69 del 3 febbraio 1963 istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti spetta esclusivamente al Parlamento. Pertanto il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti non può mai sostituirsi alle Camere con effettive innovazioni passate come nuovi criteri interpretativi dell’art. 34 sul praticantato giornalistico.
La lettera che mette fine a questa querelle, che in certi momenti pareva avere assunto i toni della favola, proviene direttamente dal Ministero della Giustizia, porta la firma del direttore generale Giovanni Mimmo ed è indirizzata al Consiglio nazionale e ai Consigli regionali dell’Ordine dei giornalisti, al viceministro Francesco Paolo Sisto, al Capo Dipartimento del Ministero della Giustizia. Praticamente a tutto il mondo del giornalismo italiano e a chi è deputato a vigilarlo.
Una lettera durissima, dai toni perentori, che non concede nessuna mediazione possibile. Il concetto è chiarissimo e questa volta è messo su carta in maniera formale e definitiva. Nessuna riforma del praticantato dei giornalisti si potrà mai fare se non in presenza e per via di una specifica legge del Parlamento.
Nella lettera firmata dal direttore generale Giovanni Mimmo si legge testualmente: «Di recente sono pervenuti, tuttavia, numerosi esposti, i quali stigmatizzano in capo a codesto organo consiliare nazionale un comportamento volto a eludere, in punto di fatto, le indicazioni ricevute dal Ministero vigilante: in particolare, sarebbe stata diramata dal Consiglio nazionale la seguente comunicazione a commento della citata delibera del 28 marzo 2023: “In base al nuovo testo, frutto di una proficua e leale collaborazione con il Ministero della Giustizia, i Consigli regionali dell’Ordine, nella loro autonomia, potranno procedere all’iscrizione al registro dei praticanti a seguito dell’accertamento del lavoro giornalistico svolto. Tale modalità consente, in aggiunta alle altre previste dalla legge, l’avvio del praticantato anche in assenza di una testata e di un direttore responsabile”.
Il direttore generale del Ministero della Giustizia, Giovanni Mimmo, che è nei fatti il controllore dell’Ordine, precisa che «con queste esatte parole, invero, si è espresso il Presidente del Consiglio nazionale in un comunicato ufficiale pubblicato sul sito istituzionale al link https://www.odg.it/giornalisti-cnog-varanuove-modalita-per-ilpraticantato/50536. Orbene, premesso che i criteri adottati con la delibera del 28 marzo 2023 da parte di codesto Consiglio nazionale, nella loro formulazione testuale, non contengono alcun riferimento all’art. 34 della legge professionale che consenta di inferire una volontà di introdurre requisiti sostitutivi di quelli legali, giova ribadire che nessuna potestà regolamentare in materia di accesso al praticantato giornalistico è stata attribuita dal legislatore al Consiglio nazionale».
La lezione giuridica che ci viene oggi dal direttore generale del Ministero della Giustizia, Giovanni Mimmo, non lascia dubbi di nessun tipo: «il complesso normativo contenuto negli art. 33 e 34 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e nell’art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1965, n. 115, stabilisce in modo chiaro e univoco i requisiti e le modalità per l’iscrizione nel registro dei praticanti, ancorandola al riferimento diretto e ineludibile a una testata e un direttore responsabile.
Ne consegue, inevitabilmente, che l’unica possibile accezione di legittimità dei criteri “interpretativi” adottati con la delibera del 28 marzo 2023 da codesto Consiglio nazionale può risiedere in un loro affiancamento a quelli di matrice legale: questi, invero, sono attualmente vigenti e non possono in alcun modo essere pretermessi, sino a quando, per ipotesi, non dovessero essere modificati dal legislatore».
Che fare? Semplice, l’indicazione che viene dal Ministero della Giustizia è netta: «Si invita con assoluta urgenza codesto Consiglio nazionale a rettificare il comunicato relativo ai criteri indicati nella delibera del 28 marzo 2023, precisando a tutti gli ordini regionali che si tratta di un corpus regolamentare aggiuntivo rispetto alle prescrizioni di legge, senza in alcun modo costituire una deroga ai requisiti imperativamente richiesti, in particolare, dagli art. 33 e 34 della legge professionale, nonché dell’art. 36 del regolamento attuativo».
Ma la nota del Ministero della giustizia va ancora oltre e, a scanso di equivoci, rimarca il principio giuridico originario: «Al contempo, e negli stessi termini, si invitano codesti Consigli regionali, sottoposti, al pari di quello nazionale, alla vigilanza del Ministero della Giustizia, a fare riferimento in ogni caso, per l’accesso al praticantato giornalistico, alle previsioni contenute nelle norme primarie che regolamentano la professione del giornalista, al fine di non consentire accesso indebito a soggetti privi dei requisiti imposti dal quadro normativo attualmente vigente. Nel restare in attesa di un pronto riscontro da parte di codesto Consiglio nazionale e di codesti Consigli regionali, si porgono cordiali saluti».
La parola passa ora al Consiglio Nazionale che proprio domani, mercoledì 3 maggio, sarà chiamato a discutere di questa spinosissima vicenda, che non è più “in punta di diritto” come qualcuno aveva immaginato nei giorni scorsi, ma che richiama principi legislativi chiari e insormontabili.
Finalmente una pagina di chiarezza da parte del Ministero della Giustizia. Dopo i fiumi di dichiarazioni trionfalistiche da parte della maggioranza del Consiglio nazionale e di alcuni Consigli regionali che, addirittura, si erano affrettati ad annunciare la “riforma” anche nei corsi di formazione, ci aspettavamo di leggere questa lettera di chiarimento sul sito dell’Ordine, ma al momento della notizia non v’è traccia. Del resto, non è la prima volta che il sito del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che quest’anno celebra i 60 anni col motto “Il dovere della verità”, “buca” le notizie sui profondi cambiamenti in atto nella categoria. (giornalistitalia.it)
Pino Nano
Pino, complimenti. Più chiaro di così non potevi esserlo. Del resto la risposta del Ministero non lascia dubbi.
Se abolissimo l’ordine?