Nel 1982 fondò I Siciliani, il 5 gennaio 1984 fu ucciso dalla mafia. “Siciliani vuol dire altro”

Pippo Fava, il giornalista “non controllabile”

Giuseppe Fava (Palazzolo Acreide, 15 settembre 1925 – Catania, 5 gennaio 1984)

ROMA – La storia di Pippo Fava riassume un po’ l’insieme delle difficoltà, presenti anche oggi come all’epoca in cui è vissuto, dell’essere giornalista, soprattutto dell’essere giornalista al sud, e in particolare nella Sicilia: i contrasti con gli editori, la politica e i poteri forti, gli interessi culturali e la diffusione di valori della legalità al mondo dei giovani, la libertà in generale e quella dell’informazione, il valore della giustizia e della verità.

Pippo Fava

Tasselli importanti nella vita di un intellettuale che non è stato solo giornalista, ma anche un affermato scrittore (saggista e narratore) e autore di testi teatrali, nonché uno sceneggiatore (ricordiamo il film “Palermo or Wolfsburg” che nel 1980 vinse il prestigioso Orso d’oro al Festival del cinema di Berlino).
Non era facile vivere e lavorare in Sicilia negli anni Ottanta, come non lo era stato in precedenza e come ancora oggi non lo è.
Giornalista professionista dal 1952, Pippo Fava aveva scritto per varie testate, si era occupato di sport, di cronaca, un po’ di tutto, ma per un giornalista-giornalista non poteva passare inosservato il fenomeno mafioso.
All’Espresso sera, quotidiano catanese al quale lavorò dal 1956 al 1980 in qualità di caporedattore, intervistò finanche boss di Cosa Nostra come Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo per conoscere meglio ed entrare nelle pieghe dei rapporti tra mafia e istituzioni.

Pippo Fava

Non divenne mai direttore di quel giornale, perché ritenuto “non facilmente controllabile” dal potere, e difatti l’editore Sanfilippo gli preferì un soggetto più “accomodante”. Tuttavia, Fava si sentiva appagato anche dal fatto di collaborare con il Corriere della Sera e di condurre, quando era ancora a Espresso sera, una trasmissione radiofonica della Rai nazionale molto seguita, dal titolo “Voi ed io”.
Passò poi, nella primavera del 1980, alla direzione del Giornale del Sud, anche questo con sede a Catania, un quotidiano che ebbe breve vita (chiuse nell’82). Da quelle colonne Fava manifestò di essere contrario alla base missilistica statunitense a Comiso e di essere tutt’altro che garantista per l’arresto del boss Alfio Ferlito. Venne licenziato dopo aver scoperto che la proprietà del giornale era passata nelle mani di imprenditori evidentemente prestanome di qualche mammasantissima, che avevano frequentazioni con il boss Nitto Santapaola.
Iniziò così una nuova avventura editoriale, attraverso una cooperativa finalizzata a dar vista a una rivista mensile, I Siciliani, il cui primo numero uscì nel novembre del 1982, una rivista divenuta da subito il manifesto della lotta alla mafia e al malaffare in genere, con tanto di nomi e di cognomi.
Proprio alcuni tra i soggetti oggetto delle inchieste di Fava e dei suoi collaboratori (tutti provenienti dal Giornale del Sud) avevano tentato l’acquisto della proprietà della rivista, offrendo cifre molto alte, allo scopo di zittire Fava, che aveva continuato a denunciare, con tanto di prove anche fotografiche, incontri tra politici, questori e imprenditori.
Fava si batté per mantenere l’indipendenza della rivista, e fu tenace assertore dell’importanza di denunciare attraverso la stampa per sminuire il potere della criminalità, per “realizzare giustizia e difendere la libertà”.
Non venne zittito attraverso l’offerta per l’acquisto della testata, ma – molto più prosaicamente, per rimanere nelle “tradizioni” mafiose – con 5 proiettili calibro 7,65 alla nuca, mentre usciva dalla redazione, la sera del 5 gennaio 1984.

Pippo Fava

Poco tempo prima di morire, intervistato da Gianni Minà, evidenziò che “essere siciliani vuol dire, tra l’altro, vivere nell’antica ed eterna contraddizione tra infelicità e speranza”.
Anche lui, come Peppino Impastato sei anni prima attraverso Radio Aut, aveva “toccato i fili” e chi tocca i fili, si sa, muore. L’omicidio di Pippo Fava non impedì alla rivista di continuare a lanciare il suo messaggio antimafia, coinvolgendo gente comune e intellettuale, ma dopo tre anni dovette chiudere i battenti per carenza di disponibilità finanziarie.
L’attività antimafia avviata da Fava e da I Siciliani prosegue, però, grazie alla Fondazione che porta il suo nome.
Situazioni come quelle prima descritte continuano, sia pur nel silenzio e nell’omertà, ad essere presenti ancora oggi, non solo in Sicilia, in un mondo, quello dell’editoria, di per sé critico e divenuto drammatico per l’occupazione e per la libertà dell’informazione nell’anno solare appena trascorso. (giornalistitalia.it)

Letterio Licordari

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